Le contaminazioni esoteriche nella fantascienza americana

La parabola umana di John Parsons racchiude almeno tre vite: lo scienziato fondatore del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena; l'appassionato che vive da protagonista la nascita della fantascienza negli anni '40 come amico di molti autori; lo sciamano seguace del mago Aleister Crowley. Tre visioni del mondo che Parsons non ebbe alcun problema a conciliare, nonostante l'apparente contraddittorietà della terza. L'ipotesi di lavoro dell'articolo tende a leggere la biografia di Parsons come una fonte di luce che illumina alcune ambiguità di una parte significativa della fantascienza americana.

di Stefano Carducci

Stefano Carducci (Mestre 1955), laureato in letteratura anglo-americana, informatico di professione, ha tradotto romanzi e racconti di Brian Aldiss, Michael Moorcock, Christopher Priest, Kim Stanley Robinson, Lucius Shepard, Bruce Sterling, Ian Watson e altri. Ha pubblicato racconti e articoli su Robot, Nova SF e Futuro Europa, e i romanzi Laguna rossa (Perseo 2005) e Ascensore per l’ignoto (con Alessandro Fambrini; Mondadori 2010). Con Fambrini ha anche curato Pianeti di parole: La fantascienza della fantascienza (Ed. Della Vigna 2010), antologia di recursive sf.

Nonostante siano passati quasi trent’anni, rimane attuale la considerazione di Stanislaw Lem per cui la mancanza di un canone condiviso mina alla base l’efficacia del discorso critico nella fantascienza:

Le norme qualitative e i limiti superiori vengono stabiliti in letteratura da opere concrete e non dai postulati dei critici. Nessuna montagna di elucubrazioni teoretiche può compensare l’assenza di un’opera narrativa significativa come modello di eccellenza. [… D]ove non esiste nulla di primo livello, il suo ruolo verrà usurpato dalla mediocrità, che si pone obiettivi semplicistici e li raggiunge con mezzi semplicistici. (49-50)

La funzionalità dei numerosi tentativi di sistematizzazione della fantascienza – anche di quelli più convincenti – viene impedita dall’assenza dell’interrelazione con un canone condiviso. Soprattutto, fatica ad affermarsi l’approccio che vede la fantascienza come fenomeno ideologicamente non omogeneo, all’interno del quale convivono realtà profondamente diverse e antagoniste, mentre si è andato affermando un “pensiero unico fantascientifico” che ha cancellato come estraneo al genere tutto ciò che non si adegua al suo orizzonte. L’immaginario dei testi di questa fantascienza è alimentato da un contesto culturale in cui la tecnica è l’unica e incontrastata protagonista, un idolo dall’incontrollabile potere magico.

In realtà la fantascienza appare, soprattutto nella contrapposizione fra le diverse “fantascienze” che si sono costituite a partire dal periodo fra le due guerre mondiali, l’espressione di uno scontro fra i dogmi esoterici delle pseudo-scienze spesso evocate e il dubbio razionale del metodo scientifico.

Raramente questo conflitto si è incarnato in modo tanto evidente nella biografia di un’unica figura come nel caso di John Parsons. Una storia nascosta nelle pieghe della nascita della fantascienza americana perché troppo oscura da interpretare. Oppure, al contrario, perché fornisce troppe risposte scomode.1

1. Il contesto (1) — Una biografia pericolosa

John Parsons saltò in aria nel garage di casa sua nel 1952 a soli 38 anni. Le indagini ufficiali appureranno trattarsi di “morte accidentale”, ma diversi fra i conoscenti e i pochi amici rimasti non riusciranno mai ad adattarsi all’idea che uno dei massimi esperti di esplosivi al mondo possa lasciarsi sfuggire dalle mani un micidiale composto di fulminato di mercurio. Questi dubbi continueranno ad alimentare la leggenda di un uomo che nel breve arco della sua vita si è conquistato un posto nella storia dell’esplorazione dello spazio2 e del mondo dell’occulto, ed è tuttora un’icona dei movimenti underground negli Stati Uniti.

Co-fondatore sia della Aerojet Industries, oggi Aerospace, che del Jet Propulsion Laboratory (JPL) di Pasadena, uno degli uomini che hanno creato la missilistica americana, Marvel Whiteside Parsons era chiamato John nella cerchia dei tecnici-scienziati, e Jack dagli adepti dell’esoterismo. Precoce in entrambi i campi, nel cortile di casa della nonna a Orange Grove, California, John sperimentava rudimentali miscele esplosive per razzi, mentre nello stesso tempo tentava di evocare Satana, spaventandosi però “quando Egli si manifestò”, come scrisse nel libro The Book of the Antichrist (Carter 4). I suoi idoli, con i quali corrispose fin dai suoi primi anni da dilettante, furono Robert Goddard, il padre della missilistica americana del quale anni più tardi fu concorrente e rivale, e in Europa Willy Ley, Hermann Oberth, il padre dell’astronautica tedesca, e il russo Konstantin Tsiolkovsky. Mentre del mago Aleister Crowley, che si autodefiniva “l’uomo più malvagio della terra”, “Jack” divenne il discepolo diletto negli Stati Uniti.

L’esoterismo e la sperimentazione tecnico-scientifica furono due attività che riuscì a gestire senza contraddizioni. Anche quando, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Parsons decise di abbandonare l’industria missilistica per dedicarsi anima e corpo alla ricerca esoterica lo fece perché pensava che non ci fosse un futuro per quell’industria, e non per qualche dubbio metafisico.

Il suo contributo all’industria militare è rilevante. Fra i numerosi brevetti registrati a suo nome e insieme agli altri membri del gruppo fondatore del JPL, si ricordano in particolare: il brevetto per un combustibile in grado di risolvere i problemi di decollo su piste molto brevi e in tempi molto rapidi, ancora oggi sfruttato per gli aerei in uso sulle navi della marina militare; e il brevetto per un tipo di combustibile tuttora usato per i missili Minutemen e Polaris nonchè, con successive elaborazioni, sui missili a più stadi e nel programma Shuttle.

Nel sito di Arroyo Seco, in una valletta deserta vicino a Pasadena, a monte di una diga chiamata “Porta del Diavolo”, dove sorgeranno gli edifici del JPL, i giovani Schott, Smith, Malina, Forman e Parsons riusciranno a mantenere in aria un razzo per 44 secondi di giravolte e impennate incontrollabili. Era il 1936, data considerata l’inizio dell’industria missilistica americana. Nella sede di Pasadena del JPL esiste un’installazione chiamata “La Natività” con i manichini dei cinque sul sito dei test a Arroyo Seco, in ricordo dell’inizio degli esperimenti, e una targa comemmorativa sulla quale il nome di Parsons è secondo al solo von Karman, nume tutelare della missilistica americana.

Parsons, insieme alla moglie Helen, si affiliò nel 1939 all’Agape Lodge di Los Angeles, sezione americana dell’OTO, l’Ordo Templis Orientis, la setta controllata da Aleister Crowley. Dopo pochi mesi, a seguito di una lotta di potere, insieme alla cognata e amante Betty, Jack trasferì la Loggia nella sua casa al numero 1003 di South Orange Grove, che da quel momento diventerà famosa, all’interno e all’esterno del suo giro, come “The Parsonage” (“la canonica”). Sul “Parsonage” la polizia locale aveva già raccolto voci di messe nere e sacrifici animali, orge a base di droghe e donne incinte che danzavano nude attorno a falò notturni. Ma nonostante l’esistenza di un nutrito dossier dell’FBI su questo gruppetto di scienziati che contemporaneamente giocava con i missili, le sette esoteriche e il comunismo, le testimonianze non vennero prese sul serio, anche se non si discostavano molto dal vero.

Il mago inglese Aleister Crowley “era un ciarlatano. Nonostante ciò, merita di essere preso in esame in quanto era un mago nel senso originale, più che un ‘occultista’ o uno ‘spiritista’. Il suo carattere era corrotto e complesso, ma la sua carriera seguì l’andamento parabolico di alti e bassi che sembra essere tipico dei maghi” (C. Wilson 362).3 Nato come ramo segreto interno alla Massoneria, l’OTO pretende di discendere direttamente dall’ordine dei Templari e dagli Illuminati bavaresi del 18° secolo.

Quando prese il controllo dell’OTO, Crowley aveva già elaborato il suo sistema filosofico-religioso sulla base di un libro, The Book of Law, derivato da tre giorni di scrittura automatica dettata da alcune divinità egizie durante un soggiorno in Egitto. La legge fondamentale che regola l’Eone di Horus, l’età contemporanea, è: “Fai quello che vuoi”. Questa “Legge del Thelema” non va consideratra come una licenza a indulgere in qualsiasi capriccio passeggero, ma piuttosto come mandato divino a scoprire la propria Volontà Reale o il vero scopo della propria vita, e realizzarlo, lasciando che gli altri realizzino il loro a modo loro (http://oto-usa.org/).

L’intuizione è geniale a scopo propagandistico e per facilitare il reclutamento. Infatti, ogni adepto della religione del Thelema (parola di origini greche tradotta come “volontà”) può interpretare le sacre scritture di Crowley come gli garba, anche se viene diffidato dal comunicare agli altri adepti le sue intuizioni.

Crowley introdusse nell’OTO i riti sessuali e la messa gnostica in sostituzione della “corrotta” messa celebrata nelle chiese del rito cattolico romano e di quello ortodosso. Tuttavia il Telemita aveva un obbiettivo più alto del semplice adepto dell’OTO. I metodi e le pratiche che conducono al dispiegamento della Volontà Reale dell’individuo sono raggruppati da Crowley sotto il termine generale di Magick, in contrapposizione alla magia nera e al satanismo: “Magick è la Scienza e l’Arte di provocare un Cambiamento in conformità alla Volontà” (Crowley, Magick in Theory and Practice, cit. in Atack).4

Alla fine della guerra Parsons, a seguito della vendita della sua quota dell’Aerojet e i proventi dei suoi brevetti, era in possesso di una discreta ricchezza. Inoltre bruciava dal desiderio di portare fino in fondo i suoi esperimenti nell’occulto per tentare l’evocazione di Babalon , la Donna Scarlatta di Crowley. Tutto il magick era dedicato a Babalon,5 della quale Crowley si considerava schiavo e servitore. Tentare di evocare questa entità, incarnarla in una donna reale per poterla controllare, era una forma di blasfemia per la Chiesa di Thelema. Ma per eseguire questo compito sovrumano, Parsons sentiva di aver bisogno di un aiutante.

Quando, nell’agosto del 1945, alla porta del “Parsonage” si presentò un giovane sottufficiale di Marina in attesa di congedo, Parsons percepì subito di aver trovato un uomo con un potenziale fuori dal comune. Di certo non avvertì quanto fatale gli sarebbe stato quell’incontro. Il nome dell’affascinante nuovo adepto era Lafayette Ron Hubbard.

Quando entrò in contatto con Parsons, Hubbard aveva ormai già pubblicato la maggior parte dei romanzi per i quali è tuttora conosciuto nell’ambiente della SF,6 ed era insoddisfatto dei risultati economici della sua attività letteraria. Dovendo mantenere una moglie, per quanto lontana, stava tentando di farsi congedare dalla Marina con una pensione di invalidità. In un’intervista del 1980, A. E. van Vogt racconta che, nel 1950, nel tentativo poi riuscito di coinvolgerlo nella sua attività, Hubbard gli avrebbe detto: “C’è un sacco di gente là fuori che vuole mandare soldi in giro a qualcuno, e non trovano nessuno a cui mandarli” (Platt 139). L’ospitalità generosa di Parsons dovette sembrare a Hubbard una buona occasione per rilassarsi e intanto guardarsi un po’ intorno. Dopotutto, Parsons era sempre un personaggio importante al JPL e all’Aerojet, e le teorie esoteriche professate da Jack interessavano Ron in maniera particolare.

Non ultimo lato interessante del “Parsonage” per Hubbard era il fatto che fosse frequentato da diverse sue vecchie conoscenze dell’ambiente della SF. Parsons, infatti, fin da ragazzo si era abbeverato di sogni e visioni dalle pagine di Amazing e dai romanzi di Verne. Da “ingegnere” del JPL, aveva frequentato le riunioni della Los Angeles Science Fiction Association, costola della SF League fondata da Hugo Gernsback, sopravvissuta per merito esclusivo della dedizione di Forrest J. Ackerman, il quale ricorda di aver conosciuto Parsons a uno degli incontri, mentre altri ricordano di averlo visto diverse volte. Ray Bradbury lo ricorda così: “Ho incontrato Parsons solo una volta, quand’ero adolescente, quando venne a tenere una lezione alla LASFS nei tardi anni trenta… Facevo parte di una piccola platea di circa una trentina di persone che erano affascinate dalle sue idee sul futuro” (Carter 60).

Carter prosegue: “Molta importanza viene data a un collegamento fra Robert Heinlein e Parsons, ed è stato affermato che Heinlein fu la prima persona alla quale Parsons presentò la sua seconda moglie, Cameron. Si ritiene che Parsons sia rimasto in contatto con Heinlein dopo aver lasciato Hollywood” (Carter 60). Diversamente da quanto sostenuto da Carter (“La signora Heinlein e L. Sprague de Camp hanno sostenuto che Heinlein non ha mai conosciuto Parsons” Carter 60), esiste nel fondo DeCamp alla University of Texas di Austin, una lettera di Heinlein datata giugno 1949 dove quest’ultimo descriveva Parsons in questi termini: “Jack è proprio un gran bravo ragazzo e un ingegnere missilistico coi controfiocchi” (Pendle 287).

