La magia femminile e l'abbattimento del muro

L'articolo pone a confronto gli ultimi due volumi del ciclo di Earthsea con i precedenti quattro romanzi. Sia Tales from Earthsea sia The Other Wind approfondiscono da un lato la componente femminista, dall'altro la metafisica "non-religiosa" derivata dal taoismo. In un confronto aperto con la prospettiva della morte (letterale e metaforica), risulta sempre più impellente la necessità di rifiutare ogni forma di chiusura ed esclusione.

di Daniela Guardamagna

Daniela Guardamagna (Milano), docente di Letteratura inglese all'Università di Roma “Tor Vergata”, critico e traduttrice-adattatrice per il cinema, il teatro e la televisione, è autrice di varie monografie e saggi su temi utopici e sulla distopia, occupandosi di autori come Swift, Huxley, Orwell, Burgess, Dick, Le Guin e di cinema fantastico. Ha inoltre scritto articoli e volumi su Shakespeare, sul teatro elisabettiano e giacomiano e sul teatro inglese contemporaneo. Si ricordano qui Analisi dell'incubo. L'utopia negativa da Swift alla fantascienza (Bulzoni 1980), La narrativa di Aldous Huxley (Adriatica 1990), Il teatro giacomiano e carolino (Carocci 2002), The Tragic Comedy of Samuel Beckett (editor, con Rossana Sebellin, Laterza 2009), il numero monografico di Memoria di Shakespeare 8, On Authorship (editor con Rosa Maria Colombo, 2012), la monografia Thomas Middleton, drammaturgo giacomiano. Il canone ritrovato (Carocci 2018) e la curatela Roman Shakespeare: Intersecting Times, Places, Languages (collana "Cultural Intersections" diretta da Barrie Bullen, Oxford: Peter Lang, 2018).

1. La nascita del ciclo di Earthsea

La cosiddetta Trilogia di Earthsea, che secondo molti, inclusa chi scrive, meglio rappresenta il mondo fantastico dell’autrice insieme a The Left Hand of Darkness, è bizzarramente proposta dagli editori a Ursula Le Guin come un’opera per ragazzi (“dai dodici anni in su”).1 Earthsea è nato alla fine degli anni Sessanta come una trilogia, e in alcune situazioni editoriali viene ancora presentato come tale; i primi testi, e i più noti, sono A Wizard of Earthsea (1968), The Tombs of Atuan (1970), The Farthest Shore (1972).  Quasi vent’anni dopo, il ciclo si è espanso, con Tehanu, del 1990, poi con Tales from Earthsea (2001)2 e The Other Wind (settembre 2001).3

Introducendo il quinto volume del ciclo, Tales from Earthsea, Le Guin scrive pirandellianamente che con gli anni Earthsea è cambiata: “a mere glimpse at the place told me that things had been happening there while I wasn’t looking. […] A good deal about Earthsea, about wizards, about Roke Island, about dragons, had begun to puzzle me” (Foreword, in Tales xiii). I miti che non cambiano, scrive, sono “commodified fantasy”, miti di plastica, commercializzabili e vendibili, con le ambiguità “sanitized” (xiv), le difficoltà predigerite. È abbastanza chiaro a quali operazioni commerciali Le Guin si riferisca: poco problematiche, in effetti, e poco fertili se non nella sua inconscia capacità mitopoietica di trasfigurarle,4 erano le spade laser con cui giocava mio figlio a sei anni.

Earthsea cambia; e ci si chiede quanto si tratti di un cambiamento intrinseco al luogo che si evolve per così dire naturalmente, quanto sia il punto di vista narrativo ad essere mutato (nei sei testi sono narrati anche un lontano passato e un vicino futuro rispetto ai primi tre, la visione è quindi temporalmente ampliata, la mitologia rielaborata e reinventata); quanto infine ci siano dei cambiamenti nella visione che ne ha l’autrice, e quindi chi legge.

Ci sono costanti: in tutto il ciclo, regnano i concetti chiave dell’Universo magico di Le Guin: la magia è un duro esercizio di dedizione e disciplina, le Parole (i Veri Nomi delle cose) sono uno strumento cardine, i miracoli non giungono facili e gratuiti ma modificano il tessuto dell’esistente, e vanno quindi operati con cautela; non si cerca il puro vantaggio pratico per se stessi, se non nel caso di alcuni stregoni minori, o pazzi, o malati; l’Equilibrio è centrale.

Ci sono invece elementi nuovi, e uno degli scopi di questa analisi è indagare in che misura si tratti di un’evoluzione interna ai testi, e quanto e come sia cambiata l’ottica dell’autrice.

2. I primi quattro romances

2.1.

A Wizard of Earthsea è il romanzo di formazione di Ged, protagonista dell’intero ciclo, insieme a Tenar-Ahra-Goha dal secondo volume. Nel Wizard l’Isola di Roke, dove si insegna e si apprende la magia, è il centro, è il Bene (insidiabile dal male al suo interno, ma di per se stessa benefica); è armonica, ed è centro di armonia. Il mondo di Earthsea è già fuor di sesto, perché manca un re sul trono di Havnor, ma l’armonia è garantita dal baluardo di Roke.

