Ritto in piedi sul ponte superiore, Ender si guardava at­torno con aria assorta, le sopracciglia grosse come cespugli che sem­bravano volergli cadere negli occhi.— Immagino che non sia il momento più adatto per disturbarla — disse una voce alle sue spalle, facendolo sussultare, — ma ho una cosa importante di cui parlare con lei.Ender si girò e incontrò gli occhi celesti di Silvia Waas. Anche lei, come la maggior parte delle donne che avevano deciso di affrontare il fascino e i disagi dell’avventura spa­ziale, portava i capelli rasati e un innesto nella parte alta delle narici che le avrebbe consentito, in caso di emergenza, di colle­garsi rapidamente a un sistema ausiliario di respirazione ar­tificiale.

Anche Tanitha Bekaram e Kay-Won disponevano di quell’accessorio, e praticamente tutti gli ingegneri planiformanti che Ender aveva conosciuto. Lui solo sembrava esserne sprovvisto.

— Non mi disturba affatto — disse con insolita condiscendenza. Silvia Waas era una bella donna, ma i suoi lineamenti avevano il freddo profilo degli ufficiali spaziali, che riuscivano a inquietarlo. — Stavo contemplando il paesaggio. Non le sembra straordinario?

Silvia si avvicinò allargando le gambe per non perdere l’equilibrio quando il jetcraft s’impennò su un getto di spuma.

— Credo di avere scoperto qualcosa — affermò venendo subito al dunque. — Credo di sapere perché siamo di­retti all’isola L-24. Vi sono chiare tracce di emissioni empatiche provenienti da quel luogo. Forse latenti, forse dotate di un gradiente di attività. In ogni caso molto interessanti.

Ender continuò a guardarla senza cambiare espressione, con le sopracciglia che vibravano a causa del vento e il sapore salmastro del mare sulle labbra. Quando lo specialista medico fece per parlare an­cora, lui alzò la mano e tornò a studiare il profilo delle isole che cor­revano a pochi chilometri di distanza dallo scafo. Alcuni torrioni di roccia s’impennavano per centinaia di metri, come le dita ossute di giganti di roccia addormentati nell’acqua.

— Non ero stato informato della presenza di altri empatici sul pia­neta, oltre al sottoscritto — disse con tono tranquillo. — Il motivo?

Silvia Waas restò impassibile.

— Ho un impianto di regressione permanente — rivelò. — Dovrei essere un soggetto inibito, ma lei sa come vanno queste cose.

Ender annuì. Certo che lo sapeva. Anche lui aveva portato per qualche tempo un impianto inibitore delle facoltà empa­tiche, ma non era servito a niente. Le voci, i suoni, il mormorio di fondo di tutte le menti umane che lo circondavano fil­travano ugualmente attraverso la barriera chimica di regresso e arri­vavano a scuoterlo in piena notte, come ondate di marea che si in­frangevano contro gli scogli e non lo facevano dormire.

La cura migliore, gli era stato detto dai medici, era abbandonare ogni inibizione e allontanarsi dai pianeti densamente popolati, dove miliardi di menti umane lavoravano incessantemente, anche di notte, diffondendo un’inarrestabile radiazione empatica che l’avrebbe tor­mentato per il resto della sua vita.

Lo spazio era l’ambiente ideale per soggetti come lui, dotati di quella particolare sensibilità.

— Spero che questo non le crei dei problemi — aggiunse Silvia Waas. Invece di rispondere, Ender si strinse nelle spalle e tornò a consultare le carte che teneva affrancate a un ripiano sotto la bussola.

— Cerchi di tenerselo per lei, se può — disse quando Silvia era quasi arrivata al pozzetto di discesa per le cabine. — Non voglio interferenze da parte degli ingegneri planiformanti. Questo non è materiale per l’Ufficio. Per quanto li riguarda stiamo cercando segnali di vita aliena a tempo perso.

Lo specialista medico corrugò impercettibilmente la fronte e annuì.

Quattro

— Non mi piace lavorare in questo modo — affermò Kay-Won strin­gendo la tazza di caffè bollente. — I misteri di Dubigan, nel novanta per cento dei casi, portano guai.

Il jetcraft era alla fonda in una piccola ansa dell’isola L-24, e lo specialista pilota era rimasto a bordo insieme a Silvia Waas, mentre Ender e la sua assistente erano scesi a terra per un rilevamento preliminare.

— Se ci tengono all’oscuro, è perché c’è sotto qualcosa di storto — grugnì il pilota di origini cinesi sedendo accanto a Silvia, che sorbiva il caffè in silenzio. — Giuro che se sento strani versi o l’ac­cenno di un grido tiro su l’ancora e mollo qui Dubigan con la sua amichetta.

Lei storse la bocca.

— Piantala di dire fesserie. Che cosa vuoi che… — S’interruppe di colpo, con la fronte aggrottata e gli occhi sgranati.

— Che succede? — le chiese Kay-Won.

— Prendi un’arma e seguimi — ordinò.

— Un’arma?