- Tu fila da tua madre – ordinò il marinaio a Davide. Il ragazzo si infilò nella tuga e scese di corsa le scalette.- Bene – sentenziò Lasco quando lo vide sparire.- Buon vento, Lasco – salutarono gli altri due.

- Buon vento a voi, ragazzi – rispose lui, quindi scrollò la testa e fece una smorfia di sopportazione.

I due scalpicciarono giù dalla passerella, passando di fianco al nuovo venuto senza neppure vederlo, piccole furie scatenate che presto scomparvero lungo il pontile.

Il giovane aveva assistito a tutta la scena, divertito. La sua attenzione si fermò sul volto dell’uomo. Scarno, cotto dal sole, con occhi grandi e scuri ed un naso sottile sopra le labbra tirate.

- Allievo di prima classe Cesare Airoldi – si presentò. Appoggiò la sacca a terra, portò l’avambraccio sinistro dietro la schiena e il pugno destro batté sulla spalla opposta nell’antico segno del nodo parlato. – Chiedo il permesso di salire a bordo, signore.

- Permesso accordato. Vi stavamo aspettando – disse l’altro. – Chiamatemi pure Lasco, come tutti. – Si afferrò i pantaloni chiari e li scosse. – Per via dei vestiti larghi che porto – spiegò. – Adesso, seguitemi. Vi accompagno dal capitano.

Cesare si accodò e scesero sottocoperta. Percorsero uno stretto corridoio nel quale si aprivano alcune cabine chiuse. In fondo, verso poppa, la porta a griglia era aperta. Una donna stava seduta ad una scrivania d’altri tempi tutta intarsi e fregi.

Lasco bussò sullo stipite. – Il nuovo allievo, capitano – annunciò e si trasse di lato.

Prima ancora di entrare nel modesto locale, Cesare notò il ragazzetto dai capelli rossi starsene in disparte mogio mogio, gli occhi abbassati ad osservarsi la punta dei sandali.

- Adesso puoi andare – disse la donna rivolta a Davide. Il rosso sgattaiolò fuori e quasi si scontrò con il nuovo ospite. Non chiese nemmeno scusa, tanta era la fretta.

Il capitano, nel frattempo, si era alzato. La sua folta capigliatura, color rosso fiamma, risaltava sul giubbino azzurro pastello. Una nuvola di efelidi spruzzava il volto allungato che, oltre la piccola bocca, terminava in un mento sottile ma robusto. Era una donna alta, slanciata, dal portamento deciso, con mani forti dalle dita affusolate. Gli occhi grandi, dalle sfumature smeraldo, fissarono Cesare.

- Mio figlio – disse la donna, accennando al ragazzo in fuga. – Non imparerà mai a tenere la lingua a freno. – Fece un cenno di rassegnazione con la testa. – Sono Ileana Scuttari, capitano del Quarnaro, Clan Doria-Scarmanati. Buon vento, allievo. Accomodatevi.

Dopo essersi presentato, Cesare prese posto di fronte alla scrivania, sulla quale spiccava uno schermo piatto. Alle spalle del capitano, due lunghe mensole occupavano la parete di fondo. Sui pianali, allineate in bell’ordine, svariate apparecchiature di controllo ammiccavano con luci verdi e rosse. Una targa di metallo, fissata alla parete, portava inciso: “È al mare che dobbiamo il legame universale tra tutti i popoli della Terra – Capt. Matthew Fontaine Maury”

- Ho ricevuto i vostro incartamento ieri sera – continuò la Scuttari, battendo con l’unghia sul video. – Voi non fate ancòra parte di una Famiglia.

- No – ammise il giovane, un po’ a disagio. – Devo prima essere adottato.

- Non preoccupatevi per questo, abbiamo tempo. Leggo qui che siete figlio naturale di un Marconiano e di una Eco. Dove avete vissuto?