Jack Williamson, al contrario di altri suoi colleghi, non ha mai avuto problemi a raccontare di Parsons e del “Parsonage”:

Nel 1941, in uno degli incontri del giovedì, Parsons conobbe uno dei suoi autori preferiti, Jack Williamson, che ricorda questo incontro nella sua autobiografia, Wonder's Child, Williamson aveva scritto Darker than You Think, che apparve nella rivista Unknown nel 1940 e venne ampliato considerevolmente per l’edizione in volume del 1948. In Wonder’s Child Williamson scrive: “[Parsons] aveva letto il mio romanzo Darker than You Think, che tratta del soprannaturale. Rimasi sconcertato nello scoprire che lui aveva un atteggiamento molto meno scettico del mio sull’argomento”. […] In seguito, Williamson si recò a casa di Parsons per uno degli incontri del sabato pomeriggio fra appassionati e scrittori che Parsons organizzava ogni settimana. Williamson ricorda la serata: “Incontrai John Parsons. Un enigma strano per me, un ingegnere missilistico con inconsueti interessi nell’occulto. Mi volle incontrare perché avevo scritto Darker than You Think. Un sacco di gente l’aveva preso più seriamente di me: è capitato che streghe della setta Wicca mi considerassero un adepto. Parsons apparteneva all’OTO, un ordine segreto fondato credo dal satanista Aleister Crowley. Una notte, Cleve Cartmill7 e io fummo ammessi a salire nell’attico con Parsons per partecipare a un incontro segreto. Il rito fu una delusione. Non c’era nessuna vergine sull’altare e Satana non venne invocato”. Darker than you Think racconta la storia di lupi mannari che scoprono la loro vera natura bestiale e cercano di far rinascere gli antichi modi e le antiche divinità. Compiono questa rinascita attraverso la guida del “Figlio della Notte” che è il risultato di una nascita magica. Il libro di Williamson influenzò evidentemente Parsons. (Carter 58)

Altri autori di SF conobbero Parsons, fra questi A.E van Vogt, mentre Alva Rogers – autore di diversi romanzi e storico della SF americana – visse per diverso tempo nella “comune” di Parsons, sulla quale ha lasciato una vivace testimonianza scritta. Esiste anche la possibilità di una connessione fra il gruppo di Parsons e la cerchia di H.P. Lovecraft attraverso E. Hoffman Price, che si vantava di aver introdotto all’occulto il noto autore di Providence.

Secondo Alva Rogers, un altro frequentatore del “Parsonage” era A.H. White, che scriveva science fiction come Anthony Boucher e gialli come H. H. Holmes. Nel 1942, White nella sua incarnazione come “Boucher” pubblicò Rocket to the Morgue, un romanzo poliziesco evidentemente ispirato al gruppo di Parsons e agli esperimenti sull’auto-razzo che questo stava eseguendo al JPL. Il romanzo dipinge Parsons nelle vesti del personaggio di Hugo Chantrelle, Forman è il suo assistente “Gribble”, Robert Heinlein è “Austin Carter”, Hubbard è “D. Vance Wimple”, John Campbell è “Don Stewart” e Jack Williamson è “Joe Henderson”. Boucher scrive nella postfazione: “La ‘Manana Literary Society’ di Heinlein esisteva precisamente come la descrivo nel libro… sono riuscito a cogliere un momento di qualche interesse di uno spaccato di storia della cultura popolare. Così andavano le cose in California del Sud prima della guerra, quando alla SF veniva data la sua forma presente” (Boucher 173). Lo stesso Williamson conferma in un recente articolo: “Rocket è un ‘roman à clef’, ambientato a Los Angeles alla vigilia di Pearl Harbour. I personaggi sono membri facilmente riconoscibili della ‘Manana Literary Society’, la riunione settimanale dei fantascientifici nella casa di Robert Heinlein a Hollywood, e il romanzo è un quadro rivelatore della fantascienza nell’‘età dell’oro’, quando Astounding e Unknown di John W. Campbell erano le riviste più importanti. Il racconto illumina il lato oscuro di quei tempi spietati quando la fantascienza era ancora soltanto un genere della letteratura popolare, disprezzato dall’establishment letterario” (Curiosities, 162).

Fu un illustratore di SF, Lou Goldstone, a presentare Hubbard a Parsons. Così Alva Rogers ricorda quella giornata:

Tutto cominciò in un giorno del tutto banale di fine autunno del 1945, quando venimmo a sapere che L. Ron Hubbard stava pensando di attendere il congedo definitivo dalla Marina al “Parsonage”. […] Visite brevi di autori professionisti come Jack Williamson, Edmond Hamilton, Tony Boucher e altri erano piuttosto frequenti, ma Ron pensava di fermarsi a lungo.
[…] Fin dal primo momento Ron mi riuscì simpatico. […] Per diverse settimane dominò la scena con il suo spirito e il suo fondo inesauribile di aneddoti. […] Ron ci mostrò delle cicatrici sul suo corpo che affermava essere provocate da frecce aborigene durante una spedizione [in Sudamerica]… Purtroppo, la reputazione che Ron si era fatto di raccontare storie fantasiose (sia sulla pagina che oralmente) raccomandava un certo grado di scetticismo da parte del suo pubblico. Comunque, ci raccontò una storia veramente divertente. […]
Ron era un incantatore persuasivo e senza scrupoli, non solo in gruppo ma anche con le donne. Era così persuasivo e privo di scrupoli che fu una questione di poche settimane e il povero Jack si ritrovò tutta la Casa sconvolta. Ron realizzò il caos semplicemente accompagnandosi alla ragazza di Jack per lunghi periodi di tempo… Ron avrebbe dovuto essere il miglior amico di Jack, e questo era più di quello che Jack poteva sopportare…
Nonostante i tre [Parsons, Hubbard e Betty] continuassero a mantenere una superficie di immutata serenità, era evidente che Jack stava provando le pene di una passione fin a quel momento sconosciuta.8

Forse anche per tentare di controllare la deriva del rapporto fra Betty e Ron, Parsons identificò in Hubbard il partner magico ideale per il suo tentativo di incarnare la Donna Scarlatta. La prima parte del rito – “dell’unione fra dei e uomini” – prevedeva la “masturbazione magica”, un rituale omosessuale. Eseguita da Jack e Ron nel gennaio del 1946 nel deserto del Mojave, questo passo propedeutico conseguì un successo imprevisto. Al ritorno a Pasadena, Jack trovò ad aspettarlo Marjorie Cameron9 , pittrice in visita da New York , che diventò il terzo elemento del rito trasferendosi definitivamente al “Parsonage”.

Per tutto febbraio, da solo o in compagnia di Ron, Parsons continuò a invocare Babalon “madre di anarchia e di ogni abominazione”. Poi, in meditazione solitaria nel deserto del Mojave, Jack ricevette la rivelazione di 77 regole che dovevano formare, secondo Parsons, il mancante quarto libro del Book of the Law, la rivelazione di Crowley. Seguendo queste istruzioni, Parsons e Marjorie con l’ausilio di Hubbard, tentarono allora di concepire il Figlio della Luna attraverso tre giornate di rituali sessuali.

Nell’estate del ’46, Parsons venne distratto dalle sue preoccupazioni metafisiche dalla scomparsa di Betty e Ron che si erano resi irreperibili dopo essere andati sulla costa est ad acquistare una barca per conto della “Allied Enterprises”, una società fondata con i soldi di Parsons. Vennero rintracciati in Florida, dove avevano dato fondo al capitale della ditta e se la stavano spassando su una delle tre barche acquistate. Parsons li denunciò, ma riuscì a recuperare solo in parte il denaro sperperato. La “Allied Enterprises” si sciolse e così anche l’ambiguo rapporto fra Parsons e Hubbard.

Secondo la Chiesa di Scientology Hubbard era stato mandato in California da “certain agencies”10 per smantellare la setta anarco-satanica:

Hubbard distrusse la magia nera in America […]. Dato che era molto noto come scrittore e filosofo e aveva amici nell’ambiente dei fisici, venne inviato per occuparsi della faccenda [della setta condotta da Parsons]. Andò a vivere nella casa per indagare sui riti di magia nera […]. La missione di Hubbard fu un successo che andò molto oltre le previsioni. La casa venne rasa al suolo. Hubbard salvò una ragazza [Betty, SC] sfruttata dal gruppo che praticava la magia nera, gruppo che venne disperso e che non si riprese mai più dal colpo. (Carter 191-92)

Gli eventi dell’estate del 1946 allontanarono Parsons dall’OTO e dalla sperimentazione “magica”. Parsons riprese la sua attività di consulenze, ma con poca fortuna. Fu costretto a lasciare il “Parsonage” per trasferirsi in una casa più modesta, venne lasciato anche da Cameron e, come se tutto questo non bastasse, gli fu ritirata la security clearance indispensabile per il suo lavoro.

Alle ore 5.45 del 17 giugno 1952, allo Huntington Memorial Hospital di Pasadena, John Whiteside Parsons moriva in seguito alle ferite riportate nell’esplosione. Il 19 luglio, al termine delle investigazioni sull’incidente, il corpo veniva cremato dopo una breve cerimonia privata.

Dell’incarnazione occulta di Parsons resta molto. A metà anni Ottanta, Robert Anton Wilson ha contato ben 1005 Capi Esterni che si combattono il diritto di successione a Crowley, fra cui lui stesso, mentre la Corte Federale ha decretato lo statuto di ente religioso e caritatevole all’Ordo Templis Orientis presente nel Web, filiazione diretta dell’Agape Lodge di Parsons Parsons (Wilson, Marvel xv). Ma per molti, le azioni di Parsons hanno avuto conseguenze più portentose. La chiusura del primo ciclo dei riti di Babalon nel 1947, anno della morte di Crowley e della scoperta dei rotoli del Mar Morto, per alcuni ha spalancato la porta su altre dimensioni. Attraverso questa breccia sarebbero penetrate nella nostra realtà entità spirituali che si manifestano nel fenomeno degli UFO, i cui primi avvistamenti sarebbero avvenuti proprio nel 1947 a opera del pilota Kenneth Arnold in volo sul monte Rainier nello Stato di Washington. “Una testimonianza non confermata attribuita al cospirologo John Judge afferma che Parsons avrebbe potuto essere a bordo del velivolo insieme al pilota Kenneth Arnold” (Carter 188)11 . Poco dopo avverrà l’incidente di Roswell, icona della cospirologia. “Tredici anni dopo” la morte di Parsons, “nacquero a San Francisco due gemelli: la controcultura e la Chiesa di Satana [di Charles Manson]” (Carter 188). Altri (come lo stesso Wilson) hanno collegato Crowley e Parsons alla nascita dei movimenti alternativi degli anni Sessanta, e ad alcune loro fascinazioni scientifiche e pseudo-scientifiche:

Magick possiede molti aspetti, ma in primo luogo opera come un sistema drammatizzato di “psicologia” (o di meta-programmazione neurolinguistica) per addestrarci a liberarci della gabbia del nostro ego condizionato socialmente e, tuffandoci direttamente nel Caos e nel Vuoto dal quale siamo emersi, fare l’esperienza della rinascita in un nuovo senso del sé, del mondo, del caos e del vuoto, apprendendo direttamente, attraverso l’esperienza, che tutti questi nomi mascherano la stessa unità nascosta. […] Il dottor John Lilly chiamò questo processo “metaprogrammare il bio-computer umano”. Il dottor Timothy Leary, conscio dei suoi debiti sia nei confronti di Crowley che di Parsons, lo chiamò “re-imprinting seriale” del nostro “tunnel di realtà”. [… S]i possono fare tutte queste cose con lo yoga, ma solo se si hanno sette anni o più di vita da dedicare alla meditazione in un ashram. Magick funziona più velocemente, specialmente se unita alle antiche estasi sciamaniche della totale espressione sessuale e agli enteogeni adatti [leggi droghe psico-attive, SC]. (Wilson Marvel, xxi, corsivo mio).

Del John Parsons scienziato è rimasto poco: una fama semi-clandestina fra gli storici dell’industria aereospaziale; una targa al J.P.L. che “onora i martiri dello spazio”, come scrive romanticamente Jack Williamson (Carter 184), e un cratere lunare a lui dedicato nel 1972 dall’Unione Astronomica Internazionale a Parigi.

Sul lato oscuro della Luna, naturalmente.

2. Chi ha paura di John Parsons?

C’è più di un modo di leggere la biografia di John Parsons, ma considerarla un caso di studio di patologia psichiatrica sarebbe quello meno interessante e meno corretto. Salta agli occhi, al contrario, che chi quella vita ha vissuto non ha mai visto alcuna contraddizione nei propri atti e nelle proprie scelte. Le incongruenze che noi leggiamo dipendono dalla nostra diversa prospettiva.

Per John Parsons, è evidente che esiste una continuità di metodo fra gli esperimenti con gli esplosivi e gli esperimenti con le evocazioni. Dopo aver raggiunto “successi straordinari nella propulsione, è come se Parsons si fosse dedicato a realizzare creazioni avventurose anche sul piano metafisico” (Carter 116). Parsons non era uno scienziato, era un tecnico e come tale ideava ed eseguiva esperimenti basandosi su istruzioni precedenti e su intuizioni originali. Il concetto dirimente è l’efficacia, quello che interessa è “vedere l’effetto che fa”. La ripetitività del metodo “tentativo ed errore”, privato di pensiero, riduce il processo a una macchina produttrice di effetti.

Crowley scrive: “In questo libro si parlerà di Sephiroth, delle Vie, di Spiriti e Evocazioni; di Dei, Sfere, e Piani, e di molte altre cose che possono o meno esistere. È ininfluente sapere se esistono o meno. Facendo certe cose si producono certi risultati. È necessario e molto importante mettere in guardia i discepoli contro la tentazione di attribuire realtà oggettiva o validità filosofica a qualsiasi di essi” (cit. in Carter 82; corsivo mio).