2.2

In The Tombs of Atuan, Roke è ancora il Bene; ne proviene Ged, ora Arcimago di Roke, potente e forte, anche se modesto, calmo e cauto nell’operare. Il mondo di Atuan, in cui questo testo è ambientato, è governato dagli Dèi Senza Nome, gli Old Powers di cui la protagonista Tenar-Arha è la sacerdotessa. Qui gli Old Powers sembrano essere il Male: “half sleeping, half awake” (129), gelidi e oscuri, non muoiono, e – come dice Ged – odiano la luce e la vita, “la breve, brillante luce della nostra mortalità”;  non sono dèi, “non meritano la reverenza di un’anima umana”, non hanno nulla da dare, e il solo potere che hanno è oscurare e distruggere (129-130). Sono il lato oscuro dell’essere. Se ovunque si dirà che la parola esiste solo nel silenzio, la luce nel buio, la morte nella vita,5 pare chiaro che qui i poteri oscuri siano visti come totalmente negativi, siano "il male di vivere":6 nelle parole di Ged, “il coniglio [che] strilla quando muore nel prato verde”, i pescecani nel mare, “la  crudeltà negli occhi degli uomini”.7

2.3

In The Farthest Shore, Roke resiste, rocca isolata, allo sbriciolarsi del bene nel mondo: c’è disordine, la magia “non tiene”, i maghi dimenticano le parole del Vero Linguaggio, c’è una falla nel tessuto del mondo: è perché si sta sconvolgendo l’equilibrio di morte e vita, perché un mago pazzo, sconfitto solo provvisoriamente da Ged, ha scoperto come tornare dal Regno dei Morti, e sta lusingando e ingannando molti perché lo seguano e lo servano; lo strappo nel mondo sarà curato grazie al viaggio contro natura di Ged e del futuro re Lebannen nel regno dei morti.

Nell’Oltretomba si sono recati Ged, Lebannen, il mago pazzo Cob (che Ged risana e fa definitivamente morire), e il Summoner Thorion, che segue Ged e poi ritorna nel mondo dei vivi: di questo riparleremo.

Qui ci eravamo fermati, quando Earthsea era una trilogia. 

2.4

Quando inizia Tehanu, scritto come abbiamo visto quasi vent’anni dopo, chi legge ha la tentazione di proiettare quegli anni sul piano diegetico, e pensare che Le Guin voglia condurci in un periodo narrativamente altrettanto lontano. Tenar è diventata Goha, una normale donna moglie madre; è vedova di un uomo normale, non particolarmente significativo ai nostri scopi, e non vede Ged da molto tempo. Nella cronologia interna ai testi la pausa narrativa ha luogo fra The Tombs of Atuan e The Farthest Shore; Tehanu è sfalsato appena, temporalmente, rispetto all’ultima avventura di Ged, e nel suo quarto capitolo si conclude il viaggio che il drago Kalessin ha iniziato nelle ultime pagine di The Farthest Shore: Kalessin porta Ged a casa. La situazione, come è chiarito nelle prime pagine del romanzo8 , continua quella di The Farthest Shore, che precede l’ascesa al trono di Lebannen, e il testo inizia con una profezia di grande cambiamento preannunciata lietamente da Ogion, il grande mago e maestro di Ged, mentre il mondo si trova sull’ultimo gradino della discesa verso il disordine: fuor di sesto non soltanto perché manca il re, ma anche per le perversioni operate da Cob (che pure sarà appena nominato negli ultimi capitoli).

Tehanu narra la vita di Tenar, qui chiamata Goha, e la sua chiamata al capezzale di Ogion, che deve aiutare a morire; narra l’adozione da parte di Goha della piccola Therru, zingarella stuprata e quasi bruciata viva dai suoi snaturati genitori; narra il ritorno di Ged, misero e sconvolto per la perdita dei suoi poteri; narra l’unione di lui e di Goha/Tenar, impossibile prima, perché essere maghi secondo la regola di Roke richiede “a single heart”, è una specie di estremo sacerdozio (Tales 138, 143; mentre i maghi donna, non solo le streghe ma anche figure meno ambigue e più potenti, sembrano trovare bizzarra questa restrizione); narra di un altro mago pazzo, Aspen, allievo di Cob, che opera su Tenar un maleficio e che vuole uccidere lei e Ged; e vede il rivelarsi del vero essere di Therru-Tehanu, che è in grado di chiamare il drago Kalessin e gli fa distruggere il meschino nemico.

2.5   Il rapporto fra i quattro testi

Giungendo a questo quarto tassello del ciclo, sembra emergere una macrostruttura, che si articola in una dialettica narrativa. Le narrazioni si svolgono secondo punti di vista alternati: nel primo vediamo attraverso gli occhi di Ged, nel secondo seguiamo lo sguardo di Tenar, nel terzo quello di Lebannen, nel quarto di nuovo quello di Tenar e, nell’ultimo capitolo, di Therru.

Il secondo e il quarto testo sono quindi una sorta di risposta femminile al primo e al terzo. I protagonisti sono: 1. Ged, 2. Tenar, 3. Ged e Lebannen, 4. Tenar e Therru.

