Qual è, a vostro giudizio, il periodo storico di massima sintonia tra rock e fantascienza? 

Ernesto Assante:

Direi tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, è stato un periodo clamorosamente ricco e creativo, nel quale sia la fantascienza che la musica hanno trovato modi e momenti per intrecciarsi e, qualche volta, dare vita a qualcosa che prima non c’era.

Mario Gazzola:

Ci sono da fare scoperte interessanti un po’ in ogni epoca per fortuna, anche se probabilmente nessuna al momento supera l’era leggendaria che va più o meno dal 1967 al ’77 (nel libro suddivisa in due capitoli, sul ’68 e sugli Anni ’70, proprio per l’estrema ricchezza del periodo): è l’epoca di definitiva maturazione del rock e delle sue ambizioni culturali e anche politiche, in cui si sviluppa la psichedelia, evolve in progressive, poi in hard rock ed heavy metal, nascono quasi tutti i sottogeneri che conosciamo oggi, dal reggae alla fusion. Ma ci sono spunti s/f anche in ambito folk, nel funk e nella nascente disco music, nell’elettronica tedesca e nel punk che sovvertirà tutto ancora una volta. Quella decade parallelamente è anche l’epoca della corsa allo spazio di USA e URSS, del primo epico sbarco sulla luna: lo spazio allora era di moda e il mondo s’aspettava che sarebbe stato foriero di avventurose scoperte. Ovvio che fosse anche il picco del successo editoriale della s/f, che a sua volta era maturata e schierava fra le proprie fila autori letterariamente sempre più raffinati, in grado di toccare un ventaglio tematico sempre più ampio e sperimentando nuove forme (anche al cinema). Naturale quindi che musicisti che guardavano allo spazio in cerca di orizzonti più ampî vi trovassero la propria ispirazione. Allora la s/f era più che una strizzatina d’occhio pulp, era parte di un poliedrico sistema di pensiero, che andava dall’antiromanzo beat burroughsiano al misticismo orientale alla rivolta politica.

Quali sono secondo voi la canzone e l'album più rappresentativi (non necessariamente più belli) del legame tra rock e fantascienza? 

Ernesto Assante:

Risposta impossibile, dipende dai tempi, dai generi, dalle tematiche. Anche piccole canzoni come Telstar hanno fatto la storia…

Mario Gazzola:

Spietato gioco della torre per ogni appassionato: personalmente metterei Space Oddity di David Bowie (il cui titolo è evocato nello stesso occhiello del nostro saggio), per il legame coll’immortale film di Kubrick e perché apre una mini saga musicale per il cantante che nella propria multiforme carriera ha interpretato più stili e correnti anche della stessa fantascienza: infatti il suo protagonista Major Tom ritorna 10 anni dopo nella new wave di Ashes to Ashes e non si può non ripensarlo vedendo l’astronauta morto nel video di Blackstar, canto del cigno di Bowie nel 2016.

Come album metterei invece il suo Outside, sottovalutato capolavoro della maturità e ultima collaborazione con Brian Eno: perché per nutrire di suoni innovativi il suo sofisticato concept in odor di cyberpunk e di Burroughs, il guru dei sintetizzatori inventò un gioco di ruolo scrivendo dei profili di fantamusicista, che distribuiva ogni giorno a caso ai membri della band in studio.

Io ho avuto l’idea di sviluppare quei profili trasformandoli in racconti compiuti, che formeranno a breve un’antologia spinoff, che sarà il nostro contributo narrativo al fantarock, anche con qualche sorpresa per i lettori: come ad esempio il debutto nell’inedita veste di narratore dello stesso Ernesto e del musicista Maurizio Marsico, un vero appassionato di s/f che trovate intervistato nel saggio.

Negli anni Settanta nasce un genere che accomuna rock e fantascienza, ossia lo Space Rock. Di cosa si tratta? 