Il meccanicismo distrugge il rapporto causa/effetto, così tutto può essere causa di tutto. L’obiettivo è il risultato che, mentre sul piano fisico – nel “regno della Quantità”, secondo Guenon12 – è misurabile, nel “regno della Qualità” è percepibile. Ma per vedere bisogna aver Fede. Per interpretare la visita di Cameron come “effetto” dei riti nel deserto, Parsons deve credere nell’esistenza di un legame causale fra questi e l’evento. Per poter fare ciò, ci si affida non tanto ai testi, poiché le fonti sono perdute nell’abisso del tempo, quanto alla loro interpretazione, e quindi a Maestri che forniscono la lettura esatta. Ci si affida a una Nuova Sapienza (“New Learning”), un linguaggio esoterico che non può essere comunicato se non agli iniziati. Con le fonti originarie perdute, la metafisica che regge le regole della Nuova Sapienza diventa un racconto fantastico che si accetta come tale, e i riti elaborati da quelle leggi diventano l’unica realtà esistenziale. Il rito si sostituisce alla ricerca, la tecnica alla scienza.

Per questo, quando passa dalle esplosioni fisiche alle esplosioni metafisiche, Parsons non esegue nessun salto di paradigma, dal suo punto di vista. Perché, cancellando l’elaborazione intellettuale precedente all’ideazione di un “esperimento” – fisico o metafisico – l’evocazione di angeli e demoni e l’evocazione delle forze della natura sono la stessa cosa.

Ma Parsons non ha fatto altro che adeguarsi alla scuola che i suoi tempi e il suo ambiente gli mettevano a disposizione. La coerenza del suo percorso esistenziale è marmorea. Il problema è che a John non interessava la conoscenza, il sapere. Come tutti i bravi maghi e sciamani, voleva risultati.

La lentezza del processo orizzontale, che crea l’ambiente adatto all’invenzione/illuminazione verticale, diventa un’inutile zavorra per l’ossessionato dal fine. Il mito dell’Eterno Ritorno elimina il Tempo, ignora la dimensione sociale. La Storia smette di esistere e con essa la responsabilità. Al contrario, il metodo della Tradizione occulta comunicata da Maestro a discepolo parte dalla Kabbalah cristiana, che fonda nella trasparenza infallibile del numero e nella purezza degli intenti umani la sua legittimità, e giunge all’esortazione di Crowley: “Fa’ quel che vuoi”.

In California, l’invito trovò terreno fertile. Nemmeno il profeta-mago più potente avrebbe mai potuto prevedere con quanta forza questo comando avrebbe informato di sé la vita culturale di quel paese, spandendosi nel mondo moderno con conseguenze ancora non del tutto sondate. Scrive Umberto Eco in un recente articolo:

La tecnologia è quella che ti dà tutto e subito, mentre la scienza procede adagio. […] Siamo talmente abituati alla velocità che ci arrabbiamo se l’email non si scarica o se l’aereo ritarda. Però questa abitudine alla tecnologia non ha nulla a che fare con l’abitudine alla scienza. Ha piuttosto a che fare con l’eterno ricorso alla magia. […] la magia ignora la catena lunga delle cause e degli effetti e soprattutto non si preoccupa di stabilire provando e riprovando se ci sia un rapporto replicabile tra causa ed effetto. Di qui il suo fascino, dalle civiltà primitive al nostro solare rinascimento, e oltre, sino alla pleiade di sette occultistiche onnipresenti su Internet. La fiducia, la speranza nella magia non si è affatto dissolta con l’avvento della scienza sperimentale. Il desiderio della simultaneità tra causa ed effetto si è trasferito alla tecnologia, che sembra la figlia naturale della scienza. […] L’utente vive la tecnologia del computer come magia perché non sa cosa ci sta dietro. […] Il presunto prestigio di cui gode oggi lo scienziato è fondato su false ragioni, ed è in ogni caso contaminato dalla influenza congiunta delle due forme di magia, quella tradizionale e quella tecnologica, che ancora affascina la mente dei più. (50-51, corsivo mio)

Le tre parole magiche della nostra epoca tecnologica, efficacia, rapidità, facilità, sono le stesse della “scienza esoterica”. La tecnologia, così intesa, risulta in realtà in scontro perenne, non dialettico, con il pensiero scientifico e la scienza di base. La letteratura che meglio esprime questa lotta fra i dogmi esoterici della pseudo-scienza tecnica e il dubbio razionale del metodo scientifico è la fantascienza. Non solo all’interno delle sue opere, ma soprattutto nella contrapposizione fra le diverse “fantascienze” che si sono costituite durante il suo sviluppo.

Una di queste nasceva negli stessi anni e negli stessi luoghi in cui Parsons apriva e chiudeva la sua storia, allevata e nutrita dagli stessi stimoli. L’importanza di questa fantascienza è fondamentale per il fatto che, a causa del suo potere – economico, mediatico, propagandistico — ha sommerso tutte le altre, che continuano con sempre più difficoltà a essere pubblicate, spesso al di fuori dei canali ufficiali, ma che vengono sempre analizzate all’interno di un paradigma dettato dallo stereotipo nato in California.

2.1 Fantascienza: La tradizione “soft”

Parsons oggi è uno sconosciuto, al di fuori di limitati circoli esoterici, al massimo una vittima della storia, un personaggio a prima vista del tutto innocuo. Tuttavia, il suo rapporto con Ron Hubbard continua a destare scandalo nella Chiesa di Scientology, nonostante lo stesso Hubbard, in un testo “scientologico”13 parli favorevolmente di Parsons senza peraltro accennare al loro rapporto magico e in una conferenza di Scientology del 1952 menzioni “Aleister Crowley, il mio buon amico”14 . La stessa Scientology sembra essere un ibrido di fantascienza e magia. Secondo Hubbard, milioni di anni fa, Xenu, signore e padrone di 76 pianeti, raccolse la maggioranza della popolazione del suo impero, circa 178 miliardi di persone per pianeta, e li portò sulla Terra. Qui li fece esplodere all’interno di un vulcano usando bombe all’idrogeno e gli spiriti o “Thetan” raccolti in “ghirlande elettriche”. Disorientati dal massacro, i Thetan privati del corpo vennero sottoposti a circa 36 giorni di “impianto” ipnotico e raggruppati. Da sette spiriti abitanti per persona la stima di Hubbard si allargò fino alle migliaia. Apparentemente, gli “impianti” contenevano i progetti delle civiltà future, compresa la dottrina Cristiana, 75 milioni di anni prima di Cristo. I Thetan operativi di livello tre devono essere tenuti segreti, secondo Hubbard, perché chi non è preparato morirebbe entro due giorni dalla scoperta dei suoi contenuti (cfr. Atack).

Intervistato da Charles Platt nel 1980, A. E. van Vogt ricorda:

Una delle ragioni per cui mi colpì il libro Dianetics fu il fatto che non contenesse nemmeno una riga di misticismo. Non sapevo, all’epoca, che John W. Campbell aveva convinto Hubbard a non mettercene neanche un po’. Vede, avevo incontrato Hubbard in un’occasione precedente nel 1945, a cena con circa una dozzina di persone, e per me era stato evidente che lui era un tipo molto misticheggiante. (Platt 139)

L’argomento di quel “movimento che ha imbarazzato per decenni il mondo della SF” (Wolfe 52) è sempre considerato sconveniente nell’ambiente. Ma il suo “scandalo” ha oscurato altri “scandali” ben più significativi da analizzare, altre coperture, altre ipocrisie.

Anche lo stupore ingenuo di Jack Williamson di fronte ad alcune reazioni al suo Darker than You Think assume un aspetto più ambiguo alla luce di queste parole: “Un nuovo rispetto per il lupo crebbe nell’uomo. I lupi sono più intelligenti di quanto l’umano sciocco possa mai sognare di essere. Anche loro sono persone”. È Charles Manson che scrive (cit. in Parfrey 17), ispirato dallo stesso pensiero che considera l’umanità caduta da uno stato di natura animale che non è un Eden idillico, ma uno stato in cui la violenza più sconvolgente è giustificata e apprezzata come espressione dell’istinto naturale, uno stato al quale l’umanità dovrebbe sforzarsi di tornare e dal quale è stata allontanata dalla ragione, dalla “religione giudaico-cristiana” e dalla psicanalisi:

La repressione emotiva, le droghe di massa, la bassa auto-stima, la depressione, l’apatia, l’anomia, lo stress, tutte le malattie moderne sono sintomi della lotta assurda e tragica per mettere le briglie all’istinto. Il senso di colpa è prodotto dalla imperfetta capacità degli esseri umani di sopprimere la rabbia interiore dell’id represso. […] Ogni volta che i Cristiani e altri moralisti auto-eletti predicano contro il lupo, fanno propaganda contro gli stati di illuminazione estatica della mistica pagana, che spesso va mano nella mano con la reversione alla violenza animale. (Parfrey 19)

Parfrey prosegue elencando alcuni fra i movimenti che si sono rifatti a questo tipo di “fondamentalismo naturalistico”: i Corpi Licantropi organizzati da Joseph Goebbels quando la sconfitta in guerra era vicina, ispiratori dei Lupi Grigi turchi e, per alcuni, anche di numerosi serial-killer; la Bestia Aleister Crowley, naturalmente, e Anton La Vey, fondatore della Chiesa di Satana, che scrisse un saggio dal titolo: “Come Diventare un Licantropo; Fondamenti di Metamorfosi Licantropica; Principi e Applicazioni”, in cui concludeva:

Forse non è così esagerato ipotizzare che la rinascita dell’“archetipo lupo” in qualche misura sia una preparazione alle calamità millenaristiche che si credono nel nostro futuro prossimo. La mitologia teutonica, che esprime [notare il tempo presente, SC] al meglio lo spirito di conquista del tempo e dello spazio che è stato il retaggio dell’uomo Occidentale, ci racconta che la fine di tutte le cose sarà vicina quando i più grandi fra i lupi ingoieranno il sole. (Parfrey 26)

Il nome più importante che abbia sfiorato la cerchia di Parsons è comunque quello di Robert Anson Heinlein. Qualsiasi contatto fra i due, anche casuale, viene negato categoricamente da parenti e amici dell’autore. Testimoni indipendenti e attendibili affermano di averli visti insieme, e le prove circostanziali permettono di affermare che, per quanto non si possa dire che Heinlein facesse parte della cerchia di Parsons, una conoscenza fra i due sia molto probabile.15 È evidente che, per un ex diplomato dell’Accademia Navale di Annapolis, dimessosi dal servizio attivo soltanto per problemi di salute, e diventato beniamino del sistema militare-industriale per l’indefessa propaganda dei suoi valori, aver anche soltanto sfiorato l’ambiente esoterico di Parsons può essere imbarazzante. Come anche l’appropriazione fatta dalla “Chiesa di Manson” di Stranger in a Strange Land è ormai storia dimenticata, relegata com’è nella patologia criminale. Straniero in terra straniera è stato scritto alla fine degli anni Cinquanta, proprio nel momento in cui Hubbard realizzava lo sforzo maggiore per affermare la sua nuova religione, e contiene una critica diretta alla legislazione federale degli Stati Uniti che fornisce con molta liberalità a qualunque gruppo la patente di religione, e quindi di organizzazione non a fini di lucro, con enormi benefici economici per pochi furbi. Difficile pensare che il suo autore non parlasse per esperienza diretta. Ma il romanzo è soltanto in apparenza una satira delle religioni e delle chiese. Strutturato come una lunga conversazione fra i diversi personaggi, intervallata da brevi brani esplicativi che trascinano quel poco d’azione della trama, Stranger in a Strange Land è un contenitore del più vieto “buonsensismo”, condito da disprezzo per “la massa” e da cinismo elitario. Le religioni ufficiali vengono discusse da un punto di vista apparentemente razionalistico, mentre nel romanzo il contrasto viene drammatizzato dall’invenzione di una nuova, ennesima religione che, per quanto laica e non rivelata, ha tutti i connotati della setta, compresi i poteri paranormali del fondatore. A differenza delle sette che noi tutti conosciamo, in Stranger i poteri trans-umani del Maestro sono reali e sostanziano una filosofia di vita che è molto vicina alle parole d’ordine esoteriche, all’ideale che Parsons tentava di raggiungere. C’è poco da stupirsi che alcuni abbiano preso sul serio la religione del guru Valentine Michael Smith.16

In realtà, nella fantascienza frequentazioni di questo tipo sono tutt’altro che rare, anche se i suoi “ispiratori” sono quasi sempre involontari. Anche Foundation di Asimov è stato oggetto di attenzioni particolari, ispirando il profeta cieco Shoko Asahara, capo della setta “Suprema Verità”, responsabile dell’attentato al sarin nella metropolitana di Tokio del 1995. La connessione è esplicitamente dichiarata dagli adepti della setta, che utilizzava diversi accessori di provenienza fantascientifica, fra cui una specie di casco che doveva potenziare le capacità ESP di chi lo indossava. Inoltre, la setta si faceva pubblicità sulle riviste di fumetti di fantascienza e sulla edizione giapponese della rivista Twilight Zone.

Ma oltre questo tipo di modalità, che fa discendere la setta direttamente da un’opera o da un autore di fantascienza, esiste una modalità più antica e più significativa di connessione. Fin dal secolo diciannovesimo, ben prima quindi che si cominciasse a parlare del genere letterario “science-fiction”, le sette facevano largo uso di apparati sensazionalisti tratti dalle pseudo-scienze: metempsicosi, fenomeni ESP, reincarnazione, comunicazione con gli spiriti. In altri termini, il “paranormale”: telepatia, precognizione, chiaroveggenza, teletrasporto, e psicocinesi. Tutti espedienti narrativi che troveranno ampio spazio nei racconti del genere nascente, unendosi spesso alle “scienze dell’uomo” a formare un paradigma che apparentemente si contrappone alla scienze fisiche, strumento di indagine e ambiente della fantascienza originaria.

