Alfred Bester (1913-1987) è stato uno degli scrittori più eccentrici che abbiano frequentato le atmosfere della fantascienza. Ebreo newyorchese dallo spirito caustico e dalla parola corrosiva, ha lasciato un segno profondo nel genere grazie a una sventagliata di racconti e a soli cinque romanzi pubblicati in quasi quarant’anni di carriera. In una dichiarazione riportata nell’introduzione al volume a lui dedicato da Mondadori (I Massimi della Fantascienza, Ed. 1993), raccontava: “Ai miei tempi sono stato scambiato per un frocio, un conservatore, uno psichiatra, un artista, un vecchio sporcaccione, un giovane sporcaccione, e ho sempre reagito in carattere, facendo la scena.” E quel carattere, l’inventiva, la sfrontata necessità di spezzare i canoni tradizionali, li mise tutti in mostra nel suo primo romanzo del 1953, L’uomo disintegrato, che si aggiudicò il primo premio Hugo della storia e che, per idee, tecnica e linguaggio utilizzati, è diventato una pietra miliare della letteratura fantascientifica.

Nel romanzo vengono narrate le vicende del cinico e arrivista Ben Reich, accusato dell’omicidio di un suo rivale in affari e inseguito dal poliziotto telepate Preston Powell, appartenente alla Lega degli Esper. Compito di Powell è sottoporre Reich alla pena prevista nel ventiquattresimo secolo per l’omicidio, la completa disintegrazione della personalità e la sua successiva ricostruzione per il reinserimento nella società. Processo di “reinserimento” che nel mondo reale sta interessando la pubblica amministrazione e soprattutto i suoi dipendenti, da sempre oggetto di critiche, a volte generalizzate ma non ingiustificate, i quali sono chiamati a ricostruirsi una verginità, sia nel proprio immaginario che in quello collettivo.

 

L’impostazione della riforma, voluta dal Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione  Renato Brunetta e approvata con il consenso quasi unanime del Parlamento, è centrata soprattutto sul recupero di efficienza economica e di trasparenza nei confronti dei cittadini. E poiché la vera forza dell’amministrazione, ancora più di quella finanziaria, è costituita dalle persone che ci lavorano, il processo non può prescindere da un’azione diretta verso i dipendenti pubblici. Considerati “criminali” del pubblico interesse, i dipendenti vanno “disintegrati” e resi funzionali al nuovo progetto di amministrazione che si va delineando, e i loro dirigenti e quadri devono essere formati per costituire un corpo coeso e disciplinato. Per questo motivo le amministrazioni, nell'ambito dei processi di selezione del personale, usano tecniche psicologiche sperimentate già da decenni in altri ambiti, e che hanno un po’ dei metodi descritti da Bester nel suo romanzo. Qui ovviamente non ci sono telepati ma solo psicologi che usano strumenti, basati anche sull’ipnosi, finalizzati a “indirizzare” la volontà del dipendente e indurre determinati schemi di comportamento funzionali per l’organizzazione. L’uso di tali tecniche, spesso all’insaputa dei soggetti interessati e quindi senza il loro consenso esplicito, varca tranquillamente il confine della manipolazione e della coercizione psicologica vera e propria, presentando profili di legalità piuttosto dubbi; oltre poi a non essere esente da rischi, visto che maneggiare la mente delle persone non è un gioco.

Può essere facile per chi possiede anche solo un’infarinatura di tali tecniche sfuggire alle trappole psicologiche e anzi, addirittura assecondare o meno i comportamenti attesi a seconda del momento, manipolando così i manipolatori. Ma non è questo il punto. Uno dei periodi di maggiore efficienza della pubblica amministrazione si è avuto nel secondo dopoguerra: la classe dirigente, quasi tutta nominata durante il ventennio fascista, costituiva un corpus fortemente rigido e coeso, impostato su una robusta disciplina gerarchica e su un insieme di valori condiviso. In quel contesto l’amministrazione era oggettivamente superiore rispetto alla società, ancora legata a valori piuttosto semplici, e quindi poteva ben governarne le dinamiche.

Oggi la situazione è completamente diversa. La società è diventata di gran lunga migliore rispetto alla pubblica amministrazione: più dinamica, più articolata, in cui assume maggiore importanza l’affermazione dell’individuo e della sua personalità, modello peraltro imposto da ragioni consumistiche. L’amministrazione non ha più la possibilità di considerarsi un agente esterno, restando fuori dalla mischia: per governare un sistema così complesso deve in qualche modo accoglierne al suo interno i valori, adeguando i propri.