Si avviò di buon passo e lo seguimmo, non senza qualche difficoltà (era alto quasi due metri, e ogni sua falcata era ampia in proporzione). A poco a poco, dal buio si affiancarono a noi altre ombre. Le percepii, più che vederle, poiché non osavo voltare la testa. L'oscurità si andava facendo più fitta, e io mi stavo chiedendo come avremmo potuto continuare, quando Dan si arrestò accanto a una pianta, staccandone due rami con precisi colpi del coltellaccio che portava alla cintola: appena recisi, iniziarono a emettere una fioca luminescenza verdastra, sufficiente però a indicarci il cammino. Ce ne diede uno ciascuno. Conoscevo il nome di quell'albero, e avevo studiato il fenomeno in laboratorio per capirne il meccanismo fotochimico, durante la mia breve permanenza su Lavernia: ma stringerlo in pugno e usarlo come torcia, nella strana situazione in cui mi trovavo, mi fece un effetto bizzarro.Gli altri sembravano vederci benissimo, compresa la nostra guida, che avanzava a passo sicuro.  Avanzi contorti e corrosi di costruzioni, soffocati dalla vegetazione, ci si paravano dinanzi a ogni passo. Io fantasticavo su quale colonia civilizzata e pacifica dovesse essere stata Lavernia, prima di quella lontana catastrofe nucleare accidentale che aveva mostruosamente alterato il clima, la vegetazione e metà della popolazione, dando inizio alla follia, alle lotte per la sopravvivenza, agli scontri fra fazioni. Prima dell'instaurazione del Nuovo Ordinamento, della Grande Epurazione, della costruzione della Città Protetta, dove con il sottinteso beneplacito e con molti e sostanziosi aiuti da parte del governo centrale dei Mondi, una minoranza di Inalterati viveva comodamente e conduceva i suoi "nobili" esperimenti scientifici, mentre fuori la  massa diseredata si arrangiava alla meno peggio nell'incubo. Un tempo un Mutante, dotato di profonda cultura e altrettanto umor nero, aveva ribattezzato il pianeta. Ora loro lo chiamavano "Averno".Mi bastava rievocare tutto questo per trovare in me il coraggio che non avevo, e la forza per seguire Aelc in qualsiasi impresa.Assai prima dell'"Ora-delle-Foglie-Chiuse" e del calare del gelo, giungemmo a destinazione. Ci calammo in una stretta botola, e dopo un lungo cunicolo (difendibile da qualsiasi attacco, pensai subito, benché non avessi la mentalità militare)  ci ritrovammo in una enorme sala sotterranea. I Mutanti durante le ore proibite vivevano nel sottosuolo, trovando accettabile riparo dal caldo e dal freddo. Anche nei tempi migliori, prima del disastro, il clima del pianeta era stato caratterizzato da sbalzi termici, perciò tutte le costruzioni erano state dotate di ampie zone interrate, le quali, per fortuna, si erano in gran parte conservate, resistendo agli assalti del tempo e della vegetazione. 

Era uno spettacolo notevole: avanzi di pannelli metallici, corrosi e contorti, tubi che sporgevano come serpenti da pareti di fango e roccia, persino qualche patetico avanzo di decorazioni e scritte illeggibili. Tendaggi e arabeschi di radici filiformi ondeggiavano al vento sotterraneo che usciva da anfratti e cavità tutti intorno alle pareti; molti sembravano sbocchi di cunicoli, come quello che ci aveva condotti fin lì. Mi resi conto, rabbrividendo, che non sarei stato in grado di ritrovare da solo l'uscita: ma d'altra parte, la mia strada era comunque senza ritorno. Su nella Città Protetta, nell'alloggio di Aelc e nel mio, si trovavano due identici messaggi sui nostri NIE,  con i quali in tono melodrammatico (idea di Aelc) confessavamo la nostra natura di Mutanti, l'impossibilità di continuare a nasconderci, e la decisione di allontanarci spontaneamente insieme nel Difuori, visto il profondo affetto che ci univa. A quest'ora la nostra fuga e i messaggi dovevano essere stati certamente scoperti. Pur se stizziti dal mancato rispetto della procedura, che comportava la sterilizzazione e il tatuaggio della "M" sulla fronte prima di essere spediti via, gli Inalterati non si sarebbero comunque dati troppa pena per cercarci, ritenendo che comunque la nostra scelta equivalesse a un suicidio. Un suicidio d'amore, aveva detto Aelc, carezzandomi il viso e sorridendo in quel suo modo strano.