Gli scritti dei fondatori delle sette, da Madame Blavatsky fondatrice della Teosofia a Mary Baker Eddy della setta gnostica della “Christian Science”, fino ai più moderni Raeliani che fanno man bassa di stereotipi della SF, sfruttano un discorso pseudo-scientifico per sostenere le loro argomentazioni. La discriminante è la “fede” e il meccanismo psicologico è semplice. Ma c’è sempre qualcuno che prende sul serio il discorso, che ci crede: “Gli Ufo hanno la stessa caratteristica vantaggiosa posseduta dai folletti e dagli spettri, entità note per la loro capricciosità, l’elusività, non verificabili per natura, la cui esistenza è strettamente funzione della nostra disponibilità a dare credito alla testimonianza di coloro che scelgono di credere a storie del genere” (Disch 27).

Così nascono le religioni, da una storia che viene raccontata come verità, e ascoltata con fede. Anche la fantascienza ha sfruttato e sfrutta il potenziale narrativo delle pseudo-scienze ma in un racconto che si presenta come tale viene attivata la sospensione dell’incredulità, non la “capacità di credere”. Il salto logico fra psicologia e para-psicologia, che — per ora? — non è risolvibile, o il gap temporale fra l’aeroplano e l’astronave, che non è dato conoscere ma “solo” ipotizzare, inseriti in un contesto narrativo coerente, permettono alla razionalità del lettore di accettare e di adeguarsi al livello di realtà del racconto. Ma in quel vuoto e in quella distanza temporale è insediata un’ambiguità che può permettere l’irruzione del trascendente.

In questa ambiguità si è trovato anche Theodore Sturgeon. I poteri paranormali sono i protagonisti di molti fra i suoi racconti, e soprattutto di due dei suoi romanzi, Dreaming Jewels e More than Human, considerati capolavori assoluti della SF. Il secondo è stato fonte continua di ispirazione anche esistenziale e il suo autore è molto più influente di quanto lascino apparire le sue tristi fortune editoriali. Sturgeon aveva un approccio molto pragmatico alle pseudo-scienze ma, a differenza dei ciarlatani che le sfruttavano per concretare strutture religiose, era del tutto disinteressato. Autodidatta, studiava i meccanismi psicologici e relazionali con un intuito che gli faceva superare la sua evidente povertà di strumenti di base. E le sue idee non si limitò a rappresentarle nei suoi racconti, ma le sperimentò nella realtà. In un’intervista a Paul Williams, Sturgeon racconta di avere fatto ben 105 ore di “auditing dianetico” per l’organizzazione di Hubbard fino al 1951 (Sturgeon, Note 414).

L’auditing, nelle parole di Disch, “è una forma di psicanalisi fai-da-te, anti-intellettuale, almeno nei primi tempi infinitamente meno cara, nella quale l’auditor-analista fa venire alla luce gli engrammi, traumi repressi spesso codificati in malattie psicosomatiche. Con in mano una copia di Dianetica di Hubbard, una scatoletta nera chiamata e-meter, e l’atteggiamento giusto, chiunque poteva giocare al dottore” (198).

Baby is Three, la novella attorno alla quale nasce il progetto del romanzo More than Human, è la trascrizione di una seduta di analisi di un ragazzo. Sturgeon, parlando dello psicologo del racconto, ne descrive la “tecnica operativa” come

basata fondamentalmente sulla Dianetica; l’unico motivo per cui l’ho scampata è solo perché non l’ho mai detto a voce alta, perché è avversata con una tale violenza, e noi abbiamo questa tremenda tendenza a buttare il bimbo con l’acqua calda. La Dianetica funzionava – non funzionava, ma funziona – in modo assolutamente magico. Ma solo perché Hubbard si è trasformato in un megalomane, un pazzo furioso (che mi vengano pure addosso con un Processo, non mi interessa, è solo la verità), non si può, assolutamente non si può sminuire il valore delle basi della Dianetica, come sono state espresse nel primo terzo del libro originale, che da quella prima volta è stato drasticamente riscritto... (Note 414)

Anche Sturgeon è diventato un’icona della prima New Age, quella degli hippies e del rock della West Coast, ed è difficile esagerare l’influsso della fantascienza negli ambienti delle culture alternative e in particolare nel mondo della musica rock e pop fino dai suoi albori. Ma Sturgeon non è diventato il “guru” di nessuna religione e l’“homo gestalt” di More than Human non ha ispirato nessuna chiesa. Questo a causa del punto di vista sperimentale di Sturgeon, alieno a ogni trascendenza, per la sua ironia che ne temperava l’empatia, e per il suo stile che riusciva a fotografare un carattere descrivendone i movimenti psicologici con chiarezza da entomologo. L’insieme costituisce una forma di speculazione che inibisce qualsiasi approccio fideistico. Non si può credere all’homo gestalt, si può solo verificare il processo attraverso il quale si arriva all’homo gestalt. Certo qualcuno ha cercato di verificarlo nella realtà, ma non ha creato nessun rito e nessun mito.

 

Ciò che conta, in altri termini, è la validità della “metafora di riferimento” [encompassing metaphor] (Suvin SF as Metaphor, 193) di un testo, soprattutto di un testo per definizione metaforico come quello di SF:

I tre assiomi che i testi metaforici e la SF hanno in comune [coerenza, ricchezza, novità], provocano quello che ho chiamato un effetto ontolitico: le norme empiriche del destinatario sociale vengono messe in discussione dallo straniamento insito nell’oscillazione che il testo provoca fra esse e un nuovo sistema normativo, fra il “mondo zero” del destinatario e il mondo possibile del testo di SF. […] Ogni testo narrativo, nel più ampio senso del termine […], dal micro-testo di una metafora al macro-testo dei tardi drammi shakespeariani o della Comedie Humaine, implica un mondo possibile il cui tenore è una qualche diversa possibilità di relazione umana” (203; corsivo mio).

La coerenza e la ricchezza della metafora di riferimento “ci permettono di distinguere il livello o la qualità di un testo di SF” (ibid.).

 Anche le storie di Ursula K. Le Guin, che ruotano attorno a forme di anarchismo comunitario e di ecologismo integrale, hanno un notevole potenziale di deriva mistica. Ma Le Guin non ha mai corso il rischio di diventare sacerdotessa di un culto New Age per l’approccio laico sperimentale ai meccanismi sociali, per l’applicazione continua dello strumento del dubbio, e, anche nel suo caso, per uno stile che non si presta a essere sfruttato per descrivere cattedrali del pensiero esoteriche. Soprattutto, “[a]ny narrative […] is an articulated […] thought experiment” (Suvin 201): le encompassing metaphors dei racconti di Le Guin sono sempre dei modelli, degli esperimenti teorici che illuminano il “qui e ora”.

Ian Watson (63-69) ha notato un’interessante caratteristica nello sviluppo delle sue opere. Comparando la data di pubblicazione dei romanzi scritti in quel periodo con la cronologia interna delle storie (che si riferiscono tutte alla cornice del così chiamato “Hainish Cycle”) Watson nota che i primi quattro romanzi – Rocannon’s World (1966), Planet of Exile (1966), City of Illusions (1967), The Left Hand of Darkness (1969) – sono ambientati in un futuro sempre più lontano, mentre i due successivi – The Word for World is Forest (1972) The Dispossessed (1974) – si posizionano temporalmente prima, come se l’autrice avesse espresso con questa interruzione del progresso temporale della sua storia di cornice, il fondamentale cambiamento tematico fra i libri del primo gruppo rispetto a quelli che li hanno seguiti. Nei primi quattro libri, il paranormale sotto la forma di telepatia (“mindspeech”) compare come strumento narrativo principale, e l’autrice, secondo Ian Watson, riesce a stento a superare “il particolare pericolo inerente nel trattamento che la SF fa del paranormale [che consiste nel fatto] che esso può con grande facilità diventare una via di fuga semi-mistica dai problemi reali: etici, psicologici, epistemologici, e pratici” (64).

Già da The Left Hand of Darkness, comunque, sembra di assistere a una revisione dello “strumento narrativo paranormale”. La capacità precognitiva dei personaggi sembra più una forma di intuizione particolarmente sviluppata, e ha un ruolo di secondaria importanza nel racconto.

Watson indica in The Lathe of Heaven (1971) un ruolo di cerniera fra la prima fase e la seconda della carriera di Le Guin. Unico suo romanzo di ambientazione contemporanea, racconta la storia di George Orr che scopre che i suoi sogni hanno il potere di alterare la realtà, e

sostituiscono la storia con false storie che diventano verità oggettiva soltanto per essere sovvertite e modificate da altri sogni mano a mano che il suo psichiatra – ben intenzionato eppure smanioso di potere –manipola lui, e tutto il mondo oggettivo insieme a lui, cercando di allontanarlo dall’inquinamento, la sovrappopolazione, i mali sociali, eppure provocando soltanto devastazioni: epidemie, “arresto di sicurezza” per i malati, invasione aliena. (63)

Il fattore paranormale viene affondato nella melma del quotidiano, agganciato strutturalmente a tematiche esistenziali e sociali contemporanee. Le realtà che si susseguono non si definiscono come avventure in mondi meravigliosi, la narratrice non perde mai il controllo dello sviluppo del racconto per portarlo verso un finale che vorrebbe risolvere l’ambiguità. In realtà, anche in questo romanzo la comparsa di Alieni la cui “realtà” non viene mai chiaramente decisa, apre lo spazio per l’intrusione del trascendente.

The Lathe of Heaven, con la sua serie di realtà “soggettive” che si sovrappongono a una realtà “oggettiva” originaria mettendola in dubbio, ha inevitabilmente sollevato un entusiasmo particolare in Philip. K. Dick: “Uno dei romanzi migliori, e più importanti per una comprensione della natura del nostro mondo, è The Lathe of Heaven di Ursula Le Guin, in cui l’universo sogno è articolato in un modo così stupefacente e coinvolgente che esito ad aggiungervi ulteriori commenti; non ne necessita alcuno” (Dick Man, Android 214).

 

Philip. K. Dick ha evitato di diventare un “guru” dell’era informatica soltanto perché è morto troppo presto. Di certo per nostra fortuna, forse non tanto per la sua. Per chi ancora non lo sapesse, fra febbraio e marzo del 1974 Dick subì una serie di esperienze allucinatorie che gli condizionarono tutto il resto della vita, spesa dapprima a elaborare, in seguito a sostanziare una metafisica coerente che spiegasse il mondo alla luce di quella che lui aveva vissuto come una rivelazione mistica. Dick interpretò le sue visioni come messaggi inviati a lui personalmente da un’entità artificiale che definì con l’acronimo “V.A.L.I.S.”, allo stesso tempo fonte diretta e mezzo di trasmissione di insegnamenti direttamente legati al misticismo esoterico gnostico. In un primo momento Dick fu reticente a raccontare pubblicamente le sue convinzioni, rifugiandosi dietro una spiegazione psichiatrica razionale alla quale lui stesso credeva con poca convinzione. Poi, mano a mano che le reazioni dell’opinione pubblica lo raggiungevano, si innescò un incontrollato meccanismo autoalimentato che Dick scelse coscientemente di cavalcare.

Le testimonianze di chi l’ha conosciuto negli anni “post-Valis” della sua vita lo descrivono come un uomo percorso da un entusiasmo messianico incontenibile. Per fortuna “restava abbastanza ancorato alla realtà da essere in grado di predire la reazione pubblica nel momento in cui avesse dato pubblicità alla rivelazione di Valis: “Took drugs, saw God. BFD [big fucking deal]” (Disch 153) D’altra parte, qualche anno prima, il più grosso produttore privato di LSD degli Stati Uniti aveva espresso l’opinione, riferita da Timothy Leary, che la fascia di Van Allen fosse “la più alta intelligenza che protegge la terra dalle mortali radiazioni solari” e che l’Lsd fosse stato reso attivo da questa intelligenza suprema per controbilanciare la fissione nucleare (Webb 308).

Tuttavia, l’atteggiamento di Dick nei confronti della sua esperienza mistica era ambiguo. Thomas Disch ricorda così il suo unico incontro con Dick:

Ero affascinato. Lui era deciso a farmi ammettere che aveva avuto un’esperienza religiosa, una vera visione. […] Io cercavo di essere educatamente scettico, sottolineando il lato immaginativo della sua esperienza. […] Dick è un intrattenitore/inventore di credenze di professione. […] Vuole inserire in un sistema tutto quello che immagina. […] La spinta a tradurre ogni cosa immaginata in un credo, in una sospensione di incredulità è un bel salto. Eppure è probabile che l’abilità di Dick di tessere tutte queste cose insieme fosse la sua forza maggiore come romanziere. (Disch 153-154)

Dick non dubitò mai della reale esistenza di Valis. Impiegò tutti gli anni che gli restarono da vivere ad analizzare quell'esperienza, nella sua forma e soprattutto nel suo contenuto. Le sue considerazioni sono riunite in un’Exegesis di migliaia di pagine dattiloscritte, nel trittico di VALIS, Divine Invasion e The Trasmigration of Timothy Archer, e nel sottovalutato Radio Free Albemuth.

La “rivelazione” di Dick è forse l’unica del suo tipo della quale ci sono rimasti sia il risultato narrativo che la trascrizione dettagliata del suo tentativo di sistematizzazione:

Il Salvatore mi ha risvegliato temporaneamente & temporaneamente ho ricordato la mia vera natura & il mio vero compito, attraverso la gnosi salvifica, ma devo rimanere in silenzio, a causa dei veri, segreti, trans-temporali primi Cristiani all’opera, nascosti fra noi come esseri umani ordinari. Per un breve momento sono diventato uno di loro, Siddharta stesso (il Buddha o l’Illuminato) ma non devo mai affermare o rivendicare ciò. I veri buddha sono sempre silenziosi. (Dick Exegesis, cit. in Disch 155)

Senza risalire fino ai libri dei grandi mistici cristiani, questa citazione dall’Exegesis riporta alle parole di Parsons in una lettera a Aleister Crowley dopo il tentativo di evocare Babalon nel deserto del Mojave: “Sono costretto alla più totale segretezza. […] Non posso per ora scriverne il nome” (Carter 147-58). Sia Dick che Parsons tentano di afferrare l’essenza della loro esperienza ma il loro linguaggio arriva al massimo alla nebulosità metafisica. Rendendosi conto dei limiti dei loro strumenti interpretativi, fanno ricorso a riferimenti ad altre tradizioni mistiche, o a quelle che loro ritengono tali, uno stratagemma che rivela più che altro i confini delle loro esperienze culturali.

