Trovo straordinariamente riuscita l’idea di Woody Allen, nel suo film uscito nelle scorse settimane in Italia Midnight  in Paris, di mescolare momenti di fantastico e/o di fantascientifico con la “realtà” degli eventi narrati. Un modulo d’una fantascienza soft che (personalmente) mi è molto congeniale anche se non facile da mettere in pratica, per la necessità di mantenere in equilibrio il peso e la misura d’una trama che sappia amalgamare  immaginario, esperienze vissute, significati allegorici, mantenendo un filo logico e riuscendo a toccare la sensibilità dello spettatore (Woody non è nuovo a incursioni fantascientifiche: rammento qui il film del 1973 Il dormiglione, divertentissmo e dalle coloriture orwelliane).  

Raccontare qui di cosa tratti Midnight in Paris nei dettagli, significherebbe distruggere l’elemento sorpresa, che costituisce la maggior parte dell’impalcatura in questo film. In sostanza la vicenda si svolge a Parigi (come dal titolo) e vede quali protagonisti una coppia di giovani statunitensi di belle speranze approdata nella capitale: lui sceneggiatore hollywoodiano ben retribuito ma scontento delle storie banali che deve produrre; lei molto carina ma con idee agli antipodi. Lui è a Parigi – una città che gli è molto cara – per cercare di portare a termine un romanzo scritto nel modo che più gli aggrada, con la speranza di creare qualcosa che finalmente lo soddisfi e gli dia notorietà; lei invece rivolta agli aspetti turistici e del divertimento che offre la Ville Lumière. Insomma, come avvio del film siamo a un revisionato “Americano a Parigi”, impersonato da un attore protagonista a me sconosciuto (come quasi tutti gli altri attori) ma bravo (come tutti gli altri). In che modo risolvere la divergenza di idee fra i due, peraltro circondati a Parigi da parenti ossessivi e amici petulanti?

A mutare radicalmente la situazione, a trasformare uno scenario dalle sbiadite prospettive in qualcosa di impensabile e caleidoscopico – ma in sordina, senza clamori sebbene provocando incredulo stupore  – provvede il regista e sceneggiatore, Woody Allen, che firma il suo film migliore da molti anni in qua. E ci riesce in modo dolce ma non dolciastro, subdolo e divertente, intelligente, colto, sempre sul filo d’una sottile ironia (diremmo “autoironia”, visto che il giovane protagonista, talora buffo e maldestro, è certamente una proiezione dello stesso Allen), centellinando dettagli preziosi nelle riprese, nella fotografia, nella narrazione, nei significati del vivere e del creare (va ricordato che Allen è un grande ammiratore di Bergman e Fellini, e probabilmente è il più europeo dei registi statunitensi), aggiungendo al tutto un velato sense of wonder che scava nell’anima dello spettatore con allegria, eppure riuscendo a commuovere. Gente, non perdetevi questo film.  

Un film di Woody Allen. - Con Owen Wilson, Rachel McAdams, Michael Sheen, Nina Arianda, Kurt Fuller, continua»

«continua

Tom Hiddleston, Corey Stoll, Mimi Kennedy, Adrien Brody, Alison Pill, Marion Cotillard, Léa Seydoux, Kathy Bates, Carla Bruni, Gad Elmaleh, Manu Payet - Commedia - durata 94 min. - Usa, Spagna, 2011.