Un capolavoro di fronte al quale è difficile mantenere salda l'emozione.

Un film che porta lo spettatore nel cuore di un inferno in cui la morte potrebbe sembrare perfino un sollievo se non fosse per le persone che si lasciano a casa: mogli, fidanzate, madri, figli cui dedicare un ultimo pensiero, cui scrivere un'ultima lettera attraverso cui esprimere amore, malinconia, disperazione e nostalgia.

Secondo film dedicato da Clint Eastwood ad una delle più sanguinose battaglie della Seconda Guerra Mondiale, Letters from Iwo Jima non offre al pubblico soltanto il punto di vista giapponese sullo scontro, andando ben oltre.

Letters from Iwo Jima, infatti, è l'occasione per un'indagine psicologica nei cuori e nelle menti di soldati pronti a fare il proprio dovere, nonostante tutto.

Scritto dalla nippo-americana Iris Yamashita il film offre una prospettiva tutta femminile e intimista su una battaglia insensata combattuta con onore e coraggio da un uomo che sapeva inevitabilmente di perdere. Uno straordinario Ken Watanabe interpreta il generale Tadamichi Kuribayashi che pur essendo stato amico degli americani prima della guerra e non condividendo praticamente nulla delle scelte belliche del suo paese, ha orchestrato, comunque, una strenua difesa del primo lembo di terra giapponese. Una resistenza disperata senza viveri e armi per più di un mese, scavando nella terra dell'isola pur di mettere - se non altro - in difficoltà il nemico.

Letters from Iwo Jima rappresenta per Clint Eastwood l'occasione perfetta per raccontare il conflitto seguendo una prospettiva narrativa umana e personale. Le lettere, mai recapitate, di padri, mariti,amici e figli sono la testimonianza di orrori e dolori inimmaginabili. Eastwood, così, restituisce voce ai soldati del Sol Levante riportando il loro inutile sacrificio nella prospettiva di uno scontro necessario tra due culture affinché quello che è accaduto non succeda di nuovo. Se c'è un nemico 'giurato' contro cui il regista sembra scagliarsi, il suo nome è certamente l'ignoranza. E' quella che separa i popoli lasciando terreno fertile al fanatismo e - peggio ancora - alla propaganda insensata.

Eastwood obbligando la Warner all'uscita del film in versione giapponese in tutto il mondo, cattura l'anima dei protagonisti dando nuovamente loro - stavolta - la facoltà di parlare, raccontando i propri stati d'animo in quel frangente così estremo e senza speranza.

Seguendo il ritrovamento di alcune di quelle lettere e di gran parte dell'epistolario del generale Tadamichi Kuribayashi, Eastwood racconta senza mezzi termini una tragedia spaventosa in cui ogni singolo soldato doveva guardarsi non solo dai nemici, ma anche da commilitoni esaltati e pronti al suicidio rituale.

Un film disperato e fortemente malinconico in cui le parole di Tadamichi a suo figlio toccano il cuore dello spettatore, commuovendolo e non solo: obbligandolo a riflettere su quello che è accaduto sessanta anni fa in un'isola dell'oceano Pacifico e come la perdita di tante vite sia - di fatto - un monumento ai Moloch che flagellano da sempre l'umanità: menzogna, stupidità, ignoranza, cattiveria e - soprattutto - fanatismo.