La cosa che colpisce di più della Trilogia è l’erudizione. È l’erudizione dell’Uomo Occidentale privo di radici, pronto a usare qualsiasi pezzetto di informazione che incontra, raccogliendo tutti i frammenti di significato che può. Qui non siamo più in grado di distinguere quello che proviene dall’atteggiamento spirituale dello Gnostico e ciò che proviene dalla bulimia disordinata dell’intellettuale occidentale che, alla fine, non percepisce più il mondo direttamente ma attraverso una quantità smodata di riferimenti appresi. (Dumont 241)

Vista l’incapacità di integrare la realtà psicologica delle sue esperienze con la realtà del mondo, Dick, come Parsons, si rifugia nell’incomunicabilità, nella segretezza. La Gnosi implica l’esistenza di un Demiurgo che crea e controlla la nostra realtà non-reale. “La vita reale è altrove. Tutte le Gnosi, e forse tute le fedi, sorgono dalla sensazione che il mondo visibile non sia tutta la realtà. […] Confondere il reale con il non reale è ignoranza e, di conseguenza, sorgente di ogni male. È per questo che ‘gnosi’, sapienza, è salvezza” (Dumont 240). Ma pochi hanno la capacità di vedere oltre, pochi sono gli eletti, pochi riescono a leggere il codice nascosto della vita reale. Gli esseri umani sono ciechi:

letteralmente incapaci di vedere oltre l’immediato. Gli oggetti lontani sono loro invisibili. Ogni tanto uno di loro percepisce che una volta possedevano facoltà ormai andate; una volta ogni tanto uno di loro scorge la verità, che ora essi non sono ciò che erano e non vivono dove vivevano. Ma poi dimenticano di nuovo… (Dick, Divine Invasion 121)

Il Sapiente è colui che ha la coscienza della “catastrofe in cui siamo precipitati in questo mondo, dove erriamo perduti e incoscienti” (Dumont 240). Per lui ogni cosa è un segno della realtà vera, ogni dettaglio che osserva, ogni occorrenza della vita gli svela l’opera del maligno Demiurgo che si diverte a intervenire nelle nostre vite offuscandoci la vista. La Storia non è altro che una battaglia fra le forze dello spirito e della materia, della luce e delle tenebre, una lotta che non ci riguarda, giocattoli ignari. “Questo è lo Gnosticismo. Nello Gnosticismo, l’uomo è tutt’uno con Dio contro il mondo e il creatore del mondo (entrambi folli, che se ne rendano conto o meno)” (Dick, Valis 5.78) La Storia è un enorme complotto alle nostre spalle, che soltanto il Sapiente è in grado di sventare svelandolo.

Valis è pieno di immagini (come la “laminazione”), riferimenti a testi specifici (come Ermete Trimegisto e i Vangeli Segreti), e a generi (come la parabola) che ci autorizzano a leggerlo in due modi, trattando una lettura come “reale” e l’altra come il velo che nasconde la vera lettura agli occhi del non iniziato. Anche se questo processo fosse una parodia, può essere che noi, se fossimo veri iniziati, saremmo in grado di leggere la verità perfino nella sua parodia. All’interno del romanzo stesso siamo di fronte a questo enigma: la visione del film VALIS, come le interpretazioni della copertina di Abbey Road nei tardi anni sessanta, dà la sensazione di decifrare una verità nascosta, ma potrebbe essere benissimo anche una insulsa costruzione di significato dal nulla (Huntington 171).

Per Gregg Rickman, Dick soffriva di una sindrome denominata MPD, Multiple Personality Disorder, che faceva convivere in lui diverse personalità anche contemporaneamente. L’argomentazione di Rickman, basata su testimonianze e sui testi dei romanzi di Dick, spiega come sia possibile che dalla stessa mente possano uscire nello stesso periodo le pagine esoteriche dell’Exegesis, di VALIS e Divine Invasion e contemporaneamente Radio Free Albemuth e The Trasmigration of Timothy Archer. Philip Dick il “guru” è presente con prepotenza nei primi tre, è tenuto sotto controllo dalla voce autoriale in Albemuth e del tutto assente in Archer. Ultimo suo libro, Archer non è un libro di fantascienza ma una lunga meditazione sul rapporto fra individuo e trascendenza, e una accorata analisi dell’umano bisogno di solidarietà che spesso viene sfruttato dagli spacciatori di spiritualità.

Io volevo credere. Peggio, percepivo il motore psicologico che conduceva Kirsten e Tim a credere: non volevo colpire a morte la loro fede – o credulità – perché vedevo quello che il cinismo avrebbe potuto fare loro: li avrebbe lasciati senza nulla […] Ero costretta ad affettare fede, interesse, eccitazione. […] io non condividevo la loro idea fissa. Ma mi comportai come si comportarono loro e parlai come parlarono loro. […] Ma nel mio ragionamento c’è un errore logico, e un errore etico, e io non l’avevo percepito: per mezzo della sua credulità e della sua superstiziosa follia, il Vescovo della California intendeva barattare la sua influenza, il suo potere di controllo sulla pubblica opinione, lo stesso potere che mi attirava a lui. […] Se fossi stata in grado di prevederlo, mi sarei comportata diversamente. Lui non sarebbe rimasto a lungo un uomo importante; manovrò per trasformarsi da autorità a ciarlatano. Perciò, molto di quanto mi attirava a lui presto sarebbe svanito. Così, sotto questo aspetto, io mi trovavo in uno stato di illusione tanto quanto lui. […] Il vescovo Archer ci trascinò con lui perché lo amavamo e credevamo in lui, perfino quando sapevamo che stava sbagliando, e questo è una comprensione atroce, una questione che dovrebbe suscitare un terrore morale e spirituale. (Dick, Archer 114-117)

L’empatia per gli umili e i vinti riscatta Albemuth e Archer dalla nebulosa dell’esoterico, ma non riesce a cancellare la “fondamentale confusione di Dick fra l’astrazione occultista e l’astrazione in generale. Nessun essere umano può fare a meno di concetti astratti. In questo senso, l’astrazione definisce l’Homo Sapiens. Certo, un’astrazione puramente ‘orizzontale’, che appende un concetto all’altro, se non controllata da frequenti verifiche ‘verticali’ nella pratica, può portare a sistemi irrilevanti e profondamente perniciosi, come l’occultismo di Tim (e a volte di Dick)” (Suvin Goodbye and Hello, 388).

La distanza stilistica fra Archer e i tentativi metafisici dell’Exegesis evidenzia l’opera di un potente strumento formante – stile, forma narrativa — che filtra la massa informe degli stimoli, dei temi, delle emozioni, dei contenuti in senso lato dell’esperienza psicologica visionaria plasmandoli in un equilibrio che ha più possibilità di realizzare la funzione comunicativa.

In Valis, dopo essersi soffermato su una interpretazione per qualche tempo, Dick semplicemente si contraddice e ne preferisce un’altra. A volte è un libro sapienzale e a volte è semplicemente la storia di un caso di pazzia logorroica. Gran parte delle difficoltà del lettore di Valis è generata non da una complessità filosofica ma dal meccanismo narrativo che Dick ha appreso dalla SF popolare. La Figura importante per Dick, com’è stato riconosciuto anche da lui stesso, è A. E. Van Vogt, autore noto per le sue trame confuse e complicate. […] Van Vogt consigliava agli autori giovani che, per mantenere vivo l’interesse del lettore, bisogna introdurre una nuova idea ogni 800 parole. Per Van Vogt questa non è una regola “filosofica”, ma semplicemente una tecnica pratica per mantenere l’interesse del lettore […] La regola di Van Vogt […] è un modo di generare complessità e di imporre almeno l’illusione di una dialettica indefessa. [In altre parole], Dick, come Van Vogt, e come altri popolari scrittori di SF come Heinlein e Herbert, ha imparato a dare l’impressione di una intuizione profonda semplicemente contraddicendosi. Più chiaramente viene affermato un lato della questione, più profondo sembrerà poi scoprirne l’opposto inaspettatamente affermato con la stessa assenza di ambiguità. […] In questo sistema vanvogtiano il lettore viene semplicemente strappato da una spiegazione e sbattuto in un’altra. […] Il meccanismo delle 800 parole è di un’importanza tematica generale per Dick perché rispecchia l’arbitrarietà che egli vede nell’universo. […] gli permette di abitare due sistemi di valore antitetici allo stesso tempo. […] lo costringe ad esser sia il giocoso scettico che si arrangia con quello che c’è, sia il sincero ricercatore della verità assoluta. Deve assumere la parte sia dell’intrattenitore che del romanziere dai temi importanti (Huntington 172-175).

Al proposito, Dick ricorda in un’intervista del 1980:

Arrivò il momento in cui cominciai a sentire che la fantascienza era molto importante. The World of Null-A di van Vogt aveva qualcosa che mi affascinò totalmente. Possedeva una qualità misteriosa, alludeva a cose invisibili, presentava enigmi che non venivano mai spiegati adeguatamente. Trovai in quel libro una qualità numinosa; comincia a cogliere l’idea che l’universo possieda una qualità di mistero che poteva essere affrontata nella fantascienza. Ora mi rendo conto che stavo percependo una specie di mondo medievale, un regno invisibile di cose intraviste, essenzialmente ciò che le persone che vivevano nel medioevo percepivano come il mondo trascendente, l’altro mondo. (Platt 149)

Radio Free Albemuth è cronologicamente il primo parto narrativo del “dopo-Valis”. Terminato nel 1976, venne rifiutato dall’editor della Bantam Books. Dick si immerse in due anni di revisioni, poi produsse, in due settimane di frenetica creatività, un romanzo completamente nuovo:  VALIS. Radio Free Albemuth venne pubblicato postumo, accolto tiepidamente sia dalla critica che dai lettori. VALIS, il libro che lo sostituì nel 1981 come inizio della trilogia, è un romanzo più strutturato, ma è anche meno controllato, il suo trattamento del materiale più sensazionalistico, la voce dell’autore più presente. Gli altri due volumi della trilogia, Divine Invasion e The Trasmigration of Timothy Archer, vennero pubblicati a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, nel 1981 e nel 1982, e vennero inglobati nella “Trilogia Divina”. Per Archer la forzatura è palese.

In vita Dick non è mai stato un best-selling author, ma dopo la sua morte la trilogia divenne presto, e rimane a tutt’oggi, l’Iliade e l’Odissea dei movimenti che si rifanno alla “rivoluzione cibernetica” e Dick un’icona del post-moderno.

Una parte importante, per numero e appartenenza, dei suoi lettori, però, non ha mai letto fantascienza, e rifiuta di considerare Dick un “autore di SciFi”. Le opere di Dick, così, perdono la loro realtà di narrazione e acquisiscono la caratteristica di descrizione reale del viaggio di un Maestro in un’altra realtà. Allo stesso modo, l’Exegesis viene analizzata nel migliore dei casi come un testo visionario che ha anticipato la sensibilità post-moderna; nel peggiore come una Bibbia, oracolo di verità rivelata. La differenza fra il contenuto psicologico della visione e la sua traduzione come messaggio non viene percepita, la sospensione dell’incredulità diventa accettazione fideistica.

Non si può certo incolpare Asimov della follia di Asahara, né Williamson o Heinlein di quella di Manson, ma d’altra parte non si può negare che il ramo della fantascienza che stiamo descrivendo abbia una natura millenaristica.

Per Norman Spinrad, anche la tensione verso lo spazio profondo, sede di gran parte delle avventure di fantascienza, indica una fiducia cieca nella sopravvivenza e nell’immortalità della specie umana:

[S]e esiste un'unica essenza e tematica mistica nella SF, è certamente questa. Uno potrebbe anche considerarla una religione17 . Spezzare le catene della gravità, trascendere i limiti finiti di un unico pianeta per emergere nell’infinito dell’universo esterno. Trascendere i limiti del tempo storico, misurato in secoli o in millenni nel migliore dei casi, per raggiungere un destino in un tempo cosmico misurabile in milioni o addirittura miliardi di anni. Incontrare esseri lì fuori la cui tecnologia e la cui cultura e la cui coscienza sono di milioni di anni di evoluzione più avanzata della nostra. Evolverci noi stessi in esseri del genere. Questo è il richiamo mistico dello spazio. La trascendenza. Non in qualche paradiso o reame fantastico ma nel mondo reale. Nell’universo di massa ed energia nel quale ci troviamo. (Spinrad 136)

2.2. Fantascienza: La tradizione hard

Heinlein non è stato soltanto l’autore di Stranger in a Strange Land, naturalmente. Soprattutto, è stato l’autore di opere che appoggiavano il maccartismo (The Puppet Masters, 1951), la guerra genocida (Starship Troopers, 1959), e il razzismo paranoide (Farnham’s Freehold, 1964). Ha perfino anticipato, in The Moon is a Harsh Mistress (1964) l’ultima fra le illusorie fantasie della destra fanatica: l’idea che le Nazioni Unite stiano per stabilire un dominio sulle forze della libertà, la cui unica speranza è riunirsi per formare milizie armate (Disch 84).