Inoltre, il primo testo analizza il potere dei maghi secondo Roke; il secondo indaga l’autorità della sacerdotessa degli Old Powers, gli Dèi Senza nome, contrapposta a quella maschile del Dio-re da un lato e di Ged dall’altro; il terzo parla dell’Equilibrio della magia di Roke, dentro e fuori dall’Isola; il quarto della vita normale di una donna, che Tenar sceglie diventando Goha, e d’altro canto di nuove misteriose facoltà collegate con la profezia che evoca la “Woman on Gont”: scopriremo più avanti, in modo del tutto esplicito in The Other Wind, che si tratta di Therru/Tehanu, e che questo potere (femminile) è nuovo, alieno a Roke, e deve o distruggerla (Tales 269, 271) o completarla.

3. Il passaggio ai testi successivi

3.1  Qualche teorizzazione

Ecco una risposta di Le Guin, in un’intervista del 2004 a The Guardian:

Q: In The Farthest Shore, [Ged]-Sparrowhawk still had a life of adventures; in Tehanu, he had essentially a life of troubles. I’m of course aware that 18 years or so separate these two books, but could you describe more precisely how time has allowed (or forced) you to reconsider Earthsea and its inhabitants during that period?
UKL: […] Briefly, what happened in the 17 years between Farthest Shore and Tehanu was that feminism was reborn, and I became 17 years older, and learned a good deal. One of the things I learned was how to write as a woman, not as an honorary, or imitation, man. (corsivo mio)9
Quindi, la novità è la decisione, il desiderio, di scrivere come donna: il rendersi conto che la scrittura femminile può avere esiti diversi rispetto alle modalità di espressione di quello che Le Guin definisce scherzosamente come imitazione di uno scrittore maschio.

Con un umorismo che rimane segreto, implicito, nei testi, e che invece nelle conferenze e nella saggistica Le Guin lascia fiorire libero, con grande piacere di chi la ascolta e chi la legge, così scrive in Dancing at the Edge of the World e in The Wave in the Mind:

You see, when I was growing up… there were no women. Women are a very recent invention. […] So when I was born, there actually were only men. […] They all had one pronoun; so that’s who I am. I am the generic he, as in, “If anybody needs an abortion he will have to go to another state,” or, “A writer knows which side his bread is buttered on.” That’s me, the writer, him. […] I am actually a very poor imitation or substitute man… I am shaped wrong. […] People are supposed to be lean and taut, because that’s how men generally are, lean and taut […]. But I’m really lousy at being people, because I’m not lean at all but sort of podgy, with actual fat places. […]
What it comes down to, I guess, is that I am just not manly. Like Ernest Hemingway was manly. The beard and the guns and the wives and the little short sentences. […] I don’t have a gun and I don’t have even one wife and my sentences tend to go on and on and on, with all this syntax in them.  […] Ernest Hemingway would have died rather that get old. And he did. He shot himself. A short sentence. Anything rather than a long sentence, a life sentence. Death sentences are short and very, very manly. Life sentences aren’t. They go on and on, all full of syntax and qualifying clauses and confusing references and getting old. And that brings up the real proof of what a mess I have made of being a man: I am not even young. Just about the time they finally started inventing women, I started getting old. And I went right on doing it. Shamelessly. I have allowed myself to get old and haven’t done one single thing about it. […] I keep thinking there must have been something that a real man could have done about it. […] If I’m no good at pretending to be a man and no good at being young, I must just as well start pretending that I am an old woman. I am not sure that anybody has invented old women yet; but it might be worth trying. (Introducing Myself, in Wave 3-7, corsivi miei) 

Non abbiamo potuto trattenerci dal citare estesamente, per il piacere del gioco leguiniano ma soprattutto per l’importanza che il tema riveste per noi in questo momento. La consapevolezza, vorrei dire quasi la scelta, di Le Guin di essere “an old woman” che ha superato e saputo vivere profondamente i “rites of passage” (The Space Crone, in Dancing 5-6) del cambiamento, dell’invecchiamento, sono temi essenziali per definire la nostra indagine su Earthsea. Sul tema del rapporto fra i sessi e fra questo e la scrittura, è naturalmente importante anche la riflessione su The Left Hand of Darkness in Dancing at the Edge of The World,10 dove Le Guin discute del progresso del femminismo, descrive il processo mentale che l’ha spinta a sperimentare con i generi, si accusa di non aver osato a sufficienza – dando per scontati i pronomi maschili, ad esempio, o l’eterosessualità (e da questa riflessione sembra nascere la frequenza della scelta omosessuale in The Telling); ci conferma insomma, già nel 1986, quello che ripeterà nel 2004 nell’intervista a The Guardian, l’importanza della riflessione sui generi per la creazione dei testi successivi del ciclo.

