Ciò influenza in modo determinante il modo con cui gli enti pubblici si rapportano con i propri
Scrivendo il suo capolavoro, Bester aveva ben chiaro dove le moderne società stavano andando. A prima vista la pena della “disintegrazione” psicologica ha un sapore reazionario; in realtà esprime, in maniera provocatoria, la necessità di rinnovamento nel modo di pensare e di porsi davanti alle sfide della ipertecnologica civiltà che il futuro ci prospetta. Sotto questo aspetto la riforma Brunetta appare parziale e lacunosa. Concetti quali merito, benessere organizzativo, qualità, sono espressi in teoria, ma non sembra esserci una vera volontà di mettere in grado la pubblica amministrazione di affrontare i cambiamenti, soprattutto concettuali, che ci attendono nei prossimi decenni. Anzi, i segnali esprimono semmai una pericolosa voglia di tornare indietro sul terreno delle conquiste finora ottenute. Pericolosa perché impossibile da realizzare, e quindi generatrice di tensioni sociali.
La realtà è che all'intera classe politica, di destra e di sinistra, non interessa avere una pubblica amministrazione efficiente, ma bensì una pubblica amministrazione ubbidiente, cioé in grado di mettere in campo le azioni "giuste" al momento "giusto". La disintegrazione dei pubblici dipendenti è pertanto uno dei modi con cui, anche attraverso l’uso di strumenti psicologici coercitivi, si prova a domare gli aspetti della personalità – casualmente quelli più creativi - che possono entrare in conflitto con questo tipo di visione e i suoi valori. Valori che non trovano quasi più riscontro nel mondo esterno. Se Bester fosse ancora vivo, metterebbe mano alla tastiera e scriverebbe un racconto dei suoi: ferocemente ironico, profondamente autentico.












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