Nel 1938, Heinlein si candidò al seggio della stato della California per i democratici. Perse le elezioni, soprattutto perché il candidato avversario repubblicano poté sfruttare agevolmente i suoi trascorsi radicali nel movimento socialista fondato dallo scrittore Upton Sinclair. Una volta diventato il campione dell’apparato militare-industriale, Heinlein negò i suoi passati di attivista di sinistra auto-definendosi “democratico moderato”. Ma il suo radicalismo degli anni trenta non era per nulla marxista, bensì una forma di insofferenza generica verso il governo federale, “percepito come una potenza occupante” (Disch 164-165).

Lo sfruttamento della letteratura avveniristica per la propaganda di guerra non è un’invenzione del ventesimo secolo. Nel 1871, Sir George Chesney con The Battle of Dorking tentò di rispondere ai timori risvegliati in Inghilterra dalla spaventosa efficienza teutonica nella guerra franco-prussiana ipotizzando che la stessa sorte potesse capitare all’isola felice. Lo fece descrivendo con estremo realismo le possibili e terribili conseguenze di una guerra con il mostro tedesco, se l’Inghilterra non avesse subito adeguato il suo arsenale militare. Era tradizione che ufficiali dell’esercito e della marina scrivessero articoli e saggi che trattavano in modo militante i problemi della difesa nazionale. Sir George, egli stesso ufficiale di carriera nel Genio Militare, modificò il modello presentando le sue argomentazioni sotto forma di una narrazione realistica di una guerra immaginaria.

L’efficacia propagandistica della soluzione di The Battle of Dorking venne presto notata dagli ideologi del militarismo, il che produsse una serie di imitazioni del modello originale. Negli Stati Uniti la moda in un primo momento non fece molti proseliti, dato che il paese era ancora troppo occupato a prendere il controllo del proprio territorio. Il nemico era all’interno.

La fantascienza sostituisce genialmente al nemico umano un nemico alieno. Con questo stratagemma è possibile dipingere la minaccia nei termini più sconvolgenti, rappresentando l’Altro in un alieno dall’aspetto mostruoso che realizza nella sua stessa descrizione la reizzazione del nemico. Come i ragni giganteschi di Starship Troopers, l’Altro si può sterminare a milioni senza un brivido di pietà. La somiglianza fra i libri di propaganda bellica a cavallo del secolo e “Heinlein […] dev’essere ascritta alla loro origine comune in quello che Richard Hofstadter ha definito ‘lo stile paranoide della politica americana’, una tradizione che vede sinistre macchinazioni nell’operare per il bene comune, e immagina i cieli notturni ronzanti di elicotteri neri. Il nucleo di questa tradizione sono i suoi sentimenti ambivalenti verso il potere del governo federale, a volte celebrato nella sua potenza militare ed esaltato nella conquista dell’impero, altre volte combattuto quando esercita il suo potere per tassare i redditi o regolare gli arsenali privati” (Disch 167-168).

In The Puppet Masters (1951) questa paranoia assume la forma dell’invasione subdola di parassiti che si collegano al sistema nervoso umano e usano i loro ospiti come schiavi, il cui primo compito è contribuire a rendere l’umanità intera una massa di “marionette” degli alieni, proprio come nel romanzo The Body Snatchers di Jack Finney (1954), dal quale fu tratto il film Invasion of the Body Snatchers, girato nel 1956. A sua volta, Farnham’s Freehold (1964) ricorda l’idea marinettiana della guerra (in questo caso, nucleare) come igiene del mondo.

Alla metà degli anni 70 Heinlein si ritirò a gestire la sua figura pubblica di propagandista principe dell’apparato militare-industriale. Ma dietro di lui non mancavano gli aspiranti allo scettro di campione della guerra fredda.

La vittoria arrise a Jerry Pournelle, uno scrittore che, come Heinlein, aveva cominciato la sua carriera di intellettuale nella sinistra radicale, come membro del Partito Comunista. In un’intervista, Pournelle definì questo episodio della sua vita come un caso di “idealismo mal riposto. Rimasi vittima anche di quella filosofia spregiativa per la quale se ti piaceva qualcuno che non era di sinistra venivi tollerato a malapena nei dipartimenti universitari, e venivi deriso” (Pournelle 19). Subito dopo Pournelle ripose il suo idealismo nell’industria aereospaziale, dalla quale molto presto venne licenziato. Così si mise a scrivere fantascienza, pubblicando il suo primo racconto nel 1971. Diventato anche redattore della rivista dei mercenari di professione Soldier of Fortune, descrive in un’intervista del 1983: “In The Mercenary […] gli emarginati e i parassiti sociali minacciano la sopravvivenza della società. L’eroe risolve il problema attirando i civili in uno stadio gigantesco, dove vengono massacrati dai mercenari” (Platt 15).

Dice Pournelle: “In realtà non me ne frega nulla se il sistema politico è monarchico o elettivo, finché mi lascia spazi abbastanza grandi di libertà dove possa fare quello che mi pare. E ho il sospetto, comunque, che un re abbia meno potere su di me di un presidente” (ibid. 17). E ancora: “Preferisco pensare che l’umanità abbia un futuro di 100 miliardi di anni, e scrivo in un certo modo per contribuire a realizzare questo futuro. […] Diavolo, la nostra può essere l’ultima generazione a non essere immortale! Come si fa a essere depressi? Abbiamo l’intero universo, con trilioni di stelle, da conquistare. È tutto nostro, per quanto ne sappiamo” (23).

Pournelle è un mercenario mancato che, attraverso un comitato di privati cittadini da lui organizzato, il Citizens’ Advisory Council on National Space Policy, ha contribuito a elaborare il concetto del Sistema di Difesa Integrato di reaganiana memoria, poi rinverdito dall’amministrazione di George Bush jr. Anche per questo Charles Platt lo definisce “probabilmente lo scrittore di fantascienza socialmente più influente del nostro tempo” (279). Gli autori che si rifanno a questa ispirazione si sono aggregati attorno a una casa editrice indipendente, la Baen Books, una delle poche che continua con successo la sua attività anche nell’attuale situazione di crisi dell’editoria americana, non solo di fantascienza. L’influsso di Heinlein non è minoritario. Con l’aiuto decisivo della potenza d’assalto dell’industria cinematografica, gli eredi di Heinlein hanno contribuito a fissare l’immaginario della fantascienza d’avventura attorno alla “sacra trinità” stabilita dal precursore: l’Alieno come nemico mostruoso e infido, la guerra come crogiolo formativo e salvifico, l’universo come “west” da civilizzare. Questa ideologia è diventata dominante nel “genere”, introiettata fino a identificarsi nel “mainstream” della fantascienza: Gregory Benford, scrittore di SF di successo e scienziato di professione, in una recente intervista a Locus, afferma che la funzione della SF dev’essere soprattutto di proposta di nuovi obiettivi:

Ci aspettavamo molto di più di quanto le nostre capacità ci hanno permesso di raggiungere, nello spazio e sulla terra, successi che sono molto in ritardo rispetto all’immaginario della fantascienza. […] Accanto all’obiettivo dello sbarco su Marte ci sono altre cose molto importanti che l’uomo può fare nel prossimo secolo. […] A un livello molto più ”basso”, ad esempio, dovremmo costruire un canale nel Nicaragua. […] Ma l’idea che voglio spingere ora, e che in realtà potrei usare in un romanzo, è che gli Stati Uniti dovrebbero creare un protettorato sulla Siberia. Pagare i russi – cento, duecento miliardi di dollari — e semplicemente gestire la Siberia in un modo ecologicamente responsabile. È una frontiera grande quanto gli Stati Uniti, dovrebbe venire aperta, sarà aperta, responsabilmente o meno, e questo potremmo usarlo per apporre il francobollo della democrazia occidentale liberale sul territorio asiatico. Perché il prossimo importante avversario ideologico del nostro sistema occidentale dovrà quasi certamente arrivare dall’Asia, e io credo che arriverà da lì. […] Il 20° secolo è stato una battaglia contro il fascismo, il comunismo e il socialismo, tre importanti idee perniciose inventate nel 19° secolo. […] Ma ci sarà un’altra sfida nel prossimo secolo, e il modo migliore per affrontarla è avere un’importante amministrazione economicamente sviluppata e filo-occidentale della Siberia. […] Questi sono esempi di quello che io credo la fantascienza può fare. (81)

L’ultimo Heinlein non è stato meno influente del primo. I Will Fear No Evil (1970), Time Enough for Love (1973) e The Number of the Beast (1979) fissano le coordinate di un altro paradigma tipico della fantascienza moderna: la realtà non è altro che la proiezione dei nostri desideri. “Io sono l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine, il primo e l’ultimo” dice Heinlein, intervenendo alla fine di The Number of the Beast a una Convention di fantascienza dal titolo: “La Convention del Primo Centenario della Società Interuniversale del Solipsismo Escatologico Panteistico Multi-Ego”. Tutti i vari “deus-ex-machina” che la fantascienza offre con grande liberalità per realizzare le imprese più eroiche, più eccessive, quelle stesse magie tecniche che Arthur C. Clarke stigmatizzava come a-scientifiche – il teletrasporto, il viaggio interstellare.

Oggi la nanotecnologia e l’ambiente virtuale offrono nuove metafore a chi cerca scenari o spazi ideologici dove tutto è possibile. La realtà è un “put-up job” dice Bruce Sterling (xi), una costruzione ingannatrice, una convenzione che è possibile sostituire con altre convenzioni che hanno la stessa legittimità. Peccato che nel cyberspazio non si possa morire, come nota Robert Sheckley:

la realtà virtuale è qualcosa che serve a vivere fantastiche avventure senza il rischio di rimanere fisicamente feriti. Bella noia, perché se non ci si ferisce, l’avventura non conta più. […] Personalmente nutro questa riserva nei confronti della realtà virtuale: quando può succedere qualsiasi cosa, in un certo senso non succede niente. (16)

Ma se il mondo reale è solo un paravento, dietro al quale esistono una o più realtà vere, chi decifra quelle realtà, chi ha il potere di leggere dietro la realtà comune? E ancora: se la realtà è fondamentalmente falsa, chi la sta falsificando?

Ci possono essere soltanto due risposte: un essere trascendente, ultra-umano, che interviene e controlla; oppure un gruppo più o meno ampio, ma incredibilmente potente e infido, che possiede e comanda le leve che manovrano il mondo. Uomini che complottano, che cospirano. Nel virtuale, come nella realtà, nulla è come appare, nessuno è quello che appare. Usando le parole di Aleister Crowley: “l’Uomo ignora la natura del suo essere e dei suoi poteri […] Non esiste una cosa come la verità nel mondo percepibile. […] Il male è soltanto apparenza… come il bene” (Magick in Theory and Practice, cit. in Atack).

3. Il contesto (2): La paranoia

La segretezza, la clandestinità, l’elitarismo, producono mostri. “I materiali mitologici sono considerati involucri intrinseci al loro contenuto enigmatico, sacrale, oggettivamente vero a livello metafisico” (Jesi, Mito 36). Secondo gli esoteristi, la Sapienza si nasconde per sopravvivere alla lotta contro l’illuminismo razionalista. “La Tradizione e la civiltà altra si sono definitivamente ritratte da questa fase della storia del mondo” (Julius Evola, cit. in Jesi, Cultura di destra 79): così il Sapere diventa inaccessibile, se non attraverso la mediazione dei saggi. Le persone vengono divise in classi, a seconda dei livelli di accesso ai segreti della setta raggiunti, ai gradi di iniziazione superati. Il linguaggio si fa allusivo, ambiguo, “un linguaggio di idee senza parole, che presume di poter dire veramente, dunque dire e al tempo stesso celare nella sfera segreta del simbolo, facendo a meno delle parole, […] e può accontentarsi di pochi vocaboli o sintagmi: conta la circolazione chiusa del “segreto” – miti e riti – che il parlante ha in comune con gli ascoltatori, che tutti i partecipanti all’assemblea o al collettivo hanno in comune” (ibid. 9). La storia diventa scontro fra simboli, e perciò perde il suo carattere di processo. Il passato si inabissa in un Grande Tempo diviso in cicli cosmici che nascondono destini occulti. Ogni occultista o teosofo, dalla rinascita degli Illuminati in poi, crede di disporre di informazioni e insegnamenti provenienti da centrali occulte che si tramandano da tempi immemorabile, dagli egizi, dalle tribù ebraiche, dai proto-cristiani. O da tutte insieme, riunite in un calderone unico di ispirazione. “I simboli riposanti in se stessi sono suscettibili di infinite letture esegetiche. Il fatto di possedere un senso conchiuso nella propria pura presenza sembra quasi conferire loro una amabile disponibilità a lasciarsi usare” (ibid. 26).

L’“occulto” è stato definito come “conoscenza rifiutata”. Ciò significa che un sapere di tipo teoricamente valutabile può essere classificato come “occulto” esattamente come un sapere un tempo accettato ma ora scartato viene definito primitivo, ingenuo o semplicemente sbagliato. Il termine è così vago e onnicomprensivo che in esso si può comprendere lo spiritualismo, la teosofia, innumerevoli culti orientali (e non solo orientali); varianti del settarismo cristiano e la ricerca esoterica in magia, alchimia e astrologia; anche le pseudo-scienze come la Forza Odica del barone Reichenbach o gli schermi inventati da Walter Kilner per visualizzare l’aura umana. (Webb 17)

Per questo i Templari possono essere raccontati come campioni della libertà in una leggenda eroica che li collega a Gesù Cristo, a re Artù, alla massoneria e alla fondazione della democrazia moderna nel Nuovo Continente, e allo stesso tempo “considerati prototipo degli ‘ordini’ militari nazisti che, per il tramite dei Cavalieri Teutonici, si ritenevano loro eredi.” (Jesi, Cultura di destra 57).

