Numerosi siti di cinema ieri hanno ricevuto dalla SIAE un "invito alla regolarizzazione", con allegata la nuova licenza con la quale la Società Autori ed Editori chiede soldi ai siti web per poter pubblicare sulle proprie pagine i trailer cinematografici. La richiesta viene presentata come una gentile concessione della SIAE, che chiede meno soldi (600 euro annui) e non pone limiti rispetto alla licenza che imponeva fino a poco tempo fa (1800 euro), quella dello streaming audio. Nella lettere viene fatto anche il nome di AssoWide, l'associazione degli operatori dell'intrattenimento digitale (della quale è socia anche Delos Books), come se fosse stata concordata con questa associazione. AssoWide, che viceversa ha sì discusso l'argomento con la SIAE segnalando tutti i punti per i quali riteneva questa licenza inaccettabile, ha prontamente pubblicato sul proprio sito la smentita di qualsiasi accordo e diffidato la SIAE da usare il proprio nome.

Dopo aver tentato di imporre licenze da 1800 l’anno e dopo la ribellione di alcuni siti - in prima linea i nostri - che aveva causato alcuni mesi fa grande rilievo sulla stampa, e le dichiarazioni scandalizzate di molti personaggi del mondo del cinema, la SIAE anche su pressione delle associazioni di categoria del cinema ha lavorato per rivedere le sue richieste e studiare una licenza apposita, che ora viene resa pubblica. La licenza prevede la gratuità per i siti non commerciali  e una tariffa di “soli” 600 euro all’anno per quelli “commerciali”, senza vincoli nel numero di video pubblicabili.

Attenzione a dove abbiamo messo le virgolette. Intanto sulla tariffa: 600 euro all’anno flat, il che vuol dire che 600 euro pagherà un colosso come MyMovies che incassa centinaia di migliaia di euro all’anno di pubblicità e che si occupa specificamente di cinema pubblicando centinaia di trailer al mese, e 600 euro dovrebbe pagare un sito come Fantascienza.com che si occupa di cinema solo parzialmente. Non solo: la nostra casa editrice ha cinque siti giornalistici e dovrebbe pagare quindi 3000 euro all’anno per pubblicare trailer, cifra che di fronte a un fatturato pubblicitario inferiore ai ventimila euro rappresenta circa il 15% del totale. Ci interessa pagare così tanto per abbellire le pagine con qualche video? No. Continuiamo a non pubblicare i trailer; metteremo i link agli altri siti, e se il lettore non avrà voglia di cliccare, non vedrà il trailer e non verrà convinto ad andare al cinema pazienza. Sarà qualche centesimo in meno nelle tasche della SIAE, mica nelle nostre.

Le altre virgolette le abbiamo messe sul termine “commerciale”, perché per la SIAE “commerciale” significa che contiene pubblicità a pagamento. Avete un blog che contiene un banner Adsense dal quale guadagnate cinquanta euro all’anno? Mettetecene sopra altri 550 (più l'Iva) e dateli alla SIAE, se volete mettere i trailer. Se no, la scelta è semplice: rinunciate ai vostri 50 euro, oppure rinunciate a fare pubblicità ai film.

E se il blog non guadagna veramente nulla, per poter mettere i trailer gratuitamente dovete registrare il sito alla SIAE, dando tutti i vostri dati (anche se siete magari minorenni). Così, casomai vi scappasse di pubblicare qualcosa di non consentito, la SIAE vi sarà addosso prima ancora che ve ne accorgiate.

Ma a cosa mira la SIAE con questa operazione? Quanti sono i siti di cinema che potrebbero aderire alla licenza? Dieci? Venti? Cento? Anche se fossero cento, per la SIAE significherebbe un incasso di 60.000 euro all'anno. Una goccia nel mare. Basterebbe equiparare lo stipendio del suo direttore generale Blandini allo stipendio massimo dei manager statali, 300.000 euro, per risparmiare già più del doppio di quella cifra. E allora che senso ha davvero tutto ciò?

