Léo Malet, nato a Montpellier nel 1909 da una famiglia di umili origini, rimase ben presto orfano; allevato dal nonno, vecchio anarchico individualista, la sua prima formazione culturale è stata tutta improntata verso la contestazione sociale/culturale. Il suo primo impiego l'ebbe presso una banca in qualità di fattorino, ma fu licenziato in tronco: la motivazione, aver diffuso il giornale anarchico L'insurgé. Si trasferisce a Parigi, un quasi esilio, vivendo la vita del vagabondo finendo anche il carcere; durante il periodo parigino sbarcò il lunario provandosi in occasionali e diversi mestieri: fece il lavabottiglie in un grande magazzino, poi riuscì ad esordire come chansonnier in un cabaret di Montmartre. Fu anche fattorino presso una ditta d'impianti idraulici. e un giorno - come ha raccontato lui stesso - mentre consegnava un bidet per un lussuoso bordello di rue Hanovre, vide nella vetrina di una libreria, quella del mitico José Corti, delle pubblicazioni che attirarono la sua attenzione: La Révolution surréaliste, riviste, libri, libri e ancora riviste, e subito rimase affascinato dalle loro strane copertine. Fu così che si procurò il Manifesto del Surrealismo; vede Un Chien andalou, il film di Bunuel Dalì, legge Lautréamont: il surrealismo gli entra ben presto nelle vene sia sotto i profilo artistico sia sotto quello politico. Decide di scrivere a Breton, il Papa, uno dei massimi esponenti della rivoluzione intellettuale: Era una specie di messaggio nella bottiglia - ha raccontato Malet - se ne dicevano tante, che i surrealisti erano molto poco accoglienti, gente ricca, distante. Io, invece, Breton l'ho conosciuto anche molto povero, e soprattutto ho scoperto che non si prendeva sempre per André Breton. In ogni caso, la mia lettera gli piacque, mi chiese di mandargli ciò che scrivevo, e poi di andarlo a trovare al Café Cyrano, il famoso Cyrano di Place Blanche. Era il 12 maggio 1931.

Non fatica ad integrarsi nell'ambiente surrealista: le sue idee giovani trovano accoglienza presso gli intellettuali già formatasi o in via di formazione della scuola surrealista. La sua fede anarchica subisce un mutamento, diventa trotkista; tuttavia il suo estremo individualismo non gli permette di accettare una qualsiasi disciplina, troppo misantropo perché il comunismo potesse attecchire pienamente nella sua anima. Nel '40 è un'altra volta in prigione: l'accusa formulata è quella di 'attentato alla sicurezza interna ed esterna dello Stato' e Malet rischia l'ergastolo se non la ghigliottina. Viene liberato dopo qualche mese; tuttavia non fa a tempo ad assaporare l'aria di libertà che subito viene catturato dai nazisti e rinchiuso in un campo di concentramento, lo Stalag X2, tra Amburgo e Brema: un anno di permanenza e di stenti nel lager per Malet. Tornato in libertà perché gravemente malato, Malet si mette alla prova come autore di romanzi polizieschi: all'inizio della sua carriera si firma con degli pseudonimi americani, poi, nel '43, pubblicando quello che si può considerare il primo vero noir francese, 120, rue de la Gare decide di firmare con il suo vero nome i suoi lavori. Tra il '43 e il '49 escono sette inchieste di Burma: i romanzi ottengono successo e di critica e di pubblico, il loro protagonista diventa popolare quasi quanto Maigret e ben quattro attori diversi porteranno i personaggi di Malet sullo schermo cinematografico. Nel '53 Léo Malet ha un lampo di genio, ovvero ambientare ognuna delle inchieste di Burma in un diverso arrondissement di Parigi: L'idea mi venne sul ponte di Bir-Hakeim - ha raccontato -. davanti a quel paesaggio di Parigi, mi sono detto che era davvero straordinario che nessuno avesse mai pensato di fare un film su Parigi, a parte Louis feuillade. Ho avuto l'idea confusa di romanzi polizieschi che si svolgessero ognuno in un diverso quartiere. Tra il '54 e il '59 escono quattordici romanzi firmati Léo Malet; nel '48, Malet pubblica il primo volume della sua trilogia noir: La vie est déguelasse, seguono Le soleil n'est pas pour nous e Sueur aux tripes. Con la trilogia noir Malet è ormai un punto di riferimento per molti intellettuali francesi, europei, americani: i tre romanzi pregni di crudezza, ferocia, indagano la psicologia umana, l'anima criminosa che si nasconde in ogni uomo.

Nestor Burma ha la taglia dell'antieroe: cammina, sbuffa, beve, sbraita, però ha un fiuto impeccabile; nato come contraltare francese del belga Maigret, Nestor Burma è proprietario dell'agenzia di investigazioni private Fiat Lux.

Abel Benoit, un vecchio anarchico, è morto prima di poter parlare con Nestor Burma. Cosa aveva da dirgli? Perché il mondo dell'anarchismo parigino non è più quello di una volta? Quale segreto nasconde? E' un'inchiesta dura e difficile, quella che attende Nestor Burma. Un'inchiesta nella quale si imbatterà nell'amore e nella morte e dalla quale uscirà scosso come non mai. Nebbia sul ponte di Tolbiac è unanimemente considerato il capolavoro di Léo Malet.

Nestor Burma, il personaggio forse di maggiore successo di Léo Malet, è una piacevole e significativa riscoperta editoriale: oggi che il panorama editoriale è sempre più invaso da squallide storie splatter e fintamente pulp, Malet restituisce al noir la sua dignità con uno stile impeccabile dove la trama mozzafiato si accorda perfettamente a un messaggio sociale inconfondibile, la società è marcia. Ottimamente tradotto dal francese da Federica Angelici, Brouillard au pont de Tolbiac ha anche il pregio di ricordare in copertina un disegno di un grande disegnatore, Jacques Tardi (da ricordare che J. Tardi dal personaggio di Nestor Burma ricavò una splendida trasposizione a fumetti).