Ed è così che le società segrete appaiono come forze che hanno fatto la storia del mondo da sempre. Il centro occulto di distribuzione della Sapienza esoterica diventa un controllore occulto dei destini del mondo. Potente, temuto, che per alcuni manovra per la venuta del Messia, per altri a puro scopo di potere e di egemonia. Dal magma informe della Tradizione si coagulano paranoie sociali ben alimentate a far nascere i famigerati Protocolli dei Savi di Sion, che “rivelano” la congiura internazionale degli ebrei, depositari di capacità e di forze occulte negative e micidiali, minaccia alla quale bisogna rispondere con gli stessi mezzi magici, con gli stessi riti sacrificali. “La seconda guerra mondiale sarebbe l’ultimo e quantitativamente sommo sacrificio umano, organizzato dagli ebrei in segreto, e lo sterminio degli ebrei sarebbe la replica difensiva, e rituale, di un potere di uomini non-maghi che hanno cercato di imparare il modo di sterminare i vampiri (modo necessariamente rituale: equivalente al paletto di frassino nel cuore, ecc.; perché chi frequenta le forze segrete può essere sterminato soltanto con tecniche esoteriche)” (ibid. 59).

Per i massoni esoterici Knight e Lomas, George Washington era l’ultimo discepolo di Gesù che realizza il Suo disegno nel paradiso della democrazia americana. Il Governo Federale degli Stati Uniti d’America è stato creato dagli “ebrei buoni”, dai nuovi Templari costretti alla clandestinità e scacciati, fortunatamente, dalla crudele Europa accecata dalla ragione.

I cospirologi neonazisti americani, o suprematisti bianchi come vengono anche definiti, raccontano la stessa storia, identica fino nei particolari, ma parlano di “complotto”, di “cospirazione”. E per loro gli ebrei sono “cattivi”.

Nella versione odierna, i maggiori protagonisti [della] cospirazione sono i seguenti: le banche, la Federal Reserve, lo IMF, la Banca Mondiale, il governo federale, il comunismo (nonostante il suo crollo), le Nazioni Unite, la Trilateral, lo IRS, le società multinazionali, i media, e la popolazione ebrea del mondo, che agisce attraverso varie organizzazioni segrete come gli Illuminati e i Massoni. (Dyer 69)

Ma all’inizio, i Templari, gli Illuminati e i Massoni erano cristiani, il cui delitto era quello di complottare per rovesciare le monarchie legittime europee, e anche il papa. Erano sovversivi ai quali sono stati attribuiti “una quantità di eventi significativi, tra cui la nascita di una cospirazione che alla fine portò alla Rivoluzione Francese” (Dyer 71). E se non fossero stati fermati, avrebbero raggiunto il controllo totale sul mondo, favorendo l’avvento dell’Anticristo. “Gli ebrei apparvero per la prima volta in questa grande cospirazione intorno al 1806, a quel che sembra dopo che Barruel ricevette una lettera da un uomo chiamato J.B. Simonini, ufficiale dell’esercito in pensione, fiorentino” (Dyer 71). Questo Simonini affermò di essersi infiltrato in una setta di ebrei dell’Italia settentrionale, fingendosi uno di loro, e lì aveva scoperto che in realtà dietro questa setta c’erano gli Illuminati che avevano manovrato per far eleggere addirittura un papa ebreo, allo scopo di raggiungere il dominio del mondo. La cospirazione ebraica divenne popolare in Europa con la pubblicazione di un romanzo firmato “Sir John Retcliffe”, intitolato Biarritz (1868)18 , che raccontava che le dodici tribù di Israele si riunivano una volta ogni cento anni attorno alla tomba del rabbino più anziano per riferire su come stavano andando le loro iniziative per la conquista del mondo. La parte della riunione al cimitero ebbe uno strepitoso successo tanto da venire accettata come resoconto autentico, e formò la base di un libro di milleduecento pagine sulla cospirazione intitolato I Protocolli dei Savi di Sion.

Il libro continua ancora a essere riproposto dai movimenti neonazi in tutto il mondo, e negli Stati Uniti nelle teorie “dominioniste” della cospirazione e dalla “Identità Cristiana”:

La Christian Identity, che è conosciuta anche come British Israelism, Israel Identity e Kingdom Message, ha preso l’avvio in Gran Bretagna nella metà dell’Ottocento. La stima più attendibile del numero dei credenti della Identity parla di circa tre milioni di persone in tutto il mondo, numero che difficilmente può essere definito insignificante.
La dottrina della Identity sostiene che i cristiani bianchi sono i veri israeliti del Vecchio Testamento, e quindi la popolazione eletta da Dio. Per tale ragione, i fautori dell’Identity negli Stati Uniti credono che l’America sia la vera terra promessa (Israel) di cui si parla nella Bibbia. Insegnano che le dieci tribù disperse di Israele sono emigrate dal Medio Oriente verso l’Europa, l’Inghilterra e, alla fine, verso gli Stati Uniti, e che una corretta lettura della storia prova come queste tribù erano formate da sassoni (bianchi). Questa convinzione ha creato nella Identity due sponde: i bianchi separatisti e i bianchi per la supremazia. I separatisti credono che le razze non dovrebbero mescolarsi, ma si astengono completamente dal dire che la razza bianca è superiore. Le convinzioni di quanti credono alla supremazia sono adottate dal Ku Klux Klan, da Aryan Nations e da altri gruppi radicali dominionisti. L’odio dei sostenitori della supremazia nei confronti degli ebrei e delle altre minoranze è fondato sulla convinzione che esista una cospirazione giudaica per un nuovo ordine mondiale, secondo loro rivelata nella Bibbia. [… L]a storia della creazione e altri insegnamenti che fanno parte della dottrina della Identity sono messi insieme in modo tale da trasformare la cospirazione per il nuovo ordine mondiale in una teologia religiosa. (Dyer 64-65)

Un credente delle teorie cospirologiche e fervente attivista della supremazia bianca e della Christian Identity, ex combattente nella prima guerra anti-Saddam, Timothy McVeigh, il 19 aprile 1995 ha fatto saltare in aria un palazzo federale a Oklahoma City, che ospitava fra l’altro anche un asilo infantile, uccidendo centosessantotto persone, inclusi donne e bambini. Il suo libro preferito, secondo i suoi amici, era The Turner Diaries, un romanzo di fantascienza violentemente razzista pubblicato nel 1978 da William Pierce. Al momento del suo arresto, McVeigh era in possesso di alcune parti fotocopiate del libro:

Oggi è stata la Giornata della Corda. Una giornata cupa e piena di sangue, ma inevitabile. Stanotte, per la prima volta da settimane, la situazione è tranquilla e totalmente pacifica, in tutta la California del Sud. Ma la notte è piena di silenziosi orrori; da decine di migliaia di lampioni, pali elettrici e alberi, in tutta la nostra grande area metropolitana, penzolano le macabre forme.
Nelle aree illuminate le si vede dappertutto. Sono stati utilizzati anche i segnali stradali agli incroci, e in pratica a ogni angolo di strada in cui sono passato stasera, andando al quartier generale, c’era un corpo che penzolava; agli incroci ce n’erano quattro. A un cavalcavia a circa un chilometro e mezzo da qui ce ne sono appesi una trentina tutti insieme, e ognuno porta attaccato al collo il cartello che ne indica l’identità, con la dicitura: “Ho tradito la mia razza”.
Due o tre tra quelli di quel gruppo, prima di essere appesi, sono stati addobbati con abiti accademici, e tutto l’insieme sembra costituito da membri del corpo docente del vicino campus della UCLA.
Nelle aree in cui non abbiamo ancora ripristinato la luce elettrica i cadaveri sono meno visibili, ma lì la sensazione di orrore che c’è nell’aria è anche peggiore rispetto all’area illuminata. Stasera, dopo la riunione della nostra unità, ho dovuto camminare attraverso una zona residenziale non illuminata lunga due isolati, tra il mio quartier generale e il posto in cui vivo. Nel bel mezzo di uno degli isolati ho visto nel buio quel che sembrava una persona in piedi sul marciapiede, proprio davanti a me. Mentre mi avvicinavo, la figura silenziosa, che aveva i lineamenti nascosti dall’ombra di un grande albero che si protendeva sul marciapiede, rimaneva immobile, bloccandomi la strada.
Ho provato una certa inquietudine e ho tirato fuori dal fodero la pistola. Poi, quando ero a quattro metri dalla figura, che era rivolta dall’altra parte, quella ha cominciato a voltarsi lentamente verso di me. C’era qualcosa di indescrivibilmente inquietante nel suo movimento e ho smesso di camminare, mentre la figura continuava a girarsi. Una lieve brezza faceva frusciare il fogliame sopra di lei e improvvisamente un raggio di luna è filtrato tra le foglie ed è caduto proprio su quella sagoma che ruotava lentamente davanti a me.
La prima cosa che ho visto alla luce della luna è stata il cartello con la scritta in grandi caratteri maiuscoli: “Ho contaminato la mia razza.” Sopra il cartello occhieggiava oscenamente la faccia orribilmente gonfia e violacea di una giovane donna, con gli occhi sgranati e sporgenti e la bocca spalancata. E finalmente ho scorto la linea verticale della corda, che si perdeva tra i rami dell’albero sovrastante. A quel che sembrava la corda era scivolata un po’, oppure il ramo a cui era attaccata si era piegato, tanto che i piedi della donna appoggiavano sul suolo, creando la spettrale parvenza di un cadavere che stesse in piedi di sua volontà.
Ho avuto un brivido e ho proseguito in fretta per la mia strada. Stanotte in questa città ci sono molte migliaia di cadaveri femminili che penzolano come quello, e tutti portano identici cartelli appesi al collo. Sono le donne bianche che hanno sposato neri, ebrei o altri maschi non bianchi, oppure che hanno vissuto con loro. (Pierce, The Turner Diaries, cit. in Dyer 66-67)

Il narratore di Pierce è un membro dell’Organizzazione, un gruppo terroristico che ha l’obbiettivo di raggiungere la purezza razziale in tutto il pianeta. Nelle prime pagine del romanzo, narrato con una voce piana, di pragmatico tecnicismo, vengono descritte: l’uccisione di un commesso di negozio afro-americano, di due proprietari di drogheria ebrei, di uno sceriffo di contea reo di aver ucciso un neo-nazista, di un politico repubblicano moderato fatto saltare insieme alla sua auto. Poi cominciano le distruzioni di interi edifici, seguite dal bombardamento del Campidoglio con mortai e, quando l’Organizzazione si impadronisce di testate atomiche, l’olocausto di intere città e, infine, di tutta l’Asia.

L’obiettivo di Pierce come romanziere è di creare uno scenario plausibile che enfatizzi le armi da guerra e la logistica del loro utilizzo, una specie di manuale pratico per bombaroli pazzi. Le persone, nel comune senso narrativo, quasi non c’entrano. […] Pierce non perde tempo sulla caratterizzazione, sui dialoghi, nemmeno su semplici conflitti interpersonali. È altrettanto indifferente a creare ritratti realistici dei nemici, neanche a due dimensioni […] i suoi cattivi raramente sopravvivono più di una pagina. I cattivi sono legioni. Praticamente chiunque non sia un membro dell’Organizzazione è un nemico della razza bianca e perciò meritevole di morte. […] Pierce dedica diversi passaggi di severa istruzione morale per spiegare i motivi per i quali milioni di persone meritino di morire, e le ragioni che fornisce suoneranno familiari a tutti i veri credenti: il futuro lo richiede. Gli scrittori della Scuola di Heinlein concorderanno in via di principio; differiscono soltanto per l’identità di chi hanno messo in fila per la distruzione. (Disch 203)

William Pierce fece una dichiarazione al suo pubblico radiofonico una settimana dopo l’attentato di Oklahoma City, in cui disse fra l’altro: “Quando il governo si impegna nel terrorismo contro i propri cittadini, non si dovrebbe sorprendere se alcuni di questi cittadini cominciano a difendersi e iniziano a compiere atti di terrorismo contro il governo” (Dyer 160).

Non possiamo prendere alla leggera questi gruppi, o fingere che siano una disordinata combriccola di canaglie che vivono ai margini della società e che presto scompariranno. [… T]utti i segnali indicano che nel giro dei prossimi anni un numero sempre maggiore di aderenti ai movimenti antigovernativi cadrà preda della mentalità che è alla base delle sette, mentre la religione apocalittica diverrà una forza sempre più dominante nelle loro vite. Le persone abbastanza equilibrate che ho incontrato solo due anni fa, quando stavano entrando nel movimento, sono diventate completamente ossessionate dalle teorie paranoiche della cospirazione. Nel caso, dello “Heaven’s Gate”, raccontiamo sottovoce le barzellette su quei tipi strani che si fanno castrare e poi si uccidono per acchiappare il disco volante che si nascondeva dietro la cometa Hale-Bopp. Nel caso del movimento antigovernativo, ridiamo dei loro elicotteri neri e delle loro affermazioni secondo cui le prigioni per i prigionieri politici vengono costruite sulla luna. Ci dimentichiamo del carattere cupo e della forza propri delle sette. Quelli dello Heaven’s Gate sono morti. L’edificio federale di Oklahoma City è stato fatto saltare.
Dovremmo imparare a vedere le folli teorie della cospirazione antigovernativa come avvertimenti, piuttosto che come materiale adatto alle barzellette. Se la gente può, in tutta sincerità, credere che i banchieri ebrei abbiano ordinato alle Nazioni Unite di attaccare le loro fattorie per tenere sotto controllo le risorse alimentari dei cristiani, e se può credere che il governo abbia inserito dei microchip nel corpo delle persone, così che i satelliti possano seguire ogni mossa che fanno, allora può anche credere che sia loro dovere far esplodere un edifico pieno di bambini. (Dyer 158-159)

 4. Conclusione

La rete di connessioni disegnata nelle pagine precedenti è stata descritta a partire da un nodo particolare: la biografia di John/Jack Parsons, un curioso tipo di scienziato-esoterista vissuto a cavallo della seconda guerra mondiale nell’area fra Los Angeles e San Francisco, in California, Stati Uniti d’America. Il nodo “Jack Parsons” è una fusione di influssi culturali – “tecnica” ed “esoterismo”, applicazioni, nel senso proprio del termine, di “scienza” e “tradizione occulta” –tipica di quel tempo e di quell’ambiente. Questa sintesi ha avuto e continua ad avere un influsso imponente, tanto più quanto le sue realizzazioni sono avvertite come neutre, “naturali”, mentre sono con tutta evidenza delle elaborazioni culturali.

