Ogni cinque anni, anno più anno meno, si chiude un ciclo per un’intera famiglia di videogiochi, con il passaggio da una piattaforma hardware a quella della generazione successiva.

Ed Boon, il papà di Mortal Kombat, ha scelto di salutare l’era ludica dominata da Playstation 2 ponendo la sua saga di fronte all’armageddon. La fine di tutto prima di un nuovo inizio?

È l’ipotesi più probabile, considerando che la serie più sanguinolenta tra i picchiaduro vanta ancora un seguito di pubblico abbondantemente milionario. Successi che hanno convinto il produttore Midway a realizzare, come momentaneo commiato, il sogno ricorrente dei fan: avere a disposizione tutti i personaggi della saga in un unico episodio, qualcosa come sessantadue kombattenti accanto alla possibilità di crearne altri, personalizzati, utilizzando un programma chiavi in mano per guerrieri fai-da-te.

È essenzialmente questo Mortal Kombat: Armageddon, raccolta omnicomprensiva formatasi sulle intuizioni esposte per la prima volta in Mortal Kombat: Deadly Alliance (2002), il capitolo fondante la nuova direzione completamente 3D con cui Liu Kang e soci si sono accompagnati con ottimi risultati.

A proposito, per chi avesse perso di vista la serie negli ultimi anni, nel frattempo Liu Kang, il campione dell’Earthrealm, è deceduto (ne resta la versione zombi), assassinato dall’alleanza mortale di Shang Tsung e Quan Chi. I due peraltro non si sono goduti a lungo la vittoria, essendosi fatti la pelle già in Deception (2004), episodio dedicato agli inganni e segnato dalla resurrezione di Onaga, il leggendario Dragon King, dopo la disfatta di Raiden e dei suoi discepoli. Con Armageddon tutti i nodi vengono al pettine e ha inizio la battaglia decisiva tra i kombattenti dei vari regni al gran completo - buoni, cattivi o neutrali che siano – al centro dell’universo di Mortal Kombat sull’orlo del collasso, non più in grado di contenere il loro numero crescente e quegli straordinari poteri.

Tra gli elementi che Ed Boon si è convinto ad approfondire da Deadly Alliance in poi, e Armageddon non fa eccezione, ci sono proprio il contesto che fa da sfondo alla saga e le storie dei suoi protagonisti. Nei videogame, di materiale per appassionarsi adesso ce n’è a bizzeffe, con spunti confluiti da un po’ ogni frangia mediatica della serie. Basta non chiedere a Mortal Kombat, che è l’apoteosi del trash mistico kitsch, di raccontarsi con un taglio riflessivo e razionale.

I maggiori passi avanti si sono compiuti nel sistema di lotta alla base del gioco. Armageddon non è coscientemente votato a impensierire i titoli più tecnici del genere, ma si dimostra capace di riesumare a meraviglia i principi di Mortal Kombat e di traslarli in un nuovo mondo poligonale a tre dimensioni, con molta più lucidità di quanta ve ne fosse ai “tempi d’oro”. Vale a dire che lo spirito è assolutamente caciarone, più spettacolare che bilanciato, tra smembramenti, budella e sangue a catinelle, arene interattive, trappole mortali e interminabili combinazioni di colpi praticamente imparabili. Ma il gioco conserva sempre, in ogni momento, anche quelli più furbescamente sopra le righe, il suo perché.

I cambiamenti alla formula non sono certo mancati. Armageddon ne contiene almeno un paio impossibili da nascondere alla vista.

Il primo è la rivoluzione del marchio della saga: le fatality. Ora sono uguali per tutti i personaggi e componibili. Si prende l’avversario a calci, a pugni, gli si strappano le braccia, il cuore, il cervello, il femore, fino a staccargli o spappolargli la testa, nell’ordine che si preferisce. Più è lunga la tortura, meglio è. Anche se la cosa globalmente funziona, la sparizione dei sadici colpi di grazia intesi come firma dei personaggi rimane difficile da mandar giù per chi appartiene allo zoccolo duro dei fedelissimi.

L’altra modifica presentata in questo capitolo, forse più digeribile, riguarda gli stili di lotta dei kombattenti. In Deadly Alliance ne erano stati introdotti tre per personaggio, due a mani nude e uno all’arma bianca. In Armageddon ce ne sono solo due: arti marziali armati e disarmati. Con un'enfasi inedita sulle fasi aeree della disputa.

Parallelamente, nel gioco esistono anche modalità che si sono ampliate.

Deadly Alliance conteneva l’idea di allargare la struttura picchiaduro di Mortal Kombat ad altre esperienze collegabili all’iconografia della saga, tanto single quanto multiplayer. Armageddon propone un’evoluzione interessante della modalità Konquest, a metà tra il tutorial abbinato a una trama e l’action game in terza persona con inserti picchiaduro, nel caso particolare, mutuato dall’avventura beat’em up Mortal Kombat: Shaolin Monks.

Al posto del rompicapo alla Super Puzzle Fighter di Deception ci sono invece le gare automobilistiche di Motor Kombat, zeppe di gore, ispirate a Mario Kart. Insieme a un buon numero di extra collezionabili, purtroppo meno ricchi che nei due episodi precedenti, e alla possibilità di sfidare amici online.

Qualità sufficienti a fare del gioco Midway il picchiaduro più completo sulla piazza, anche se non tutto quello che offre è curato come dovrebbe.

In fondo però bisogna ammettere che Ed Boon è stato bravo a traghettare la serie in questo terzo millennio, tristemente famoso per le molte vittime illustri decapitate per strada. Della sua epoca, Mortal Kombat è tra gli unici titoli ad aver superato indenne il balzo dimensionale e generazionale. Tutto ciò senza tradire le sue origini, ma trasformandosi rispettoso di quel passato che rivive, aggiornato per come possibile allo scenario contemporaneo, in Mortal Kombat: Armageddon, la battle royale che conclude a testa alta una mitica, nuova trilogia. Dentro vecchia scuola e ancora divertente come pochi.