Come letteratura di idee la fantascienza ha l'abitudine alle ipotesi strane, ma qualcuna è tanto fantasiosa da spingere a chiedersi come abbia fatto l'autore a immaginarsela.

E quanto a stranezza le trovate di Jacques Spitz non sono seconde a nessuno: dal furto di aria perpetrato ai nostri danni da marziani e venusiani sino a uomini grandi come dirigibili o minuscoli come granelli di sabbia, passando per quella che è forse la più strana di tutte, e che sta alla base de L'occhio del purgatorio.

Artista incompreso, Poldonsky conduce una vita isolata e senza molte speranze di veder riconosciuto il suo talento, il giovane sta addirittura meditando di compiere un passo estremo, quando casualmente incontra un bizzarro personaggio, Christian Dagerlöff.

Bizzarro ma affascinante il nuovo amico dice di essere un genio, ma il suo lavoro all'istituto Pasteur è quello di inserviente, non di scienziato, e le sue idee sono alquanto curiose, egli sostiene infatti che l'uomo e gli animali vivono in tempi diversi, che la mosca o la lepre possono prevedere il futuro, mentre la lenta mucca vede le cose dopo che sono accadute.

Poco tempo dopo una serie di inconvenienti inizia a funestare le giornate di Poldonsky, prima cose di poco conto come l'acqua che esce gialla dal rubinetto o la lametta arrugginita, ma poi schifosi intrugli serviti al ristorante o visioni orribili di animali o persone morte che passeggiano per strada.

L'artista pensa di avere problemi alla vista o allucinazioni, poi una lettera di Dagerlöff gli svela il mistero, il bizzarro vecchio gli ha infettato gli occhi con un batterio che anticipa il futuro.

Quello che è peggio è che ogni generazione del batterio progredisce nell'anticipare gli eventi, per cui Poldonsky vede le cose come saranno, e le vedrà sempre più avanti nel tempo.

L'involontaria cavia umana inizia a chiedersi quando e se questo fenomeno si fermerà, mentre attorno a lui le cose diventano sempre più orribili e la vita più difficile.

Questo romanzo è sorretto da una grande idea, e vive sulla progressiva fuga nel futuro della vista del protagonista, costellata di momenti memorabili, che segnano il percorso di un inesorabile disfacimento, come la visione allo specchio della propria morte, seguita da una orrribile putrefazione.

Nonostante il pessimismo di fondo nel romanzo non mancano i momenti leggeri, come quando il protagonista, che inizia a vedere sempre più scheletri, commenta ironicamente che dopotutto potrebbe avere un futuro come radiologo.

Lo stile è antiquato ma si adatta benissimo alla storia, Spitz ci mostra come la vita sia effimera, una breve illusione destinata a finire subito, il monito "polvere alla polvere" per l'autore francese è reale, non ci sono soluzioni al disfacimento.

Senza dubbio L'occhio del purgatorio è il miglior romanzo di Spitz, la sola opera pubblicata in Italia per molto tempo, ma che non si è lasciata dimenticare, tanto che qualcuno ha pensato di ricavarne un corto, che trovate a questo indirizzo: www.posthuman.it/index.php?option=com_content&task=view&id=15&Itemid=29 e cattura bene lo spirito dell'opera, per quanto la storia sia differente.

Completa il volume il romanzo breve Le Mosche (La guerre des mouches, 1938, traduttore Giuseppe Lippi), una storia a suo modo affascinante sulla battaglia che l'uomo combatte contro un nemico improbabile, una specie di mosca diventata intelligente, per saperne di più potete consultare questa recensione: www.fantascienza.com/magazine/libri/7848/incubi-perfetti/, non c'è che dire, un numero di Urania Collezione decisamente denso.