Ernesto Assante:

Ernesto Assante
Ernesto Assante

Il progressive aveva aperto la strada ad ogni possibile forma di contaminazione tra musiche diverse e offerto alla ricerca elettronica un territorio nuovo da esplorare. Allo stesso tempo le storie raccontate dal rock erano diventate molto più aperte, per gli autori la possibilità di proseguire sulla strada aperta alla fine degli anni Sessanta dai Pink Floyd era straordinariamente affascinante. Elettronica, spazio, futuro, mondi immaginari e mondi possibili, erano perfetti per dar vita se non a un “genere” quantomeno a un’attitudine creativa, “spaziale” quanto basta per essere una sorta di psichedelia filtrata dalle macchine e non dagli additivi chimici.

Mario Gazzola:

Lo Space Rock altro non è che quella diramazione della psichedelia, a cavallo fra progressive, jazz fusion e hard rock a seconda delle personali miscele dei suoi protagonisti, che nasce dalle elucubrazioni cosmiche dei Pink Floyd di Syd Barrett e prolifera nel corso dei primi ’70 nelle opere degli Hawkwind (tuttora attivi), dei Gong, dei Blue Öyster Cult (il versante più hard e lovecraftiano), di certi Rush e Yes, ma anche di formazioni europee come i tedeschi Tangerine Dream e i francesi Magma e Brainticket. Verso la fine del decennio incrocia la disco music nella proposta altamente spettacolare dei francesi Rockets, che si presentavano in scena sempre glabri e dipinti d’argento come alieni piovuti dallo spazio, e poi rifarà capolino nei tardi ’80 nelle divagazioni neopsichedeliche di Spacemen3, Julian Cope e Flaming Lips, fino ai recenti Muse. Attualmente, la tendenza a sviluppare concept album come ambiziose saghe narrative cosmiche trova adepti soprattutto nell’ambito del metal (Dream Theater, Ayreon, Cities of Mars, i romani Doomraiser)

C'è un'altra storia molto interessante nel libro riguardante David Bowie e una colonna sonora che avrebbe scritto per il film di cui era protagonista, ovvero L'uomo che cadde sulla Terra… 

Ernesto Assante:

È una storia talmente affascinante che ha prodotto parte di uno dei suoi dischi più rivoluzionari e particolari, “Low”, che in copertina ha proprio Bowie nei panni del personaggio del film.

Mario Gazzola:

Ce n’è molti di misteri nel FantaRock dischi, film, musical teatrali progettati, annunciati e mai realizzati: dal Dune di Jodorowsky colla colonna sonora dei Pink Floyd al film di Mulcahy (intervistato nel libro) tratto da Ragazzi Selvaggi di Burroughs, per cui i Duran Duran scrissero il loro hit Wild Boys, ai previsti (e mai compiuti) seguiti del citato Outside di Bowie… quello cui fai riferimento tu riguarda la colonna sonora registrata dal Bianco Duca per il film di Roeg che sancì il suo debutto d’attore nel ruolo dell’alieno, e che il regista alla fine scartò, in favore di una colonna sonora curata da John Phillips (leader dei The Mamas & the Papas), una miscellanea di jazzisti storici come Louis Armstrong e Artie Shaw, Bing Crosby e Roy Orbison, con molte composizioni originali del percussionista giapponese Stomu Yamash'ta. Pare che Bowie se ne risentì al punto da licenziare il proprio manager per non aver saputo convincere il regista, ma il mistero rimane: delle sue composizioni, solo la cupa Subterraneans verrà poi pubblicata sul suo successivo album Low (che sfoggia in copertina proprio uno scatto dal set). Perché? Il cantante stesso non era pienamente soddisfatto del proprio lavoro, oppure Bowie nel ’75 era troppo avanti sui tempi nell’impiego dell’elettronica e quelle idee le ha poi rielaborate nella famosa trilogia berlinese? Anche qui non possiamo che sperare che un giorno dai cassetti della vedova Iman faccia capolino la risposta definitiva…