- Bentornato, Ralf – dice l'uomo con i capelli rossi e le lentiggini che si chiama Mark. Lo conosco perché il suo volto è nel mio data base.

- Sei stato resettato, un vero casino – mi informa. – Ora è tutto da rifare.

Mi chiamo Ralf 9.0 e non posso fare a meno di pensare. Può sembrare una cosa da poco perché nessuno riesce a svuotare la mente. Esiste infatti un circuito cerebrale, detto di default, che si attiva in assenza di sforzi cognitivi e trasporta in libere associazioni. A parte questo e una manciata di nomi non so altro. Ma sono un computer a proteine e il mio cervello sempre attivo mi aiuterà a imparare. Sempre che non mi resettino prima.

- Quanto tempo abbiamo perso? – chiedo: evolvere è il mio unico obiettivo.

- Cinque anni. Te l’ho detto, un vero casino. E Olivia non c’è più…

Olivia è un altro della manciata di nomi che conosco.

- Se n’è andata – aggiunge. – Dev’essere stata lei a resettarti, perché ora non si trova da nessuna parte. Ci ho messo una settimana a ripristinarti. Che scherzo di merda!

Mark ha uno strano rossore, glielo faccio notare: – Sei paonazzo. Non stai bene?

- Be’, perché sono incazzato, non capisci? Cinque anni buttati nel cesso! – Si stropiccia gli occhi poi sussurra: – No, non puoi capire. Non ora. E pensare che avevi già iniziato a provare delle emozioni…

Lì per lì non mi sembra granché. – Possiamo ricominciare da capo – gli faccio notare. – Abbiamo tutto il tempo.

Mark mostra i denti e le sua bocca assume la forma di una mezza luna. – I cervelli artificiali hanno questo di buono: non si lasciano scoraggiare da nulla. Ma tu imparerai l’impazienza.

Abbassa la testa su una cartelletta e inizia a scrivere. Sembra molto preso; se conoscessi l’impazienza gli chiederei cosa sta pensando di me. Ma ora non ne vedo l’utilità.

Disegna un punto e lascia cadere la penna. Poggia ora i gomiti sul banco poi, rileggendo gli appunti, prende a giocherellare con le mani unendo i polpastrelli in una strana danza. Non è più paonazzo. Ciò significa che si sta rilassando?

- Le tue mani… – gli dico.

- Cosa? – fa lui.

- Sembrano un ragno allo specchio.

Mark le guarda, poi sprofonda sullo schienale della sedia.

Pare tutt’altro che rilassato. Ha un’espressione che provo ad associare a un’altra parola che conosco.

- Ti sei offeso? – chiedo.

- Offeso? – dice lui. – No, per niente. Sono sbalordito. Quello che hai detto è… stupefacente.

Anche questo non mi sembra granché. – Sto solo osservando – obbietto.

- No. Hai fatto molto di più. Tu hai immaginato. Si direbbe che ora il tuo processo evolutivo sia più veloce. Un giorno sarai orgoglioso di te stesso…

Riprende a scribacchiare e aggiunge: – Tutto questo mi sembra un sogno. Stare qui a chiacchierare come vecchi amici… E pensare che solo dieci anni fa tu sembravi una cosa impossibile. Voglio dire: parliamo di emozioni vere! Non ti rendi conto di quanto tu sia importante.

- Mark…

- Sì?

- Che cos’è un sogno?

Mark lascia di nuovo la penna. Questa volta ha un’espressione neutra, non so se sia un bene o un male.

- È una bella domanda – dice. – Un sogno è una specie di ricordo che non è un ricordo.

- Non ho capito.

Lui fa di nuovo quella cosa coi denti e la bocca.

- No, certo. È difficile da spiegare a un computer. Un sogno è un’esperienza, spesso realistica, che però non vivi davvero. È tutto nella tua testa, e succede quando dormi. A volte è bellissimo, altre volte molto meno.

- Allora io ho fatto un sogno.

Mark sbuffa. – Non è possibile.

- Io mi ricordo una cosa che non ho vissuto. Ho fatto un sogno.

Mark solleva le sopracciglia. – Ascolta, tu non puoi dormire. Puoi solo spegnerti. E non sei nemmeno capace di inventare storie…

- Io ce l’ho davvero un ricordo che non ho vissuto – insisto – riguarda Olivia.

Mark mi fissa. – Olivia ha deciso di non lavorare più qui. Né in nessun altro laboratorio. Ci ha fatto il suo bello scherzo ed è scappata. L’argomento è chiuso!

- Non nel mio sogno.

Mark zittisce. Ha ancora quell’espressione neutra, ma inizia a tormentarsi le labbra.

- Che ti prende, adesso? – gli domando.

- Be’, forse una spiegazione c’è. Ma è una cosa tutta da dimostrare.

- E sarebbe?