3.2  Tales from Earthsea e The Other Wind: l’evoluzione di Roke, i draghi e la morte

Venendo ai due ultimi episodi, diremo che i nuovi temi primari che vi si disegnano sono il rapporto Uomini/Draghi, qui indagato molto più a fondo; l’affascinante riflessione sul Regno dei Morti (dove già fin da The Wizard of Earthsea aveva viaggiato Ged), con una nuova valutazione di questo squallido Averno che sembrava parte ineluttabile del destino umano nei primi tre volumi; l’approfondirsi del rapporto fra Roke e gli Old Powers, e infine il rischio, da parte dei maghi di Roke, di spingersi troppo oltre nel governo delle leggi della natura.

A questi, si intrecciano i discorsi sulla magia, maschile e femminile; sull’essere e sul fare, non necessariamente attribuiti ai loro soggetti più ovvii; sull’Equilibrio e sul Cambiamento, e su come l’Equilibrio, in una fase di mutamenti, debba forse essere cercato rovesciando le modalità tradizionali, in modo che, spencolandosi oltre il punto di rottura, si arrivi a un’armonia nuova.11

Forniamo rapidamente i dati necessari per sostanziare il discorso. Nella Trilogia, i Draghi erano qualcosa di potente e di metaforico: i maghi apprendono il Language of the Making, ma un Drago è quel linguaggio; antichi, enormi, saggi, ingannatori, i Draghi sembrano altro dall’uomo, anche se sono legati alla sua acquisita sapienza. I Draghi sono immanenza (non conoscono la scrittura, sono il Linguaggio); gli umani sono il divenire, provengono dai Draghi ma non hanno più coscienza del linguaggio primigenio, dove oggetto e parola risultano tutt’uno. I maghi imparano quel Linguaggio, e così (la metafora magia/scrittura è dichiarata, per esempio in Language 53) quando lo usano conoscono in modo totale, e si verifica l’unione fra parola e oggetto.

In Tehanu, Tenar racconta a Therru un sorprendente episodio che accaduto al mago Ogion. Interessato da una delle canzoni “della donna di Kemay”, che è parte donna e parte drago, Ogion si è recato a Kemay a cercarla; e ha raccontato a Tenar di aver incontrato davvero una donna apparentemente anziana e dimessa, che è apparsa al suo occhio di mago, che vede il vero, in un baluginio di fuoco e di scaglie (11-16).

Scopriremo che una volta draghi e uomini erano una sola stirpe; poi si sono divisi, tra chi privilegia il concreto fare umano, l’ottenimento dei possedimenti e delle  terre, e chi vuole la libertà, e vola sull’“altro vento”. Trascureremo i ricchi dettagli di questa mitologia, accennata e precisata da Tehanu a The Other Wind; vedremo soltanto come le unità una volta isolate e contrapposte, cioè il mondo dei Kargs (connesso con gli Old Powers), i Draghi, gli umani, la sapienza di Roke, tutti questi elementi apparentemente dicotomici debbano fondersi e lavorare insieme per creare un nuovo equilibrio. Inoltre, i nuovi Draghi, che giungono a Roke portandole la saggezza della fusione con gli Old Powers, hanno come natura umana un’identità femminile: Irian, Tehanu, sono Draghi e sono donne.

Il regno dei morti, descritto con disperazione e orrore nella Trilogia come qualcosa di inevitabile, diventa protagonista assoluto in The Other Wind.

Sei personaggi sono portatori di questo tema: le donne/Drago (Irian/Orm Irian e Tehanu); le due donne Karg (Tenar e la principessa karg Seserakh); il sorcerer Alder; il Summoner di Roke, Thorion. Il summoning, l’evocazione di se stessi o altri dal Regno dei Morti, era stato definito fin dalla prima avventura come un’arte oscura e pericolosa: era stata la lettura che il giovane Ged ha arrischiato negli antichi libri di Ogion a evocare “il nodo di oscurità” che ha minacciato di distruggerlo fin dalle prime pagine; nell’insensata sfida magica con Jasper, centro tematico del primo testo, Ged ha evocato lo spirito dell’antica regina Elfarran, ed è in seguito a questa infrazione alle leggi della natura che il suo Doppio oscuro è entrato nel mondo, ponendo le basi per la sua possibile distruzione. Il summoning, dunque, è un punto di crisi fin dall’inizio.

Nella conclusione di The Farthest Shore, Thorion aveva seguito Ged e Lebannen nel Regno dei morti. Ged aveva visto la triste ombra perduta dell’amico mago, un’ombra non più in grado né di vivere né di morire, e l’aveva rimandata sulla terra. In The Other Wind dirà che è stato un terribile errore.

Nei Tales (Dragonfly) e in The Other Wind la storia di Thorion viene elaborata e arricchita. Thorion è tornato dal Regno dei Morti in una sorta di coma: respira, ma non reagisce, non vive. I Maghi stanno per seppellirlo. Ma anche Thorion commette un peccato di hybris: decide che solo lui potrà sostituire l’Arcimago, ora che Ged, per sanare la ferita nel mondo, ha perduto il suo potere. Thorion commette il grande peccato contro natura di richiamarsi nuovamente in vita: e contribuisce, con Cob e Aspen, alla lacerazione dell’armonia del mondo. Questo peccato sarà in parte sanato dall’annientamento di Thorion: per mano di una Donna-Drago.

