Era la notte tra il 31 gennaio e il 1 febbraio 2003 quando lo shuttle Columbia cominciò le manovre per il rientro, ma qualcosa andò storto e lo shuttle si disintegrò nell'atmosfera, attraversando il cielo del Texas come una palla di fuoco. A seguito del tragico incidente, la NASA interruppe il programma e istituì il Columbia Accident Investigation Board (CAIB), una commissione d'inchiesta per capire le ragioni del disastro, valutare il livello di sicurezza dei voli shuttle, e consigliare i provvedimenti da adottare. Adesso il lungo periodo di stop, che ha comportato numerosi problemi nella gestione dei collegamenti con la Stazione Spaziale Internazionale, demandati in questo lasso di tempo interamente alle navette russe Soyuz, e ha implicato la rinuncia a importanti missioni tecniche come la manutenzione al telescopio spaziale Hubble, è ormai giunto al termine. Mercoledì prossimo lo shuttle Discovery sarà di nuovo lì, in verticale sulla rampa di lancio di Cape Canaveral, pronto ad arrampicarsi sulla sua scia di fuoco per raggiungere le stelle. Ma la mente e il cuore non potranno non andare all'equipaggio dell'ultima missione, e a quel maledetto pezzo di schiuma isolante che a 81.9 secondi dal lancio si staccò fatalmente dal grande serbatoio di idrogeno liquido e andò a scontrare il profilo dell'ala sinistra della navetta. L'impatto, avvenuto a una velocità teorica di 870 km/h, compromise l'integrità di alcuni dei 22 pannelli chiamati RCC (Reinforced Carbon-Carbon), che costituiscono una parte cruciale del sistema di protezione termico della navetta, e innescò il disastro. Gli RCC sono infatti fondamentali per proteggere le ali dello shuttle durante le fasi più critiche del rientro, in cui l'attrito con l'atmosfera porta lo scafo in generale e in particolare le ali a temperature elevatissime. E' bastata quindi una piccola zona indebolita per innescare un processo a catena che ha portato, dopo circa otto minuti dall'inizio della procedura di rientro, a una brusca irruzione nell'ala di aria sopra i 2700 °C a una velocità di oltre 6000 km/h. Nei successivi cinque minuti di volo il surriscaldamento anomalo delle strutture di alluminio dell'ala hanno compromesso la stabilità e la manovrabilità del veicolo, e lo hanno portato alla distruzione. A valle della sua indagine, che di fatto ha comportato una quasi totale revisione del progetto dello shuttle, il CAIB ha espresso una serie di suggerimenti riguardo ciò che la NASA avrebbe dovuto fare per rendere le sue navette ragionevolmente sicure. Eppure, nonostante il lancio sia ormai imminente, di questi comandamenti pare che alcuni siano stati considerati con troppa superficialità. Secondo una commissione indipendente che ha valutato il lavoro svolto in questi mesi dalla NASA, sembra in particolare che ci siano ancora delle difficoltà a prevenire gli impatti con detriti di ghiaccio o schiuma durante la fase di lancio, inoltre le tecniche sviluppate per la riparazione in orbita di eventuali danni riportati dallo scafo durante la missione sarebbero ancora troppo poco consolidate per essere considerate affidabili. Mike Griffin, nuovo direttore della NASA, e i responsabili del programma shuttle hanno affermato che è stato fatto tutto il possibile per minimizzare i rischi del volo. Tra le altre cose, la missione del Discovery servirà proprio per verificare le nuove soluzioni adottate in termini di sicurezza. /continua.