Il film Dune (parte 1) del pazzo canadese Denis Villeneuve è imponente e cupo. È frutto di un sogno, spesso un incubo, a occhi aperti ed è raccontato come in un sogno, o meglio in un incubo, incessante, immerso in un’apparente ma ricercata casualità onirica. Privo di sprazzi di ironia ma denso di lampi poetici, soprattutto cattivi e a volte eterei, quasi schiacciati da un opprimente tono serio e drammatico. Film difficile, poiché secco e spietato nell’affiancare all’esagerata immensità visiva una storia “impressionista”, che raffigura con poche pennellate tante situazioni e tanti personaggi. Sembra tutto tirato via ma alla fine ci si sente travolti da un quadro fatto di luci e suoni che quasi non si sono nemmeno capiti.

Al cinema o a casa?
Al cinema o a casa?

È il racconto di una tragedia familiare nella cornice di un vasto intrigo tra casate imperiali, che impone un’atmosfera plumbea e sofferente adatta più al Macbeth di Shakespeare che allo Star Wars di Lucas. Da questo punto di vista, chi si aspetta un nuovo Signore degli Anelli (fiaba che all’oscurità incombente affianca l’allegria degli Hobbit e il romanticismo degli Elfi) o un nuovo Avatar (telenovela di fosforescenze colorate ed esotismi fascinosi) rischia una violenta delusione. Ma se si cerca il modo per entrare a testa alta in una nuova epopea immaginaria, qui si ottiene tutto quello che si può sperare di trovare in un kolossal moderno della fantasia: tecnicismi visivi e sonori al massimo, arte musicale inaudita, grafica originale e d’impatto, ritmo frenetico tra pause e accelerazioni, trovate ambientali coinvolgenti, interpretazioni poderose per quanto istantanee da volti riconoscibilissimi, regia spettacolare ma allo stesso tempo fruibile.

Sull’aspetto di storia/scrittura serve indirizzare tutti al legame con l’immenso romanzo ispiratore di Frank Herbert, origine della più importante saga della fantascienza letteraria… e qui il discorso è molto ma molto più complesso. Semplicemente perché complesso, estremamente complesso è il testo datato 1965 (e seguenti) dello scrittore Frank Herbert. Ricordiamo che nel leggere quei leggendari libri duniani si fatica da decenni a svolgere la matassa narrativa tra le più intricate, metafisiche e spirituali mai immaginate! Lo staff di sceneggiatori capeggiato da Villeneuve vede in questa impresa l’ostacolo più grave, sia per il successo dell’operazione commerciale del prodotto filmico, sia per il senso stesso dell’espressione artistica nell’adattamento da letteratura a cinema.

Si è scelto di tagliare molto dal romanzo originale ma anche dalle progressive bozze di sceneggiatura. Per arrivare al succo della prima metà della storia si è succhiato via i “fronzoli”, ossia retroscena, deviazioni, situazioni e spiegazioni; che sono o eliminati in tronco o lasciati al non verbale, che resta comunque pieno a scoppiare di dettagli d’atmosfera.

Sia chiaro: salta via moltissimo del romanzo e si rischia più volte il difetto narrativo, tra l’abbondanza di pregi sensoriali che si fa anche contundente. È impossibile mettere in un film tutto di Dune, ciò che qui resta non sono infedeltà ma assenze.

Pande cosa?
Pande cosa?

Ne risulta un’opera che segue i sacri dettami ideati da Hemingway per i tanti capolavori letterari che ha sfornato. La sua teoria dell’iceberg è che ciò che si fruisce nella vicenda di finzione è solo una piccola parte, prescelta dal narratore, di una massa di informazioni enorme come la vita stessa, data per scontata poiché letteralmente “vissuta”. Qui l’idea hemingwayana è pratica cinematografica come mai prima. Tutto quello che manca in queste due ore e mezza è in realtà giusto resti sotto traccia, anche se si corre l’effettivo rischio della fastidiosa frammentarietà o il pericolo inevitabile della rabbiosa incomprensione.

Ed ecco un film-iceberg di ghiaccio non più candido ma sporco: tetro e doloroso. L’invisibile che sta sotto il livello dell’acqua è molto di più e rende così pericolosa e affascinante l’immensa montagna nera che si intuisce nella notte. Tra fragori infernali la forma galleggiante appare ancora più temibile e disturbante.

Lo scontro è inevitabile. Il film va affrontato, va accettato, va capito e va assimilato. Ma, a ben pensarci, è la stessa cosa che capita ai lettori con la prima metà del primo libro. Ed è, ebbene sì, la stessa cosa che capita ai protagonisti della vicenda con il pianeta Arrakis!

Serve quindi, per chi già conosce e ama il romanzo, dimenticarlo e, molto semplicemente, ricominciare da zero, immedesimandosi nel giovane protagonista Paul Atreides – quindicenne, pur colto e privilegiato, che scopre in un colpo un intero Universo. Del resto si entra in sala ed è come nascere vergini e puri per ritrovarsi investiti dalla Storia del Mondo sintetizzata per immagini. Allora, fortunati coloro che, coraggiosi e dalla mente aperta, con questo film arrivano su Dune per la prima volta! I neofiti sono benedetti.

Se, come il bruno rampollo degli Atreides, non si ha paura di mettere a dura prova cuore e anima, muscoli e nervi, si viene catapultati in un crescendo di furia e sorprese. Un folle crescendo il cui senso è il piacere del viaggio, non certo il raggiungimento di una meta ancora al di là di qualsiasi portata, nostra come di Paul. Ciò che Villeneuve ci propone è solo il pazzo inizio di un percorso multiforme e sovrapposto, tra segnali di ardua decifrazione, lungo i primi passi su di un sentiero dorato a volte respingente, sempre impegnativo; le cui promesse di meraviglie, per una volta, non sono solo chiacchiere ipocrite da politici ma minacce concrete di assassini nati. Zaino Fremkit in spalla e si tiri un bel respiro nella maschera della tuta distillante.

Gli Harkonnen sembrano essere, tra le ombre, vampiri sadici che fanno paura? Beh, i fanatici Sardaukar fanno ancora più paura, e i killer Fremen paiono ulteriormente terrificanti. Ci accompagnano, nostro unico aiuto, le visioni dei sogni e degli incubi, che il magnifico protagonista tenta di ordinare in un caos sensoriale che prefigura la caduta nella follia. Paul Atreides stesso, nella scena centrale e più bella, per un momento cede, e urla contro la madre dominante e il destino gramo del padre assente, e si rannicchia scosso dai tremori lancinanti della droga esattamente come cede e urla e si rannicchia un drogato nel momento dell’overdose… Da quel rischio continuo non può non nascere il futuro Muad’Dib. Da questo rischio continuo deve rinascere al cinema la necessaria saga della Spezia.

Ma è inevitabile: il grande pubblico premierà l’enormità oscura. Lo fa da oltre cinquant’anni, con l’enigmatica immensità desertica del libro.

“Non si può capire un processo arrestandolo. La comprensione deve fluire insieme col processo, deve unirsi a esso e fluire con esso.”

(Denis Villeneuve in Dune, tratto da Frank Herbert in Dune: Prima Legge del Mentat)