Arrivato in Italia come inserto di Corto Maltese (1988-1990), quasi in sordina e stralciato delle parti testuali, l’opera di Alan Moore ha lentamente conquistato il pubblico  del nostro paese tanto quanto quello del resto del mondo. Unica graphic-novel ad essersi accaparrata un premio Hugo, Watchmen rimane un punto fermo ed un’icona nella storia del fumetto al pari di albi come Il ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller, Maus di Art Spiegelman o del primo Action Comics di Jerry Siegel e Joe Shuster. In questi anni l’interesse editoriale italiano, notoriamente difficile da destare, per l’opera di Moore non è mai venuto meno tanto da venir presentata, dopo il primo esperimento su Corto Maltese, in edizione rilegata per la Rizzoli, in due edizioni Play Press fino ad arrivare alle più recenti apparizioni nei Classici di Repubblica Serie Oro e soprattutto nella versione Absolute di Planeta De Agostini, un piccolo gioiello.

Alan Moore è in tutto e per tutto il padre di questa particolarissima opera destinata a riscrivere la figura dell’odierno supereroe: sceneggiatore e scrittore inglese formatosi sulle pagine della rivista underground di fantascienza 2000 AD e scrivendo le strisce del Doctor Who, Moore si conferma come un genio eclettico che ci ha regalato capolavori come V for Vendetta, From Hell e The League of Extraordinary Gentlemen, tutti fumetti, seppur con alterne fortune ed a volte contrariamente al parere dell’autore, apparsi con una discreta risonanza nel mondo del cinema. Contrariamente a diversi suoi colleghi, che riescono a spaziare dalla sceneggiatura ai disegni, Alan Moore è esclusivamente concentrato sulla parte letteraria e strutturale delle sue tavole, aspetti curati con assoluta dedizione ed attenzione maniacale tanto da alterare anche lo stile del disegnatore destinato a lavorare sulla parte grafica dell’opera. La sua crescita artistica e culturale, soprattutto da autodidatta (viene espulso a sedici anni per aver spacciato LSD a scuola), lo portano a formarsi uno strano background che affonda le sue radici nei classici romani, nella mitologia e nelle discipline esoteriche quanto nelle opere di William S. Burroughs e negli interessi politico-sociali scoperti durante l’adolescenza. Collaborando infatti con riviste come Embryo e Rovel si appassiona a tutta una serie di tematiche sociali che saranno sempre presenti nelle sue realizzazioni. Non c’è da stupirsi quindi se il suo approccio al fumetto sia ampiamente diverso da quello classico e che rielabori costantemente le potenzialità del mezzo espressivo con cui Moore ha scelto di misurarsi. L’autore inglese non si rinchiude negli schemi tipici di chi vorrebbe questo genere ben delimitato da rigide norme, che lo differenzino dalla “letteratura alta”, ma anzi rende l’ibridazione delle varie forme espressive un suo punto di forza.

Watchmen nasce proprio da questo contesto: l’autore voleva scrivere una versione supereroistica di Moby Dick, come lui stesso ha ammesso in un intervista, qualcosa che ne avesse sia la caratura che la densità narrativa e per farlo sceglie come punto di partenza uno stralcio di una satira di Giovenale. Mentre chi custodisce i custodi per Giovenale diventa un legittimo dubbio rivolto al genere femminile, principale obiettivo delle sue invettive, Moore si appropria del concetto e lo usa come strumento per decostruire l’idea classica del supereroe. Nel mondo dei Watchmen gli eroi vengono sezionati ed analizzati da uno sguardo cinico e spietato che non solo ne fa emergere i lati più umani ma si focalizza sugli aspetti psicologici che li differenziano dall’uomo comune portando una persona a voler combattere il crimine in incognito ed indossando un costume sgargiante. Gli eroi di Moore sono problematici, complessi, non troppo stabili e carichi di psicosi; gli eroi di Moore sono quasi tutti senza poteri ma la sola loro presenza, l’idea cui hanno dato vita, ha alterato il mondo in cui si trovano o, se vogliamo rigirare l’ottica del processo, solo un mondo sottilmente diverso dal nostro avrebbe potuto generare ed incarnare sul piano fisico gli archetipi ed i simboli che da millenni il genere umano si porta appresso. C’è una sinergia strettissima infatti fra le vicendevoli influenze che il contesto politico e sociale, l’ambiente umano insomma, riflette sui protagonisti e su quanto loro riflettono del e sull’ambiente corrotto che li circonda, un legame biunivoco in continua evoluzione lega la scena ad alcuni attori che non vogliono semplicemente attenersi al copione ma intervenire in modo attivo su quanto li circonda. Watchmen è quindi, fondamentalmente, una sofisticata ucronia che riesce nello stesso momento a rendere più realistico il contesto supereroistico mantenendolo comunque distante dalla nostra reale esperienza quotidiana, riesce a creare insomma un reale senso di sospensione dalla realtà.