Tales e The Other Wind proseguono su questa linea. I racconti più importanti per l’evoluzione della mitologia generale di Earthsea sono The Bones of the Earth e Dragonfly. Nel primo, conosciamo Dulse-Heleth, il maestro di Ogion. Ogion, quando arriva a casa di Dulse, è ancora soltanto “Silence” (il suo soprannome di ragazzo, derivato dalla sua caratteristica primaria). Il testo è importante per la storia dei personaggi di Earthsea, evidentemente, dato che costruisce la genealogia di Ged e aggiunge tasselli al mosaico temporale. Ma è più importante per un altro motivo: comincia a modificare i termini della dialettica fra Old Powers e magia di Roke. Ecco una serie di segnali:

“Roke needs Gontish wizardry – [ha detto a Dulse l’antico arcimago di Roke Nemmerle]. I think we’re leaving things out, here, things worth knowing…”; “He recalled all he could of matters his teacher had spoken of… Strange matters, so strange he had never known if they were true wizardry of mere witchery, as they said on Roke”— (Tales 156, 161) 

Poi, Dulse/Heleth e Ogion parlano di come possono fermare il terremoto, e Dulse ‘sente’ il movimento della terra:

I learned about this from Ard,” he said, and paused again. He had never told Ogion anything about his first teacher, a sorcerer of no fame even in Gont, and perhaps of ill fame. Ogion know only that Ard had never gone to Roke […] and that some mystery or shame darkened the name”. “Nothing against the balance, though; nothing sticky. […] It’s a dirty magic. Old. Very old. As old as Gont Island.” “The Old Powers?”, Ogion murmured. Heleth said, “I’m not sure”. “Will it control the earth itself?” “More a matter of getting in with it, I think. Inside”. (167) “Heleth relaxed a little and even smiled. “Very old stuff,” he said. […] I wish I’d passed it on to you. But it seemed a bit crude. Heavy-handed. She didn’t say where she learned it. […] There are different kinds of knowledge, after all.” “She?” “Ard. My teacher.” (168; corsivi miei)

Quindi la capostipite della linea Heleth-Ogion-Ged è una donna: una Maga, tra le poche registrate su Earthsea. Le altre sono streghe, di magia debole, di conoscenze incerte: “As weak as woman magic; as wicked as woman magic”, si dice ripetutamente nei testi. È evidente che per due o tre pagine Le Guin gioca sul fatto che il nome Ard sia androgino: che indichi una donna è una sorpresa. La magia oscura di Ard è stata poco usata da Dulse/Heleth; ma nel momento di crisi il mago la riscopre dentro di sé, ed è quella che ferma il terremoto, insieme alla magia ‘esterna’, alla luce del sole, con cui opererà Ogion tenendo ferme le scogliere che chiudono la baia. Se in Atuan gli Old Powers erano stati venerati in modo distorto dalle Sacerdotesse Thar e Kossil, e distorto era il modo in cui veniva gestito il loro culto, sembrava tuttavia chiaro che potessero e forse dovessero essere esclusi dalla solare realtà di Roke; così il potere del Terrenon (la fredda e oscura pietra su cui in The Wizard of Earthsea è fondato il castello di Benderesk e di sua moglie Serret che attentano alla vita e all’anima di Ged) è un potere totalmente negativo. Negli ultimi volumi il rapporto fra oscurità e luce, vita e morte, sempre postulato, si precisa e intensifica, variando in qualche misura di segno.

All’inizio di Tehanu, Ogion, morente, ha previsto “con esultanza” un grande cambiamento; ha detto a Tenar di insegnare a Tehanu: “Teach her all… not Roke” (26). Ed è a questo proposito che ha raccontato a Tenar della Donna di Kemay.

Dragonfly (in Tales) narra della giovane Irian (figlia irrequieta di un dissoluto signorotto di campagna, tutto preso dal rimpianto rancoroso per le terre perdute), e del suo tentativo di capire chi lei realmente sia. Attraverso una serie di avventure che qui possiamo trascurare, Irian chiede di essere accettata a Roke. Alcuni dei maghi riconoscono un Segno in una richiesta così strana; altri si attestano sul rispetto della Regola, che impedisce alle donne l’accesso a Roke. Irian è accolta dal Master Patterner nell’Immanent Grove, il Bosco sacro nei pressi della casa dei Maghi. Thorion, alcuni maghi e i giovani apprendisti si riuniscono per cacciarla a forza (e sappiamo che cosa Le Guin pensi della violenza, e di un rispetto della Legge che sia letterale, non ogni volta meditato e indagato); “cacciate la strega”, gridano i Maghi: chiarendoci subito quale sia la parte da cui stare. Giunti al Roke Knoll, la collina di Roke dove ogni cosa appare com’è realmente, Thorion tenta di dominare Irian con il suo vero nome; ma Irian “non è soltanto Irian”, è anche una Donna-Drago, e la menzogna del gelido Morto in Vita si rivela: Thorion si accascia in un mucchietto di polvere e ossa.