Attenzione, perché ora viene il bello. Perché il sito che ha firmato e pagato la licenza, o il blog che ha eliminato i trailer non sono mica ancora a posto. Perché se ci sono dei banner Adsense sulle pagine probabilmente ogni tanto in quei banner passa un video, magari proprio un trailer se è la pubblicità di un film, e i video contengono generalmente musica. E guarda un po’, sulla licenza che la SIAE pretende per i trailer, è esplicitamente escluso il caso della pubblicità.

Una volta passata l’idea che la licenza va pagata, la SIAE si prepara quindi a un massiccio attacco contro tutti i siti web che ospitano banner pubblicitari. A ognuno verrà chiesto il pagamento della licenza per poter ospitare video comprendenti musica. E allora non ci sarà l'ANICA a trattare, non ci saranno i Carlo Verdone e i Massimo Boldi a dire che la SIAE sta sbagliando, e non ci sarà neppure la comprensione dell'opinione pubblica, perché la pubblicità è un introito, naturalmente. E allora le tariffe che verranno chiesta saranno ben oltre i seicento euro.

La SIAE si prepara a chiedere la sua fetta al mercato pubblicitario di internet. Una volta stabilito in modo definitivo, grazie alla manovra sui trailer, che la SIAE è competente a riscuotere soldi per la musica utilizzata sul web - cosa tutt'ora posta in dubbio - sarà il momento di attaccare una torta potenzialmente infinita. Una torta fatta di giganti (a partire da Google, che con la sua rete AdSense verrà probabilmente spolpata viva come è accaduto a YouTube) e di pesci grandi, medi, piccoli e piccolissimi.

Mentre scriviamo è appena stata stroncata dal ministro per lo sviluppo economico la pretesa della RAI di imporre il canone a chiunque possieda un computer, un tablet o uno smartphone, con la motivazione che sarebbe un’imposizione assurda e in contrasto con lo sviluppo del digitale nel nostro paese. Qui siamo di fronte a una pretesa del tutto analoga. Attaccare il mercato pubblicitario sulla rete danneggerà certo i grossi gruppi ma rischierà di mettere del tutto fuori gioco le migliaia di piccole realtà che con qualche banner coprono le spese e portano avanti attività online di ogni genere, quasi sempre sul filo del volontariato e dell’amatorialità. Un danno potenziale enorme per la cultura digitale in Italia, delle cui proporzioni probabilmente neppure la stessa SIAE, nella propria miopia, si rende conto.

Il mondo è cambiato. Pensare di applicare le stesse vecchie regole che la SIAE ha applicato per decenni a bar e barbieri che eseguivano musica nei propri locali non è pensabile. Imporre licenze a una realtà frattale, numericamente sterminata ed economicamente variabile dalla multinazionale al blogger minorenne non è solo sbagliato, è folle.

È folle perché ovviamente la SIAE non potrebbe mai andare da ogni singolo sito a chiedere i soldi dovuti. Ci sarà chi deciderà di correre il rischio e continuare a guadagnare dai banner sperando che la SIAE non lo veda, e chi pagherà o sceglierà di ridurre i propri introiti. Una classica situazione all'italiana, in cui essere ligi alle regole rappresenta uno svantaggio economico.

L’unico modello sensato attuabile è che i diritti, se vanno pagati, siano pagati all’origine da chi produce e distribuisce i video, che siano trailer o che siano spot pubblicitari. Solo così sarà possibile riconoscere interamente il dovuto a chi di dovere e mantenere la legalità.

Difficile che la SIAE lo capisca da sola. Forse un cambiamento di prospettiva di questo tipo potrebbe anche andare oltre le sue possibilità e richiedere atti normativi. Ci auguriamo che qualcuno - che sia un ministro, che sia un accordo a livello europeo, che sia una sentenza di tribunale - trovi una soluzione prima che sia troppo tardi.