Per il mese di agosto troviamo in edicola il romanzo Alla fine dell’arcobaleno (Rainbows End, 2006), ultimo romanzo scritto da Vernor Vinge, con il quale ha vinto il suo quarto Premio Hugo, dopo averlo vinto nel 1993 con Universo incostante, nel 2000 con Quando la luce tornerà (entrambi pubblicati da Editrice Nord), a cui si deve aggiungere il romanzo breve I simulacri (Delos Books – collana Odissea) anche lui vincitore del Premio Hugo 2004. Coloro che amano la fantascienza che si fonda su solide basi scientifiche non possono non apprezzare i suoi romanzi.
Erano ormai vari anni che si attendeva di leggere un suo nuovo romanzo. Rainbows End si svolge nello stesso universo che troviamo nel racconto Tempi veloci a Fairmont High, quest’ultimo incluso nel volume Tutti i racconti – vol. 2° (Editrice Nord – 2007).
In merito al contenuto di Rainbows End, riportiamo parte di quanto ha scritto Giuseppe Lippi, curatore di Urania: "Costituisce un tentativo in una nuova direzione: descrivere il mondo del prossimo futuro come in un documentario scientifico, con una tecnica distaccata che potremmo quasi definire kubrickiana. Il romanzo non è di genere spaziale ma terrestre, informatico per la precisione: è la cibernetica che plasma la vita del 2025, come non è difficile immaginare dalla prospettiva del 2006. Ma le trasformazioni sono state radicali e i vecchi computer non esistono più: il loro posto è stato preso da intricatissime connessioni individuali rese possibili da un balzo tecnologico che per ora possiamo soltanto immaginare. Rainbows End non si è limitato a vincere lo Hugo ma anche il premio Locus, ed è stato candidato al John W. Campbell Award. Per il momento è l'ultimo romanzo da lui pubblicato".
L’autore. L’autore, classe 1944, è nato nel Wisconsin. Professore di matematica, ha insegnato per lunghi anni la materia all’Università di San Diego. Affermatosi come scrittore ha lasciato l’insegnamento per dedicarsi completamente alla scrittura. Ha esordito nel 1965 con Bookworm, Run! (Corri, Norman corri!), racconto compreso nell'antologia Tutti i racconti – volume 1 (Editrice Nord – 2006). Nei primi tempi si trova a suo agio solo nello scrivere racconti, che oltretutto trova facilmente piazzabili, come lui stesso ha dichiarato. L’occasione per passare al romanzo arriva con il racconto Grimm’s Story (1968), in un primo tempo pubblicato da Damon Knight nella collana Orbit. Knight gli disse che se ampliava il racconto in romanzo lo avrebbe pubblicato su un'altra collana. L’operazione gli riuscì alla perfezione e nel 1969 veniva pubblicato il romanzo Grimm’s World, pubblicato su Urania con il titolo Il mondo di Grimm. Sempre per Urania sono stati pubblicati i romanzi Naufragio su Giri, Quando scoppiò la pace e I naufraghi del tempo. Successivamente arrivano i capolavori che abbiamo citato, vincitori degli Hugo.
La quarta di copertina. Ci sono molti modi per viaggiare nel tempo: uno, completamente inedito, consiste nel ritrovare la memoria dopo anni di semi-incoscienza dovuti al morbo di Alzheimer. È quello che succede a Robert Gu, sbalzato nella San Diego del 2025, dove una sofisticata tecnologia informatica costituisce ormai l’interfaccia del mondo. I vecchi, ingombranti computer non esistono più ma qualcuno pensa di inserirsi nelle nuove connessioni individuali, minando la realtà alla radice. Robert Gu si trova immischiato in una pericolosa partita dalla quale potranno salvarlo, forse, solo una ragazza di tredici anni e il misterioso personaggio che appare ad alcuni sotto la forma di… coniglio.
Vernor Vinge, Alla fine dell’arcobaleno (Rainbows End, 2006)
Traduzione Flora Staglianò, Mondadori, collana Urania 1561, pagg. 346, euro 4,20
181 commenti
Aggiungi un commentoneanche gli altri link erano in italiano, Algernon glielo ha detto
Google traduce tutto. Magari la traduzione sarà meno elegante, ma di sicuro non è asciugata
S*
Rispondo un tantino in ritardo. Certo che anche il mio romanzo è passato per l'editing, e ha subìto modifiche e tagli. Del che, vi assicuro, sono felicissimo. Se dovesse esserci una eventuale riedizione, taglierò ancora. Penso che in 531 pagine vi possa essere parecchia roba inutile, (qualche spiritoso potrà dirmi che ce ne sono 531) e molte frasi che si potrebbero esprimere con un meno parole, molte osservazioni superflue, passaggi non essenziali o statici. Di fronte a questa roba - che chi scrive può individuare da sé soltanto se è trascorso un certo lasso di tempo, cioé con un occhio un po' più estraneo o distante - di solito io seguo un mio metodo: leggo il brano a voce alta e cerco di immedesimarmi in un ipotetico pubblico che ascolta. Se mi sembra che tutto fili speditamente, mantenga un ritmo o un interesse, ok. Altrimenti giù la scure, senza pietà. E comunque un occhio "terzo", competente, è sempre la cosa migliore. Ovviamente se si tratta non di un romanzo ma di un racconto, le cose vanno un po' diversamente. Ma anche lì va fatto un controllo.
Comunque il mio ri-lettore/editor è stato Valla, che a mio parere ha fatto un lavoro eccellente. Si è concentrato soprattutto sulle prime 100 pagine, lasciando poi a me il compito di proseguire su una certa linea. Ed è stato anche un simpatico, continuo scambio di opinioni.
Saluti a tutti.
Però se all'editing hai partecipato tu, o meglio lo hai fatto tu insieme all'editor, è un caso che esula dal discorso di questo thread, cioé i tagli imposti dall'editore all'insaputa dell'autore.
Ad ogni modo io l'ho letto, e non ho trovato lungaggini o punti morti. Mi sembra che le 531 pagine ci stiano tutte, perché una storia complessa con tanti personaggi ogni tanto ha anche bisogno di far tirare un po' il fiato, quindi ben vengano osservazioni, descrizioni e così via.
E non solo: nel caso di cui stiamo discutendo i tagli non sono finalizzati a migliorare l'opera (attività che presumo sia stata precedentemente svolta dall'editor americano di Vinge) ma esclusivamente a far rientrare la dimensione della stessa entro limiti vincolanti.
Con questo non voglio dire che l'opera non possa averci guadagnato (come piu' o meno maliziosamente altri hanno sostenuto), ma se cio' e' avvenuto - e comunque il giudizio su questo e' decisamente soggettivo - si tratta di un sottoprodotto sostanzialmente accidentale dell'intervento
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