La Terra, ci insegnano a scuola, è come un’arancia. Nei panni di una civiltà avanzatissima, con un vantaggio tecnologico sull’umanità di diverse migliaia di secoli, chi saprebbe quindi resistere a sbucciarla? Le invisibili creature aliene che si muovono dietro le quinte di questo sensazionale romanzo breve di Stross no di certo e, non paghi di questo, dopo avere spianato la Terra il 2 ottobre del 1962 la trasportano istantaneamente un milione di anni nel futuro, a 160.000 anni-luce dalla sua sede originaria. La destinazione dell’evento noto ufficiosamente come “lo Spostamento” è nella Piccola Nube di Magellano, dalla quale la vecchia Via Lattea appare come un enorme gorgo rossastro, che tinge di sangue le notti prive di Luna.

Gli inquilini del pianeta si ritrovano così schiavi di un disco enorme, che gli scienziati stimano potere ospitare molti miliardi di Terre vista l’immensa estensione della sua superficie e che, in virtù della sua massa stimata in non meno di cinquantamila soli, è una prigione cosmica che schiaccia al suolo razzi e sonde, sbaragliando qualsiasi tentativo di sfida da parte della più avanzata tecnologia missilistica terrestre. Malgrado le potenzialità portentose dispiegate agli umani, nemmeno lo Spostamento ha saputo tuttavia cristallizzare definitivamente la Guerra Fredda, che anzi si avvia, nei distopici anni Settanta che fanno da sfondo alle vicende della novella, a riscaldarsi sempre di più.

Universo distorto parte da un assunto che definire assurdo sarebbe riduttivo e ne sviluppa le premesse spingendo verso l’estremo la sua logica del bizzarro, testimoniando un rigore implacabile e allo stesso tempo un’inventiva in grado di competere con le più astruse teorie cosmologiche. Un’atmosfera onirica regna sovrana nelle prime pagine, grazie a una galleria di personaggi che mette insieme echi letterari (il kafkiano Gregor Samsa, agente segreto al servizio di un ente oscuro) e cinematografici (il suo capo Seth Brundle, che i seguaci di David Cronenberg non esiteranno a identificare) con figure storiche (lo scienziato Carl Sagan, il cosmonauta Yuri Gagarin) e creazioni letterarie che echeggiano i romanzi d’appendice di fine Ottocento (la sfortunata ma tenace Maddy Holbright e il ricercatore, entomologo, esploratore, John Martin). Ma con il proseguire della storia nuovi elementi vengono impiantati sull’asse portante di questo scenario singolare. Il fascino della Frontiera si rivela in tutta la sua forza al compagno colonnello Gagarin, mandato in ricognizione dal PCUS a bordo di un ecranoplano, incaricato di condurlo in una “storica missione quinquennale […] là dove nessun sovietico è mai giunto prima, per esplorare nuovi mondi, ricercare nuove civiltà e stabilire fraterne relazioni socialiste con loro”. E con lui anche i pionieri Maddy e Martin, arruolati dal Servizio Coloniale e spediti come carne da cannone sul desertico continente codificato come F-2004, New Iowa, a Fort Eisenhower, un “avamposto a metà strada tra il Selvaggio West e l’Era del Radar”, non tarderanno a scoprire il risvolto più cupo dell’ignoto.

Negli strascichi di un conflitto geopolitico mai sopito, la trama si tinge del fumo della spy-story fino a consegnarci, per “bocca” dei personaggi più improbabili di tutto il libro, le guest star in trasferta dalla Metamorfosi e dalla Mosca, una catena di rivelazioni in un processo a cascata, un effetto domino che, seppure capace di illuminare l’intero universo narrativo di Charles Stross, potrebbe non condurre nemmeno a un esito definitivo. È un gioco di scatole cinesi che sarebbe piaciuto a Philip K. Dick, che delle realtà annidate fece una delle colonne portanti della sua cosmogonia privata.

I sottotesti che potremmo voler leggere in Universo distorto sono molteplici, dalle potenzialità mitopoietiche della letteratura alle connessioni della fantascienza con l’immaginario popolare, fino alla ricostruzione d’ambiente capace di gettare una nuova, sinistra luce sui mitici anni Settanta (e non solo quelli, a dire la verità). I retroscena sono poi una sintesi mirabile tra la frenesia speculativa di Accelerando e la sindrome del controllo che fa da sfondo alla Galassia “eschatonizzata” de L’alba del disastro, che riesce a fare affiorare progressivamente la profondità di una prospettiva postumana (o postesapodica?) in un contesto apparentemente relegato in una dimensione atemporale. E l’elemento di maggior pregio di questo romanzo breve è forse proprio la sua carica immaginifica, capace di regalarci visioni spiazzanti coniugando il surreale all’orrore, senza paura di innestare la marcia quando si tratta di virare il sogno nell’incubo.