In The Other Wind, il rapporto con il mondo dei morti è il tema centrale. Il sorcerer di un piccolo paese, Alder, è turbato da incubi dopo la morte della moglie Lily. Viene mandato a Ged, perché lo aiuti, e poi a Roke. I sogni di Alder infettano le percezioni di tutti, o le rivelano, semplicemente: il Patterner di Roke è assediato dai morti che chiedono di essere liberati. Il mondo è sempre più fuor di sesto; scopriremo che il “meddling” con le leggi della vita e della morte da parte dei maghi pazzi o deviati ha turbato l’equilibrio, e che la legge taoista della rinascita, nelle generazioni, di un più normale volgere e morire, va ripristinata.

4. Il regno dei morti

4.1

Come abbiamo detto, il regno dei morti appare già nel primo volume, ed è centrale nel terzo. La descrizione è fascinosissima: “dry land”, terra eliotianamente arida, è un mondo impietoso e crudele: con morti diafani e senza occhi, passioni spente, Montagne del Dolore, sabbia, polvere e rocce, un’erba secca e grigia, città oscure dove gli uomini si aggirano senza scopo, “piccole, meschine stelle nere immobili” (cfr. Wind 44; Shore 226), cielo completamente nero. E un lunghissimo muro (che povere deboli ombre di bambini tentano vanamente di smantellare) che divide il mondo dei morti dal mondo dei vivi. I maghi diranno ad Alder, che è stato chiamato da sua moglie Lily, che ogni legame umano lì si scioglie: non ci sono amanti, e la madre non guarda e non riconosce il figlio.

Ho definito, dalle mie prime letture, questo inamabile Regno dei morti come una sorta di Averno; e di recente, nell’intervista che abbiamo citato, Le Guin ha detto esplicitamente che le immagini derivano da quelle mitologiche dell’Ade, più qualcosa di Dante (ma pena e premio sono del tutto assenti dalla sua Weltanschauung, quindi deve trattarsi di qualche brandello di terra desolata che si trova nell’Inferno o nel Purgatorio dantesco); e infine, certe Elegie di Rilke.

Questo è un cenno utilissimo. Le Guin non dice a quale delle Elegie si riferisca. Ma ho l’audacia di pensare, per ora senza conferme, che deve essere stata costitutiva la splendida Orfeo Euridice Ermes rilkiana. Qui, dopo che Orfeo ha quasi compiuto la grande impresa di strappare l’amata all’informe regno dei morti, così scrive di lei Rilke:

Sie war in einem neuen Mädchentum / und unberührbar; ihr Geschlecht war zu / wie eine junge Blume gegen Abend, / und ihre Hände waren der Vermälung / so sehr entwöhnt, dass selbst des leichten Gottes / unendlich leise leitende Berührung / sie kränkte wie zu sehr Vertraulichkeit.
Sie war schon nicht mehr diese blonde Frau, / die in des Dichters Liedern manchmal anklang, / und jenes Mannes Eigentum nicht mehr. / Sie war schon aufgelöst wie langes Haar / und hingegeben wie gefallner Regen / und ausgeteilt wie hundertfacher Vorrat. / Sie war schon Wurzel. / Und als plötzlich jäh / der Gott sie anhielt und mit Schmerz in Ausruf / die Worte sprach: Er hat sich umgewendet –, / begriff sie nichts und sagte leise: Wer?
Fern aber, dunkel vor dem klaren Ausgang, / stand irgend jemand, / dessen Angesicht / nicht zu erkennen war. Er stand und sah, / wie auf dem Streifen eines Wiesenpfades / mit trauervollem Blick der Gott der Botschaft / sich schweigend wandte, der Gestalt zu folgen / die schon zurückging dieses selben Weges, den Schritt beschränkt von langen Leichenbändern, / unsicher, sanft und ohne Undegeduld.
(Era entrata a una nuova adolescenza, e intoccabile; il suo sesso era chiuso / Come i fiori di sera; / La sua mano così schiva del gesto delle nozze / Che anche il contatto stranamente tenue della mano del Dio, sua lieve guida, la turbava per troppa intimità. / Ormai non era più la donna bionda / Che altre volte nei canti del poeta era apparsa; / Non più profumo ed isola / Dell’ampio letto e proprietà dell’uomo. / Ora era sciolta come un’ampia chioma / Diffusa come pioggia sulla terra, / Divisa come un’ultima ricchezza. / E quando a un tratto / Il dio la trattenne, e con voce di dolore / Pronunciò le parole: “S’è voltato”, / Lei non comprese, e disse piano: “Chi?”
Ma avanti, scuro sulla chiara porta, / Stava qualcuno il cui viso non era da distinguere. / Immobile guardava / Come sull’ombra del sentiero erboso / Il dio delle ambasciate lentamente / Si volgesse in silenzio per seguire / Lei che tornava sulla stessa via, / Turbato il passo dalle bende funebri, / Malcerta, mite nella sua pazienza.)12
 

Splendido, in Rilke, questo disumanarsi, questo smemorarsi della morta, ormai meno vicina all’umano di quanto non sia “il dio dei viaggi e del lontano annuncio”, che sa soffrire con Orfeo che la perde, mentre lei non sa: non ricorda. Ugualmente insopportabile il concetto di morte che era della prima Le Guin. Forse, avvicinandosi come tutti noi all’“inconcepibile approdo”, Le Guin ripensa a questo mondo in cui marito e moglie, madre e figlio si ignorano, e lo rifiuta. Come Lebannen, che dice di non temere la morte ma di provare orrore per quella morte-in-vita; come Alder, che non sopporta di staccarsi da Lily, Le Guin si chiede se il futuro che ha concepito per noi, oltre che per i suoi personaggi, non abbia alternative meno insopportabili.

