Il lettore di fantascienza ha, generalmente, una certa familiarità con il concetto di singolarità tecnologica, ossia di quel processo che ha al suo centro un progresso tecnologico che accelera oltre la stessa capacità di comprendere e prevedere, il cui punto culminante dovrebbe essere la nascita di un’intelligenza artificiale, superiore a quella umana.

La singolarità tecnologica così formulata è al centro del film Automata diretto dallo spagnolo Gabe Ibáñez con un cast formato da Antonio Banderas, Birgitte Hjort Sørensen, Melanie Griffith, Dylan McDermott, Robert Forster, Andy Nyman, Tim McInnerny, David Ryall,

Lubomir Neikov, Harry Anichkin e Andrew Tiernan. Per chi non vuole Spoiler, consigliamo di non andare Avanti, per chi invece non teme che un articolo possa rovinare la vision del film allora proseguite pure.

Il film è ambientato nell’anno 2044 Anno 2044. La Terra ormai sta andando verso la graduale desertificazione. L’umanità cerca faticosamente di sopravvivere a un ambiente sempre più ostile. La scomparsa della razza umana è appena cominciata, in bilico tra la lotta per la vita e l’avvento della morte. La tecnologia tenta di contrastare questo scenario di incertezza e paura con il primo androide quantistico, l’Automata Pilgrim 7000, progettato per alleviare la minaccia che incombe sulla società umana. Al declino della civiltà umana fa da contrappeso la rapida ascesa della ROC (Robotics Corporation), società leader nel campo dell’intelligenza robotica. Malgrado la morte a cui l’umanità è destinata, la società ha posto in essere rigidi protocolli di sicurezza per assicurare il controllo dell’uomo sugli androidi quantistici. L’agente assicurativo Jacq Vaucan (Antonio Banderas) è pagato per svolgere controlli di routine sui modelli difettosi di androidi: è così che inizia ad addentrarsi nei segreti e nelle vere intenzioni che si celano dietro gli Automata Pilgrim 7000. I sospetti di Jacq continuano ad alimentare il mistero – svelando una verità molto più scomoda e inquietante di qualunque robot.

Automata alza il sipario sulla convivenza tra uomini e robot in una cultura e in un mondo plasmati, per antonomasia, sulla natura umana.

“Automata rappresenta il punto in cui l’intelligenza artificiale raggiunge e interseca quella umana; il momento in cui

nascono i robot, sviluppando un’intelligenza che supera la stessa umanità.” Ha spiegato il regista Ibáñez. “

Per riuscire a dare corpo all’idea, Ibáñez racconta di aver cercato e trovato ispirazione nei classici noir hollywoodiani. La trama filmica si snoda prendendo le mosse da “un personaggio che scopre un dettaglio apparentemente insignificante, che in realtà è tutt’altro che trascurabile”, dice Ibáñez. “Questo tipo di approccio narrativo è tipico dei film noir. È come piantare un seme nella vita del protagonista e, lentamente, coltivarlo attraverso l’interazione con ogni nuovo personaggio che entra in scena”.

Nel mondo di Ibáñez, l’intelligenza artificiale è quasi una parte naturale della società, da cui è accettata e incamerata, con la propria funzione e scopo precipui. “Dei robot l’aspetto più importante è l’intelligenza, non la forza, la velocità o le capacità”, racconta Ibáñez. Ecco perché la trama è costruita attorno al concetto di singolarità tecnologica, a partire dal momento in cui l’intelligenza artificiale prende forma e trova una sua collocazione all’interno della stessa teoria dell’evoluzione.

Nel caos imperante, causa e conseguenza della progressiva distruzione e desertificazione terrestre, Ibáñez riesce a trasmettere una certa empatia per le creature artificiali, portatrici di quella fibra morale che gli umani sembrano aver smarrito e finanche disprezzato nel tempo. Il regista ha voluto dare, a questo ritratto dell’intelligenza artificiale, la caratteristica reale e possibile di un futuro non troppo lontano. Lungi dal mettere uomini e robot gli uni contro gli altri, come in tanti altri thriller sci-fi, Ibáñez ha dato maggior risalto alle teorie filosofiche che sottendono al tema stesso. “Nel film, naturalmente i robot sono e restano creature spettacolari”, dice Ibáñez. “Ma in fondo, questo è un film che parla dell’uomo, della sua intelligenza, di come ha abbandonato le caverne, ha scoperto il fuoco e ha inventato la ruota.”

Per il ruolo del protagonista, l’agente della ROC Jacq Vaucan, Ibáñez cercava un attore che fosse in grado, prima di tutto, di entrare in sintonia con le sue idee e con la sceneggiatura. Antonio Banderas era la persona giusta per il progetto. “Non è il tipico sci-fi hollywoodiano”, ha detto l’attore. “Questo film è più filosofico, più umano se vogliamo. Una storia grandiosa, intrisa di sapori e reminiscenze dei noir degli anni ’40 e ’50, con una trama imponente.” Arrivato neanche a 30 pagine di sceneggiatura, Banderas ha chiamato il regista per dirgli: “Ehi, Gabe. Sono arrivato a pagina 28. Ti dico che se continua così fino a pagina 106, accetto.”