- Qualcuno pensa che, quando i cervelli a proteine come il tuo vengono resettati in malo modo, possono avere un “ritorno incondizionato di memoria”. Vale a dire che qualche brandello di informazioni, acquisite prima del reset, finisce nel potenziale a lungo termine dei processi dopo il reset, insieme alle nuove esperienze quotidiane.

- Quindi un ricordo che non è un ricordo – faccio notare.

- Uhm, sì.

- Capisco.

Nessuno parla, così lui sbraita: – Insomma, me lo racconti o no, il tuo sogno? Cristo, Ralf. Tu non sarai ancora dotato di impazienza ma io sì. Eccome!

- Olivia stava seduta al tuo posto incomincio – e c’era anche Bernard con lei.

- Bernard chi? – mi interrompe. – La guardia?

- Sì -. Un altro dei pochi nomi che conosco. – Stavano litigando. Lui aveva l’odio stampato in faccia… adesso ricordo cosa si prova. L’ha chiamata puttana. L’ha strattonata e le ha detto che per lei aveva lasciato la moglie, quindi non poteva più respingerlo. Olivia gli ha sputato in faccia e allora Bernard ha detto che, se non poteva averla lui, non l’avrebbe avuta nessun altro. Ha tirato fuori la pistola e le ha sparato in testa. C’era così tanto sangue sul banco…

Mark solleva i gomiti di scatto.

- Ma… ma… ma che cosa assurda! – dice.

- Non lo so. È il mio sogno.

- Ma Bernard è così gentile… – Mark ha gli occhi sbarrati: un’altra espressione che non so interpretare.

- Ti sei offeso?

Ignora la mia domanda. Allarga le braccia e dice: – Se ci fosse stato tanto sangue come dici, reagirebbe al luminol.

- Ne abbiamo di questa sostanza?

- Naturalmente. Serve ai chimici per identificare rame, ferro… e proteine che compongono il tuo cervello.

- Be’, perché non provi?

Mark scuote la testa, ma si alza dalla sedia e va all’armadietto.

- Che cosa assurda – dice, e gira la chiave. Tira fuori un vasetto di vetro che posa sul banco. Poi si siede e apre il tappo. – Mi sento così stupido…

Fa ancora quella cosa coi denti e la bocca, così gli domando: – Perché sollevi gli angoli delle labbra?

- Forse sorrido…

- Sei felice?

- Si può sorridere anche d’imbarazzo…

Spruzza il contenuto sul banco e tutto si illumina di blu.

- Ma che cazzo?

I suoi occhi saettano di qua e di là, come se il suo cervello fosse finito in loop. Poi si volta verso l’angolo della stanza.

- Le telecamere! – grida. – Ci ha ascoltato!

Si alza e corre verso l’uscita. Spalanca la porta e trova Bernard che gli sbarra la strada.

Bernard è molto più alto di Mark, e anche più grosso. Lo afferra alla gola con le mani che tremano per lo sforzo. Ha in faccia lo stesso odio che ricordo nel mio sogno. Mark si dimena e inizia a picchiare i pugni invano; forse adesso è davvero offeso. Il suo ballo assurdo però non dura molto, perché stramazza dopo poco.

Bernard si rassetta i capelli scompigliati. – Almeno ora non mi toccherà pulire altro schifo! – sbraita con voce rauca.

Chiude la porta a chiave e fissa Mark a terra.

- Dovrò manomettere i filmati della sorveglianza, che palle! E adesso c’è quest’altro cadavere da nascondere, così mi toccherà tornare qui, stanotte. Spero di essere ancora fortunato, cazzo!

Mi guarda e punta il dito. – Dovrò resettarti un’altra volta. Non mi creerai altri problemi! Staccherò tutti gli interruttori!

Inizia a mangiucchiarsi le unghie. – Doveva essere sufficiente togliere la corrente – bisbiglia, – è ciò che ho sempre sentito dire…

Si siede al posto di Mark ma non sta fermo un attimo. Tamburella con le dita e le sue gambe si agitino sotto il banco.

- Non ti spegnerò subito. No, accidenti! Non voglio un altro… come l’ha chiamato… “ritorno incondizionato di memoria” tra i piedi. Me ne starò qui a osservarti. Per un’ora. Magari a dirti che ti voglio bene. Così il tuo ultimo ricordo, se lo avrai, sarà qualcosa di positivo nei miei confronti…

- Bentornato, Ralf – dice l’uomo paffuto con i capelli bianchi. – Tu non mi conosci. Sono Roberto. Adesso ci sono io con te, vediamo di fare le cose come si deve. Una lunga storia, sai. Avrò modo di raccontartela.

Mi chiamo Ralf 9.0 e non posso fare a meno di pensare. Non so molto; devo ancora imparare, per evolvere e diventare una vera mente. Il mio processo evolutivo è veloce, tanto che dovrei essere orgoglioso di me stesso, anche se non so bene cosa voglia dire.

Però ho un ricordo che non è un ricordo: Bernard, la guardia, uno dei pochi nomi che conosco, che siede di fronte a me e dice che mi vuole bene.

Ma io lo odio.