4.2 Il Taoismo, la vecchiaia e la coerenza dell’Io

Una componente che interviene fortemente nella seconda parte del Ciclo, a comporre più armonicamente la dialettica morte-vita, è la concezione taoista, che Le Guin non ha mai sposato dogmaticamente (è una “congenital un-Christian”, ripete più volte, p.es. in Language 13, congenitamente ostile a ogni sistematizzazione chiesastica) ma che ha sentito vicina e fertile lungo tutta la vita.

Ecco due formulazioni esplicite. La prima è ancora nell’intervista rilasciata a The Guardian:

Q: How did you become a Taoist, if you would consider yourself one?
UKL: By reading Lao Tzu and Chuang Tzu, mostly. I don't have my library here so I don't dare try to give you any names of scholars and popularisers who helped me understand Taoism – I would forget most of them. I don't really know how one “is” a Taoist. I do know that Taoist ideas inform a great deal of my writing.
Q: What modern authors would you recommend who best represent the spirit of the Tao? Apart from Thoreau, obviously? [...]
UKL: I honestly don't know. I think part of what appeals to me so much in the novels of Jose Saramago is that his people go along with events without trying to “master” them – they do by not doing. [come Ged, come i maghi saggi di Roke, naturalmente] (Le Guin, Chronicles; corsivi miei) 

Ancora, in una precedente intervista del 1995:

I read Lao-tzu and the Tao Te Ching at 14. My father had it around the house in the old edition with the Chinese text. I sneaked a peek and was and remain fascinated. Taoism is still an underlayer in my work. It begins talking about what we can’t talk about – an old mysticism that intertwines with Buddhism and is practical and not theistic. Before and beyond God. There's a humorous and easygoing aspect to it that I like temperamentally and that fits in with anarchism. Pacifist anarchism and Lao-tzu have a lot of connection with each other, especially in the 20th century. (White, Coming Back; corsivi miei)  

Inoltre, nel 1997 esce il volume di Le Guin Lao Tzu: Tao Te Ching, una sua versione del noto testo di Lao Tzu; si tratta di una riscrittura più che di una traduzione (cfr. White), con note e commento.

Evidentemente quindi per Le Guin il taoismo è un’ipotesi di lavoro, una metafora segreta, un modo di essere, sempre più esperita nella scrittura recente. E in questa scrittura l’ipotesi taoista si coniuga con la lunga riflessione sul femminismo e a quella sull’invecchiamento. In The Wave in the Mind, Le Guin scrive:

[I]t gets harder and harder to enjoy facing the mirror. Who is that old lady? Where is her waist? […] I know what worries me most when I look in the mirror and see the old woman with no waist. It’s not that I’ve lost my beauty – I never had enough to carry on about. It’s that that woman doesn’t look like me. She isn’t who I thought I was. (Wave, 166-67) 

E, molto meno giocosamente: 

How do we remember, how do we see, a beloved person who is dead?
My mother died at eighty-three, of cancer, in pain, her spleen enlarged so that her body was misshapen. Is that the person I see when I think of her? Sometimes. […] It is a true image, yet it blurs, it clouds, a truer image. [… ] I see a little red-haired child in the mountains of Colorado… a brilliantly intellectual woman, a peerless flirt, a serious artist, a splendid cook… I see, for a moment, all that at once, I glimpse what no mirror can reflect, the spirit flashing out across the years, beautiful. (169) 

Il discorso, evidentemente, non è una pura elegia sulla vita che finisce; è un’indagine su “cosa significhi dire: io”, e su come permane, questo io, al di là del mutare fenomenico, nel tempo in cui “si diventa trasparenti all’occhio dell’altro” (“quando muti questi occhi all’altrui core”), e si deve accettare questa trasparenza (anche se il viso di Ursula settantacinquenne, che ci sorride dai retro di copertina e dal suo sito web, è piacevolmente poco opaco).

Il terzo punto dell’indagine più recente, insieme allo sperimentare più intenso di se stessa come donna e alla presenza del taoismo, è quindi la riflessione sull’invecchiamento e sulle trasformazioni-permanenze dell’io.

