Ho avuto una grande fortuna: quando ho cominciato a scrivere non era troppo difficile trovare un

 editore; ho cominciato con delle novelle, che sono state accettate subito, e i romanzi sono stati la logica conseguenza. Adesso però, con la crisi, è ora che scriva una mezza dozzina di best-sellers (al minimo), perché il pubblico ricominci ad interessarsi a me.Sono tempi difficili…

Quanto conta per te l’aspetto tecnico di una storia (intreccio, ritmo, stile) rispetto all’invenzione pura?

Quello che mi richiede più riflessione è l’aspetto tecnico. Quando comincio una storia, le idee le ho: l’aspetto “invenzione pura” è già più o meno completo. Cambio invece più volte il punto di vista, il ritmo della narrazione (mi capita di ricominciare più volte da capo), cogito sul come piazzare le cineprese (inquadratura a distanza o primo piano sul protagonista. Mi servo molto dello zoom e della carrellata) e cerco di utilizzare i cinque sensi. Secondo me è un elemento essenziale: detesto le storie in cui mancano gli odori, le musichette sullo sfondo, le storie in cui i suoni sono sordi o praticamente assenti, il tatto scarseggia. Vado matto per i romanzi di Valerio Evangelisti, per esempio, proprio perché sono di un’incredibile ricchezza sensoriale. Dovresti proprio dare un’occhiata ai lavori di Adriana Lorusso, un’autrice di cui ho avuto il piacere di pubblicare due romanzi con Bragelonne!L’invenzione pura è un regalo, è l’idea che mi viene sotto la doccia o prima di addormentarmi, che mi spinge a parlare da solo in giardino, arrabbiandomi pure: l’idea è là, sento che è buona, ma non so ancora come raccontarla. Sono trent’anni che ci lavoro su, ma ho ancora un bel po’ di strada davanti a me: quanto più si cammina, tanto più l’orizzonte si allontana. Ma la passeggiata è bella.

Considerato che accordarsi con un amico per la scelta di una pizzeria è già una cosa complicata, come hai fatto a costruire e gestire con Ayerdhal la complessa trama del romanzo Étoiles mourantes? Hai usato i muscoli o tanta diplomazia?

Hai proprio ragione a parlare di pizza: se Ayerdhal ed io siamo riusciti a lavorare così a lungo assieme (restando amici!) è proprio a causa del cibo… abbiamo passato altrettanto tempo in cucina (la sua o la mia) a preparare pietanze, a sbucciare verdure e a dosare spezie che a discutere del romanzo. Quando avevamo un problema, quando c’era un punto sul quale non eravamo d’accordo, preparavamo la cena per noi e per gli amici, dopo di che passavamo la notte a discutere in compagnia di una bottiglia di Armagnac. È così che siamo riusciti a non litigare!Per di più siamo entrambi negoziatori accaniti per cui, prima di cominciare a scrivere, abbiamo discusso il metodo di lavoro. Abbiamo fatto una scaletta enorme, elaborato un file di annotazioni (oltre cento pagine), in cui abbiamo ficcato tutto quello che ci sembrava utile (testi scientifici, appunti sui personaggi, sull’arte, la gastronomia delle diverse civiltà, tanto materiale, una parte del quale poi non abbiamo utilizzato), ma soprattutto ci siamo messi d’accordo perché ciascuno di noi avesse il diritto di cambiare tutto quello che voleva nei pezzi scritti dall’altro.È finita che ci siamo insegnati l’un l’altro le tecniche di scrittura. È stato un romanzo iniziatico – per noi. E ci siamo anche divertiti. Vedi? La pizza doveva essere buona.