Il Rock’n Roll è morto. Nessuno riesce più a combinare qualcosa di originale. Solo cloni di gruppi morti da secoli. La gente ha finito per abituarsi agli ologrammi e ai suoni sintetici. È per questo che hanno scagliato il Big Bang Pub in orbita intorno alla Terra.

Lì si suona solo musica autentica, sudata su corde di chitarra e pelli di batteria.

Nessuno veste alla moda al Big Bang, tanto per dire.

Spesso vengono anche gruppi da fuori. Pianeti gemellati o particolari razze intrippate con la nostra musica.

È una figata!

A fine mese prendi il programma e ti metti a leggere tutto contento chi verrà a suonare di lì a poco. “Che c’è sabato 10?”. “Dei tipi della costellazione della Vergine che fanno archeo-metal.”. “E sabato 17?”. “Gente delle stesse parti, galassia M87, paleo-prog”.

Non voglio mai togliermi la sorpresa di vedere come sono, prima del concerto. Quando salgono sul palco tripodi vestiti di pelle nera o tentacoli spalmati di glitter è uno sballo.

L’importante è che gocciolino sudore, si facciano i muscoli saltellando da un lato all’altro del palco, sputino pezzi di polmone arrancando tra i falsetti, ci facciano sentire del buon, vecchio rock’n roll inventato di sana pianta e non siano ologrammi trasparenti o semplici figurine bidimensionali come può esserlo chiunque su uno schermo.

E io imbocco il tunnel spaziale con la mia scalcinata monoposto-guano, facendo finta di avere il vento nei capelli come quando quei tizi delle steppe cantavano “Born to be wild”.

Yeah!

Doso la curvatura. Non importa se arrivo un po’ in ritardo. Il parcheggio interno è immenso e il mio rifulgente, glamour, indistruttibile amico T.COO mi aspetta sempre all’entrata.

T.COO è bellissimo: alto, biondo e con gli occhi azzurri. Insomma, quel tipo di androide con cui le donne non dovrebbero fare amicizia per non andare sempre in bianco. È impiegato alla mensa di un ospedale come modello 5.045 trasporto-cibo ai tavoli.

Insomma, fa il cameriere.

– Ti arrabbierai tantissimo, sospetto – esordisce con tono solenne, appena arrivo.

– Perché?

– Davanti sono come te.

– Hanno le tette?

– No. – Lui sbatte le ciglia di seta (non in senso romantico, le ha proprio di seta) e fa dei gesti col dorso della mano per indicarmi la sagoma del suo corpo. – Anche come me, oserei dire.

– E allora?

– Pure dietro, aggiungo. – Mi dà le spalle per qualche secondo, poi torna a fissarmi negli occhi. Immobile.

– Ma perché dovrei arrabbiarmi?

Mi acciuffa un polso e, con le sue solite movenze un po’ legnose (ma quant’è sexy!), m’invita a seguirlo all’interno del locale.

Ah! Odore di tabacco, birra versata, trucco, sudore... a mano a mano che ci avviciniamo all’arco che ci svelerà il palco, la folla si fa sempre più spessa e mi becco qualche sana gomitata. Fra un grido e un altro sento un qualcosa che somiglia ai Judas Priest e sarei certa di stare per godermi una fottutissima nottataccia rock’n roll, se non fosse per quello che mi ha appena detto T.COO.

– Guarda! Sono "normali". Niente tentacoli. Niente triple gambe. Niente squame.

– Che c’è di strano? – Poi parte l’assolo. Il cantante si avvicina di profilo al chitarrista e mi cadono braccia e speranze.

– Ma come sono fatti?

– Supponevo, io, che tu...

– Non ha il naso.

– Ottima osservazione. È come ritagliare un antico fumetto, cercare la profondità in uno schermo.

– Neanche la pancia.

– Sorprendente associazione. Si piegano al vento come carta.

– E nemmeno il sedere.

– Mi compiaccio di avere un’amica che ancora sa riconoscere la differenza fra bidimensionalità e tridimensionalità.

Ma certo! Che idiota… Possibile che non mi sia venuto in mente prima? Tiro un sospiro di sollievo e una gomitata a T.COO, ridacchiando. – è l’olo-spalla. – Poi li osservo di nuovo, nell’attesa di veder squadrettare qualche pixel o sentire sfrigolare le onde.

Ma T.COO scuote la testa con aria desolata. – Razza bidimensionale, la definirei.

– È un paradosso! Tanto valeva guardarsi un…

– Mi addolora darti questo dispiacere, io...

– Non citare Asimov, ti prego.

– “Un Robot non può recar danno a un essere umano, né permettere che…”

– Ti ho pregato di non dirlo!

– Non lo farò, ti dico.

– Anzi... – Sospiro.

– Dimmi. – Sospira.

– Perché non andiamo a casa mia a lanciare un olo?