4.3  La conciliazione

Mi pare quindi che le componenti dell’ampliamento dell’orizzonte della Trilogia nel Ciclo siano quattro:

1. l’approfondirsi della riflessione femminista di una scrittrice complessa, non barricadiera ma profondamente impegnata a cogliere tutte le facce del reale;

2. il precisarsi del non dogmatico taoismo di Le Guin, sempre una non-religione ma – come si dice della spirale in Always Coming Home e del segno blu e rosso dell’Albero in The Telling – un’ipotesi di lavoro, una metafora, un’organizzazione dell’azione concreta, del pensiero e dell’aspettativa di vita;

3. l’intrinseco bisogno di uno spalancarsi del mondo di Earthsea: se Roke in qualche misura escludeva, il Ciclo concluso deve “abbattere i muri”, nell’unione di uomini dell’Arcipelago, Kargs e Draghi: come nelle uto-distopie leguiniane, come in Zamjàtin, fermare, bloccare è male, la rivoluzione non può che essere permanente;

4. gli ultimi due libri del Ciclo si concentrano, pur ponendo soltanto la domanda, su una meditazione più completa sulla morte.

Quindi si deve scoprire che l’impietoso Averno postulato nei primi testi, e che l’ultima Le Guin vede come una risposta insufficiente alle grandi domande che ora si pone, non è un dato ineluttabile, è una sorta di inferno cancellabile nato per una colpa umana.

La principessa Seserakh, in una lingua non sua che le consente di non postulare troppo chiaramente e troppo presto l’idea che sta alla base di The Other Wind, tenta (in realtà con estrema efficacia) di spiegare a Lebannen cosa pensano i Kargs dell’agire degli uomini dell’Arcipelago, inclusi i Maghi:

“You keep life. You keep. Too long. You never to let go. But to die–” She threw her hands out in a great opening gesture as if she threw something away, into the air, across the water. […] Defeated, she moved her hands palms down in a graceful pantomime of relinquishment. “I must to learn more words” (Wind 224-25).

È tutt’altro che vero, che Seserakh non si faccia comprendere. Si gioca sull’ineffabile, perché stiamo affrontando temi enormi (la vita, la morte). Ma a chi abbia letto anche soltanto le volgarizzazioni occidentali del Non-Attachment buddista (penso ad esempio alla morte di Lakshmi in Island di Huxley, e al racconto che della morte dell’autore fa la sua seconda moglie Laura Archera in This Timeless Moment) è evidente che l’abbandono del “let go”, del “not to keep”, è l’unica saggezza con cui si può affrontare l’ultimo viaggio. L’egoistico “tenere” degli uomini dell’Arcipelago, contrapposto alla levità dei Draghi, scompiglia la libera accettazione della finitudine. The Other Wind si chiude con la liberazione dal tanfo fetido di una morte rifiutata, e nell’armonia dell’accettazione del dissolvi. Si attende che i morti abbandonino il mondo oscuro dove l’egoismo del possesso li ha relegati; l’insegnamento dei Draghi, che si muovono perennemente fra morte e vita, è la capacità di fondersi fertilmente con l’immanenza del reale.

Conclusione

Il mondo descritto nella Trilogia era quindi un mondo giovane: pur comprendendo anch’esso la necessità del limite e della rinuncia, più volte ribadita e comprovata, è un mondo lietamente avventuroso, di eroi che volano con esultanza a cavallo di Draghi, che li domano e li sconfiggono; è un mondo pieno di futuro, scritto da una donna impegnata nel suo futuro. La seconda parte del ciclo è più profonda, più sofferta; Le Guin indaga sui significati, la Rinuncia diventa protagonista, la ricerca si addensa e si approfondisce, la dialettica con il passato si fa più ricca. Non c’è posto per la spensieratezza. Il Regno dei Morti, immagine fertile che non sembra riguardarla più di tanto nei primi testi, diventa nodo tematico assoluto e centrale.

L’autrice riflette e medita ed esamina la realtà, sua e nostra, scendendo nella profondità dell’essere che conosce, il suo, per dirci qualcosa di nuovo; come postulava già nel ’76 in The Language of the Night,

The only way to […] the image that is alive and meaningful in all of us, seems to be through the truly personal […] the irreducibly personal – the self. To reach the others, the artist goes into himself. Using reason, he deliberately enters the irrational. The farther he goes into himself, the closer he comes to the other. (Myth and Archetype in Science Fiction, in Language 78) 

La sua ricerca, fertile per chi la legge, si compie indagando con estrema profondità su ciò che conosce, se stessa, giungendo a una visione più chiara di ciò che lei è: una donna (di qui l’approfondirsi della riflessione sul femminismo), una donna anziana (di qui l’approfondirsi del pensiero sui significati della vita e la centralità assoluta dell’essere-con-la-morte).

Il tenere, l’egoismo della concentrazione rabbiosa sul proprio io, l’incapacità di lasciar andare, si rivelano come mortali, vizio assurdo affine alla mondana ansia di possesso che permea la nostra cultura: perché la vita e la sua conclusione siano armoniche vanno rinnegati.

Nell’ultimo testo non c’è una morale o una presa di posizione definitiva: il romanzo si conclude con un’attesa. Ma una cosa è certa: bisogna consentire l’abbattimento del muro.

Bibliografia

Archera Huxley, Laura. This Timeless Moment: A Personal View of Aldous Huxley. New York: Strauss, 1968; London: Chatto & Windus, 1969.

Huxley, Aldous. Island. London: Chatto & Windus, 1962.

Lao-Tzu / Ursula K. Le Guin. