Simmons è un autore relativamente giovane, giunto al successo e alla notorietà in campo SF con opere (tra tutte, citiamo la quadrilogia su Hyperion) risalenti a dieci anni fa o anche meno. Nonostante il suo arrivo recente nel ristretto gotha fantascientifico, Simmons è però già considerato da molti un Maestro.

Personalmente, condividiamo tale valutazione: il bravo Dan è un tipino solerte, uno di quegli operosi scrittori-metalmeccanici che sgobbano e si documentano, e che non scriverebbero mai del calzolaio all'angolo senza prima aver passato un mese come apprendista di bottega a prendere uno sbrego d'appunti.

D'altra parte, il piccolo Dan è un tipetto senza peli sulla lingua (sulla penna?), capace di prendere senza tanti riguardi il lettore per le palle e costringerlo (volente o nolente) a seguirlo dove lui vuole. Parafrasando il nostro Vittorio Curtoni, l'horror di Simmons non corre affatto su un binario "a squartamento ridotto". La sua SF è quanto di più dark si possa leggere con la luce accesa: sbudellamenti, scorticamenti a crudo, roghi, impalamenti, tutte le simpatiche amenità del più recente splatter riversate sulle pagine di peraltro purissima fantascienza.

Degna di standing ovation, l'integrità di Simmons come artista: in lui non c'è la più piccola preoccupazione di sconfinamenti letterari o di contaminazioni: il tosto Dan lascia tranquillamente tali giudizi ai critici, riservandosi al limite di sperimentare sui suddetti critici i complessi arnesi da sbudellamento multiplo onnipresenti nei suoi romanzi (mai parlare di ciò che non si conosce alla perfezione). Notevole anche la capacità analitica del nostro: egli non descrive, ma esplora, con dovizia quasi entomologica, l'anima dei suoi personaggi, cercandone quella regione cruciale, quel nocciolo primigenio dove (per dirla alla Hemingway) il Male assoluto si confronta con (ammesso che esista) l'umana Virtù. E, una volta trovata, vi affonda il bisturi, la scoperchia e la lascia alla luce, beandosi oscenamente della vista. Un grande.

Quale spunto trovare dunque, per fare il verso a un simile gigante? Di certo si può rimproverargli ironicamente una certa leziosità, un narcisistico compiacersi dei propri mezzi e della proprio cultura. Come dicevano anche di Alessandro Baricco, "Simmons è bravo, ma purtroppo lo sa".

Il nostro Dan, del resto, ha una serie di evidenti tormentoni, e basta leggere a caso un paio delle sue opere per rendersene conto. Il più sfacciato, forse, è un certo atteggiamento (del tutto politicamente scorretto) aprioristicamente negativo per ogni cultura, società o modello umano che non sia quello statunitense. L'India de Il Canto di Kalì e la Romania de I figli della paura, per citare due casi, sono scenari tratteggiati con l'occhio disgustato e supponente del turista stelle e strisce contrariato di non trovare l'amato Mac Donald a ogni incrocio. A volte sembra che il delicato Dan veda le città del resto del mondo come una serie di agglomerati affollati, cenciosi, violenti, laidi e fangosi. Meno male, sembra dire, che esistono i meravigliosi spazi aperti, le incontaminate praterie, il nitore e la libertà degli Stati Uniti d'America.

Il bravo Dan non se ne vorrà se useremo questi suoi chiodi fissi per prenderlo un po' in giro nell'apocrifo (che richiama Hyperion sia per il titolo sia per l'intreccio) che state per leggere.

Alla prossima.

SanPeteryon

di Dan Simmons (?) John Milton afferrò il telefono solo quando capì che non avrebbe smesso di squillare. - Lei dovrà partecipare al pellegrinaggio del Giubileo. - disse la voce alla cornetta.

Milton sussultò d'orrore. - Non ci penso neanche!

- Partirà subito, in compagnia di un agente scelto dei Servizi. - insistette la voce, in tono che non ammetteva repliche - Seguirà il tragitto standard del pellegrino. I dettagli della missione le saranno trasmessi durante il viaggio.

La comunicazione fu chiusa. Milton tentò di riaddormentarsi, ma le ombre adesso gli sembravano popolate da mostri dal corpo di acciaio e dalle dita come lame. I suoi peggiori incubi si erano realizzati: SanPeteryon; il Grande Pellegrinaggio; l'inquietante presenza in bianco che attendeva al termine del viaggio. Dolore. Pulsioni sado-maso. Chiodi sotto le unghie. Schizzi di sangue e bile.

Le istruzioni gli furono recapitate all'alba. Prese un aereo, poi un altro. Incontrò il secondo agente alla stazione dei pullman di una piccola città di frontiera. Nubi d'un marrone sulfureo pendevano come cenci da un cielo di tela marcia. Aveva appena smesso di piovere, e rivoli di fango correvano per le strade simili a un disegno di piaghe sulla schiena di un lebbroso. Un gatto morto, sventrato, esibiva i propri intestini in decomposizione sul marciapiede; qualcuno lo aveva calpestato mentre era ancora in agonia, sfondandogli il cranio: biancastri liquidi cerebrali trasudavano dalle orecchie dell'animale, richiamando nugoli di mosche dall'addome di un verde brillante, che ronzavano e lappavano gli umori morti, e se non sono ancora riuscito a farvi vomitare vuol dire che siete tosti e che potete continuare a leggere.

- John?

Milton squadrò il compagno di missione. Era una donna. Un viso tutto angoli, ombre, piani e sfaccettature; un corpo snello e scattante come un frustino di pelle nera e borchie.

- Sono Siri. - si presentò - Dobbiamo prendere quel pullman.

Sedettero in silenzio, mentre intorno a loro l'automezzo si affollava di pellegrini indigeni e stranieri. Milton si sforzò di dominare il ribrezzo: detestava la folla, e quel particolare tipo di folla più di ogni altro.

- Sarebbe utile per la missione che scambiassimo qualche informazione, John. - disse la donna.

Lui socchiuse gli occhi, ricordando il cadavere dell'affogato che aveva visto emergere dal fiume durante la sua ultima missione: il corpo gettato a riva, enfiato e biancastro, gli occhi e la lingua divorati dai pesci, era una parodia d'uomo, arenato sulle secche fangose, vestito di alghe e di meduse, con i bambini che lo prendevano a sassate. Che c'entra? Niente, ma devo scrivere almeno una descrizione truculenta ogni cinque righe, altrimenti sto male.

- Che tipo di informazioni? - chiese Milton, sospettoso. La sua stessa voce gli rammentò il fruscio della sabbia contro le ossa.

- Non fare lo stronzo, John. - protestò lei - Sai bene: motivazioni, suggerimenti, indizi...

Lui sospirò: l'onda d'urto degli eventi sembrava muoversi nel tempo come un'increspatura in uno stagno fangoso.