- Ho paura, madre.

- Non devi.

- Dove sei?

- Accanto a te.

- Non ti vedo.

- Sono qui con te.

- Vedo solo nebbia e oscurità. Dove siamo?

- Al sicuro.

- Lui dov'è?

Non sentir dolore. E' il primo comandamento.

Quando i miei genitori mi affidarono all'Ordine ero solo una bambina, come tutte le altre, ma anni di fede e disciplina hanno fatto di noi delle guerriere. Esperte nell'uso della shariba, l'alabarda sacra. La lunga lama in vulkras esplode in mille colori quando sfiora il nemico. Come se il gusto del sangue eccitasse anche lei. E in questa eccitazione viviamo Dio, adoriamo la sua essenza. Noi sorelle della Furia Lucente non chiediamo altro. Certo non le armi immonde che ci hanno assegnato da qualche mese. Le portiamo con noi, ma non le usiamo. Nessuna di noi userà mai armi non consacrate. La shariba è l'unica arma divina, e con essa siamo inviolabili.

Ma lui ci ha violate. Non l'abbiamo sentito arrivare, mentre pattugliavamo la palude a ovest del convento. Non abbiamo avvertito il suo alito fetido. Si muoveva lentamente, danzando come un ubriaco mentre evitava i colpi delle nostre sharibe. I suoi artigli hanno aperto il petto di sorella Kay. Io giuro che l'ho colpito, ma la lama ha come rimbalzato su quella improvvisa luce nera, a pochi centimetri dalla sua gola.

E ora lui è accovacciato accanto al corpo squarciato della bella Kay, divorandole gli organi interni. Forse avremmo dovuto usare le armi immonde, come ci era stato ordinato. Ma adesso è tardi.

Il fiume del mio sangue ha raggiunto i suoi piedi, e gli fa ricordare di me, appesa per i piedi al ramo fiorito di questo albero. Bagna un artiglio nel mio sangue e lo lecca. Mi guarda. Si alza e viene verso di me. Non sentir dolore.

Da giovane avrebbe divorato tutta la carcassa. Avrebbe indugiato per ore a succhiare il delizioso midollo dalle ossa. Ma col tempo aveva compreso che quella insaziabile voracità derivava dalla smania di possedere totalmente le sue prede. Una debolezza. E così aveva smesso. Ora si limitava a cibarsi delle parti più prelibate, scartando tutto il resto. Finì pigramente di gustare il fegato della puttana sacra e si avvicinò, già sazio, alla sua seconda preda. Si sfilò i rinforzi di adamantio che ricoprivano i suoi artigli naturali e li ripose con cura nella borsa di pelle scura che portava a tracolla. Nonostante i trattamenti rituali, la superficie della sacca profanatrice si stava di nuovo usurando. Pensò, per un attimo, di rinforzarla con la nuova pelle giovane che aveva sottomano, ma non aveva tempo per queste apprensioni estetiche.

Estrasse dalla borsa la zanna sacrificale, intarsiata di microchip, e l'affondò nel cuore della ragazza. Con un leggero ronzio la reliquia iniziò ad assorbire il sangue, comprimendolo automaticamente al suo interno: lunghe venature rosse ne tinsero la superficie lucente. Estrasse la zanna solo quando il led indicò che si era riempita di 5 litri di sangue zippato. Lo avrebbe gustato con calma più tardi, ancora caldo, come appena raccolto. Si piegò sulle gambe per afferrare i capelli della ragazza che sfioravano il terreno. Era ancora viva. Un singulto di vomito e sangue le sgorgò dalla bocca, per colarle giù sulla fronte. Avvertì un brivido di eccitazione nel pregustare quegli splendidi occhi azzurri sciogliersi lentamente sotto la lingua.

Un crepitio elettrico, alle sue spalle. - Ti aspettavamo.

Riconobbe quella voce femminile, ma continuò nel suo lavoro. Tranciò con la zanna sacrificale il collo della sua preda. Infine ne sollevò la testa per i capelli, scrutandola con aria professionale. Solo allora si voltò. Sorella Lorena. La donna nell'immagine olografica era ancora bella come la ricordava. Diede una leggera spinta al cadavere appeso per i piedi, che iniziò a dondolare.

- Hai fame? - le chiese dolcemente. Si accorse, divertito, del terrore che la vista di quell'orrendo pendolo provocava nella donna. - Non vengo per te - aggiunse, come per rassicurarla. Strappò con un morso il naso di sorella Kay e infilò la testa nella sacca profanatrice.

- Lui è innocente. Non riuscirai a portarmelo via.

- Nessuno è innocente... tu dovresti saperlo bene. - E rise forte, pensando a quanto aveva goduto la notte in cui aveva stuprato quella puttana sacra così fiera che ora gli stava davanti. La madre di suo figlio. - L'innocenza è come un lebbroso che vaga per il mondo senza il suo campanaccio - continuò poi, con tono giudizioso, mentre masticava quel naso così dolce e fragrante.

- Sei tu l'unica lebbra dell'umanità. - La voce di lei era tesa, terrorizzata.