L’importanza di un’autodisciplina nella regolamentazione delle emissioni dei gas serra è davanti agli occhi di tutti. L’indifferenza americana al Protocollo di Kyoto ha fatto a lungo discutere e se la stagione degli uragani si è abbattuta sugli Stati Uniti con la puntualità di un castigo biblico, in pochi hanno messo in evidenza come gli sconvolgimenti climatici tanto riveriti dalla TV siano la logica conseguenza di decenni di politica ecologica criminale, frutto di una limitatezza di vedute e di un’ignoranza catastrofiche.

 

Mentre l’America continua a piangere i suoi morti senza nemmeno riflettere sulla necessità di un piano concreto di prevenzione, mentre nuovi flagelli colpiscono sia gli stati poveri dell’America Latina sia il benestante cuore dell’Europa e le isole dell’Estremo Oriente, senza fare distinzioni geografiche o politiche di sorta, una indagine scientifica ha prodotto una proiezione meteorologica attendibile sul futuro del pianeta Terra, pubblicata lo scorso 1° novembre sulle pagine del Journal of Climate dell’American Meteorological Society. E c’è ben poco da stare tranquilli.

 

Gli autori della ricerca sono i fisici dell’atmosfera del Lawrence Livermore National Laboratory, in California, che si sono avvalsi di un nuovo modello di supercomputer, il BluGene/L, capace di 280 teraflops, vale a dire 280mila miliardi di operazioni al secondo. Grazie a questo potente strumento gli scienziati sono riusciti ad applicare complessi modelli climatici, spingendo le previsioni fino al 2300, rimanendone inorriditi. I primi risultati dicono che, bruciando tutti i combustibili fossili disponibili, la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera passerebbe dall’attuale valore di 380 parti per milione (ppm) allo spaventoso picco di 1423 ppm, con un conseguente aumento di 8 °C nella temperatura media globale, passando dagli attuali 16 a 24 °C. 8 °C è però un valore medio globale: l’aumento di temperatura nelle regioni polari sarà in realtà di ben 20 °C. Questo riscaldamento, come è intuibile, produrrà il disgelo delle calotte polari e in conseguenza della loro distruzione il livello del mare salirà di circa 7 m. Uno scenario da film catastrofico, ma la scelta non è ancora chiara tra Waterworld di Kevin Reynolds e L’alba del giorno dopo di Roland Emmerich. Un’improvvisa comparsa di instabilità nel sistema climatico (evento non escludibile a priori, vista la natura caotica dei processi atmosferici) potrebbe infatti originare conseguenze ancora inimmaginabili, come appunto la transizione da un regime caldo al freddo con inevitabile, nuova glaciazione. Con buona pace per Michael Chricton e i suoi sproloqui…