In un'orgia di sangue a tratti insopportabile Mel Gibson descrive le ultime dodici ore della vita di Gesù Cristo con toni radicali al limite della decenza. Lontani dal presunto scandalo antisemita, probabilmente montato ad arte per motivi strategici di marketing, La Passione di Cristo offre allo spettatore la visione intransigente di un dolore controbilanciato da una scarsissima spiritualità. Un film tutto giocato sull'irrazionalità della vendetta e sulla passionalità di una giornata di straordinaria follia.

Con Satana in persona che assiste all'agonia di Cristo, con Giuda che incontra diavoli e mostri (ad un certo punto si ha la sensazione che dopo avere tradito Gesù abbia perfino un fugace randevous con un Urukai transfugo dal set del Signore degli Anelli...) La passione di Cristo viene proposto al pubblico in latino e aramaico con i sottotitoli per enfatizzare il tono da 'Asterix contro gli Israeliti' assunto di tanto in tanto dalla narrazione e dalla recitazione di alcuni interpreti.

In questo delirio di onnipotenza sanguinolenta tra primi piani ravvicinati dei chiodi che entrano nella carne, colpi di frusta e crudeltà gratuita, Mel Gibson ha una vera e propria intuizione nel rendere al meglio le figure femminili rappresentate dalla Madonna e dalla Maddalena, nonché da Claudia Procula moglie di Ponzio Pilato e dalla Veronica.

Tra ebrei e romani maschi che si comportano come selvaggi degni del miglior derby postmoderno, le donne del film incarnano quei valori di compassione e umanità in grado di conquistare con dolcezza e spiritualità l'anima delle persone. In particolare Gibson ci avvicina molto alla matrice ebraica della maternità della Madonna interpretata da Maia Morgestern, un'attrice ebrea rumena in grado di conferire alla figura di Maria un'intensità espressiva unica.

Sulle orme di Pasolini, poi, Mel Gibson utilizza i Sassi di Matera per mettere in scena una crocifissione spaventosa in cui l'unica figura positiva sembra essere quella del Dismas interpretato da Sergio Rubini. Un buon ladrone in grado di esprimere una profonda fede di fronte ad un massacro fisico che appare decisamente insensato anche agli occhi dello spettatore meglio disposto.

Un film duro ed estremista in cui i flashback dell'ultima cena sono raramente in grado di esprimere la vera forza spirituale del messaggio cristiano. Non mancano i momenti di grande cinema, ma anziché puntare ad una visione vigorosa e al tempo stesso rigorosa della passione di Cristo, Mel Gibson sembra obnubilato dal delirio di onnipotenza e dal volere vedere a tutti i costi versare del sangue. Anziché seguire le tradizionali trentanove frustate e le tre cadute sulla via del Calvario, Gibson esaspera il crollo psicofisico di Gesù che viene randellato sulle spalle e sulla parte anteriore del corpo circa un centinaio di volte con una crudeltà peggiore e per certi versi più risibile della barzelletta del "più forte ragazzi'.

Il problema è che - un po' alla MacLuhan - il regista americano è sedotto dal mezzo, ma sembra prestare poca o comunque scarsa attenzione al messaggio. Che senso ha tutto questo dolore se non gli si dà una prospettiva ultramondana che sia qualcosa di più rispetto al finale risibile con un Jim Caviezel mai all'altezza durante tutto il film e che per peggiorare le cose guarda verso la macchina da presa con l'aria del "Vi ho fregato!".

Qui non si tratta di fede, ma di modo tangibile per parlare delle radici di un sacrificio.

Tutto viene coperto da una doccia scozzese di sangue e cattiveria in nome di qualcosa di difficile da comprendere.

Se questa è l'umanità, allora, forse era meglio lasciarla a Satana...non è enfatizzando il male degli uomini che si apprezza di più il sacrificio di Gesù e - soprattutto - non lo si po' fare con un diavolo sulla scena come nei cartoni animati di Walt Disney quando Qui, Quo e Qua fanno i dispetti a Paperino stimolati dal diavoletto.

Tanti teologi e tanti uomini di fede coinvolti per una visione manichea in qualche maniera assolutrice della cattiveria umana? Sarà anche un film nato in reazione all'11 settembre, ma - alla fine - La Passione di Cristo è più degno del 1° aprile o del 2 novembre...

Qui, infatti, non si tratta di sonno della ragione, ma di un vero e proprio letargo al limite del comatoso difficile sia da apprezzare che da comprendere.