L’albero di cui fa parte il nodo “tecnica” è stato solo sfiorato. L’argomentazione fondamentale del rapporto scienza-tecnica è stato affrontato solo per sottolineare quanto poco di tutto l’enorme albero sia stato acquisito dal nodo descritto: le caratteristiche di tecnica come strumento rapido, efficace, facile. E come questo lo renda una forma di magia aggiornata ai tempi.

Sostituito lo studio con l’efficacia, la conoscenza con il rito, rimane solo una magia da elettrodomestico. La visione del mondo dell’esoterismo conduce direttamente a una lettura paranoica della realtà. Il passaggio della tecnica da strumento a fine crea il destino manifesto come conquista della natura, dell’umanità, dell’intero universo.

“Paranoia” e “conquista” sono i confini dell’orizzonte ideologico che informa tanta parte di quella fantascienza che abbiamo descritto attraverso alcuni suoi nodi. Raccontando questa fantascienza, i testi che ne costituiscono il corpus si sono disposti secondo una opposizione che non è una di quelle usate comunemente per tentarne una sistematizzazione: hard SF vs. soft SF, fantascienza delle scienze fisiche vs. fantascienza delle scienze umane, speculative fiction vs. “SF avventurosa”, space opera vs. “SF sociologica”. Ogni epoca storica ha avuto il suo tentativo di descrizione, ogni epoca storica ha avuto la sua “new wave” letteraria che si chiama fuori da ogni tentativo di definizione. Ma ogni diversa opposizione, assumendo inevitabilmente un tono normativo, moltiplica le discussioni più che ridurle.

Al contrario, nell’ambiente nel quale si è sviluppata la biografia di Jack Parsons e della fantascienza americana culturalmente egemone, i due poli “tecnica/esoterismo” non sono modificati da altri stimoli culturali, e questa trasparenza permette di operare una riduzione fenomenologica. La rappresentazione di questa irriducibile opposizione fra umano e trascendente è la “ragione sociale” della fantascienza che, più o meno coscientemente, la mette in scena in ogni sua produzione, dalla più commerciale serie militarista ai più sofisticati giochi letterari di Samuel R. Delany o John Crowley.

È un’opposizione che delimita l’orizzonte cognitivo nel quale si risolve, o può risolversi, il disequilibrio che costituisce l’ambiente della narrazione. La soluzione può esistere orizzontalmente all’interno dell’ambiente oppure verticalmente all’esterno dello stesso ambiente. Entrambe le possibilità non sono date. La fuga verticale presuppone necessariamente un intervento trascendente, un deus ex machina onnipotente da un lato, e una realtà de-responsabilizzata dall’altro. Implica inoltre impotenza di conoscere, delega di significato a una cornice di riferimento imposta, rinuncia al dubbio. In altre parole, la frattura fra corpo e anima viene in qualche modo istituzionalizzata con l’apertura della finestra sul trascendente. Non è un momento di tensione che può risultare creativo, ma viene data per scontata e inevitabile, un a priori indiscutibile.

Come Suvin dice delle storie di Dick: “vediamo all’opera un’oscillazione fra gli orizzonti dell’epistemologia transitiva, dove la realtà non è in dubbio ma è il punto di vista del personaggio o del lettore a essere in questione, e l’ontologia intransitiva, in cui è la realtà stessa a essere in questione. Per definire questi due orizzonti si può usare la formula ‘epistemologico’ vs. ‘ontologico’” (Suvin, Goodbye and Hello 370).

Lungi dall’essere perciò il luogo privilegiato dell’analisi razionale, della speculazione intellettuale, dell’attualizzazione narrativa del metodo scientifico, molta fantascienza – in una percezione comune non priva, come ho cercato di argomentare, di solide motivazioni – si configura come la letteratura della trascendenza, dove il peso della responsabilità viene lasciato a qualcosa d’Altro: con leggerezza nelle space opera spensieratamente sfrenate; con più tensione nelle visioni turbate di realtà incerte.

Si leggano i due brani seguenti:

Fantascienza è una narrazione che si comporta come la scienza, adotta lo stesso punto di vista, e produce un effetto emotivo simile. La scienza (fatta correttamente) mette in discussione la conoscenza acquisita e riesamina le presunzioni comuni. Assoggetta le opinioni a test rispetto a fatti osservati, e durante il processo rende estraneo il familiare. Da una prospettiva scientifica ben poco di ciò che sappiamo è ciò che sembra: le stelle non sono meri punti di luce, ma sono enormi palle di gas incandescenti, a distanza inimmaginabili. […] Sia la scienza che la fantascienza credono che questo processo di straniamento offra un sentiero per l’illuminazione, che la realtà alterata che offre sia più vicina alla verità, e da quella verità possiamo acquisire maggiore conoscenza. (Killheffer 23)

E il brano di Robert Anton Wilson:

Noi ci autoipnotizziamo con molta facilità con i nostri modelli correnti – le nostre mappe di esistenza, i nostri più recenti tunnel di realtà – e la saggezza inizia quando veniamo strappati di forza a questa ipnosi e ci rendiamo conto di nuovo che le apparenze sono i nostri cartoni animati, creati da noi, e che non sappiamo che cosa c’è “dietro” queste apparenze. Quel momento di meraviglia nel quale ci ritroviamo persi e i nostri Idoli ridiventano soltanto modelli e cessano di ipnotizzarci, è […] ciò che la migliore fantascienza riesce a fare con più forza e con più divertimento di qualsiasi altra letteratura […] La funzione della fantascienza è di spezzare i set mentali. La fantascienza è liberazione. (Preface 18-20)

Le due affermazioni sono molto simili, e per entrambe l’illuminazione provocata dallo strani amento ha l’indispensabile funzione di permettere una nuova visione della realtà, di questa realtà. Ma, da una parte, dire che esiste una realtà più vera di un’altra significa gerarchizzare i punti di vista; dall’altra, presupporre un inconoscibile livello “dietro” alle apparenze significa che tutte le realtà hanno lo stesso valore, cioè nichilisticamente nessuno.

L’opposizione è fondamentale. L’apertura al trascendente non è neutra, perché ha lo stesso contenuto ideologico delle sue derive più estreme, che abbiamo tentato di descrivere in alcune manifestazioni. Bisogna possedere qualità narrative e onestà intellettuale per riuscire a tenere sotto controllo il trascendente come materiale narrativo. Ciò non succede molto spesso, ed è dimostrato dalla disinvoltura con la quale lo stesso autore passa dal genere fantasy alla hard SF, dall’anti-utopia anarchicheggiante alla dietrologia paranoide, come, per esempio, è capitato a Heinlein da un lato dello spettro e a John Shirley dall’altro. Da una parte opera la tecnica della bacchetta magica, dall’altra il complotto del Grande Vecchio, comunque sempre un’Entità Altra.

Bisogna ricordare, comunque, che il termine “libertarian” nella cultura statunitense rimanda a una visione del mondo che si può tentare di definire come “individualismo totale” e che solo in piccola parte, e forzatamente, si può legare all’anarchismo stirneriano. È la concezione “dell’uomo solo contro tutti” che non prevede alcuna idea di comunità mentre, al contrario, vede un Nemico irriducibile in qualsiasi tipo di organizzazione sociale, sia di base – più o meno socialista – che di vertice – lo Stato. E “libertarian” si definiscono autori come Pournelle e Heinlein. È la stessa ipertrofia dell’Io che fornisce una motivazione irrazionale all’ideologia del libero mercato come regolatore supremo di qualsiasi rapporto antropologico. Il libero mercato senza freni e senza limiti ha portato all’egemonia dei pochi sui molti e alla concentrazione del potere in poche mani incontrollate. La società ideale per (pochi) “libertari”, un’utopia (più o meno) negativa per tutti gli altri.

 Nello stesso crogiolo culturale che abbiamo cercato di descrivere si è formato anche il mito del libero mercato. L’economia è diventata una pseudo-scienza che poggia sulle stesse basi fideistiche della tradizione tecnocratica. Della natura autoregolatrice delle leggi economiche si è fatto un dogma cancellandone la realtà di mito moderno. La civiltà industriale/militare/finanziaria in cui viviamo, come la “fantascienza di Jack Parsons”, si fonda su un inganno, su un pensiero magico spacciato per razionale.

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Note dell'Autore

1

Questo saggio è un estratto da un lavoro più ampio e articolato che, sottoposto a critiche e approfondimenti, ha assunto i caratteri di un work-in-progress che spero avrà l’occasione di essere messo alla prova della pubblicazione. Fra i molti coinvolti, ringrazio in particolare Darko Suvin che ha incoraggiato fin dall’inizio la mia intuizione, e Salvatore Proietti e Alessandro Fambrini che hanno contribuito concretamente a darle struttura.

2

“Senza il suo contributo alla sperimentazione e alla realizzazione di combustibili sia solidi che liquidi, il programma spaziale americano non avrebbe raggiunto i risultati ottenuti fino a oggi” (Carter 195). Per le note sulla vita di Parsons ho usato i testi di John Carter (del 1999), un evidente pseudonimo dietro il quale è difficile pensare si celi un professionista della parola visto lo stile piuttosto pedestre, e di George Pendle (del 2005), un giornalista scientifico di stanza a New York. Il libro di Carter si sofferma sui particolari dell’attività tecnica di Parsons e ha un migliore apparato iconografico rispetto al libro di Pendle, il quale, pur non aggiungendo episodi nuovi alla biografia, li corrobora con un nutrito corpo di interviste e fonti primarie. Inoltre, per questo articolo mi sono avvalso anche delle informazioni contenute in: www.aci.net/kalliste/jack_parsons.htm e in www.factnet.org. La consultazione di quest’ultimo sito è caldamente raccomandata per una ventata di razionalità, contro-informazione e militanza quotidiana contro i culti religiosi e le sette.

3 In una nota, Colin Wilson menziona Parsons, “un altro discepolo di Crowley (che fondò la Cal. Tech. [sic]) fu a capo, a quanto pare, dell’OTO in una grandiosa casa a Pasadena, mescolando la magia alla fisica nucleare e attirandosi i sospetti delle autorità” (380).
4 L’articolo di John Atack è ospitato nel sito http://factnet.org e, fra l’altro, riporta un’utile raccolta di documenti originali di diversi culti.
5

Il termine magick era in uso nel significato di “magia” fin dai tempi di William Shakespeare. Utilizzando magick al posto di magic, come aveva fatto con Babalon da “Babylon”, Crowley riportò in auge una grafia antica ormai caduta in disuso, collegandola definitivamente al mondo dell’occulto.

6

Slaves of Sleep, in Unknown, lug. 1939; Final Blackout, in Astounding SF, apr-giu. 1940; Fear, in Unknown, lug. 1940; Typewriter in the Sky, in Unknown, nov-dic. 1942.

7

Cleve Cartmill ha lasciato un segno nella storia della SF per aver pubblicato nel 1944 sulla rivista di John Campbell, Astounding Science Fiction, un racconto che descriveva nei dettagli il funzionamento della bomba atomica, con quattordici mesi di anticipo sulla prima esplosione sperimentale ad Alamogordo.

8

Alva Rogers, articolo del 1962 pubblicato sulla fanzine Darkhouse (cit. in Carter 102-103).

9

Diventata attraverso il suo rapporto con Parsons un personaggio di spicco delle sette in America, Marjorie Cameron compare come la Donna Scarlatta e Kali anche nel film di culto Inauguration of the Pleasure Dome (1965) diretto da Kenneth Anger.

10

Dichiarazione della Chiesa di Scientology, dic. 1969 (cit. integralmente in Carter 191). La connessione fra Parsons e Hubbard per alcuni è alla base della nascita di Scientology, ma la questione è dibattuta. Perciò rinviamo chiunque fosse interessato ad approfondire l’argomento al sito della Chiesa di Scientology, alle fonti che abbiamo già elencato, e soprattutto al già citato sito del FACT.

11

Si noti il numero di ipotetiche annidate nella breve frase. È probabile che, nonostante la sua manifesta infondatezza, questa frase diventi la fonte primaria di un nuovo “fatto segreto” (vedi più avanti).

12

Quantità e Qualità sono una delle dicotomie che caratterizzano l’età moderna nella loro irriducibilità secondo René Guenon, studioso e ideologo principe della sapienza tradizionale (cfr. Il regno).

13 Professional Auditors Bulletin, no. 110, 15 April 1957, cit. in Atack.
14 Hubbard, Philadelphia Doctorate Course, lecture 18, “Conditions of Space-Time-Energy”, cit. in Atack.
15 Per la Manana Literary Society v. la lettera di Williamson cit. in Carter 58, ma soprattutto il romanzo di Boucher.
16

Nella prima edizione italiana appariva una n.d. t. che recitava: “Nell’edizione italiana sono stati apportati alcuni ritocchi al testo originale, per non offendere il comune sentimento religioso.” Il Mito, (involontariamente?), si crea anche così.

17

In realtà, quella “istituzione sociale unica al mondo”, come la definisce Disch (140), che risponde al nome di “fandom”, in alcune sue manifestazioni possiede le caratteristiche di una setta religiosa, nel suo formarsi e nella psicologia dei rapporti interni, fra i membri del gruppo, ed esterni, con gli estranei al gruppo.

18

Sir John Retcliffe era lo pseudonimo dello scrittore tedesco Hermann Goedsche (1815-1878).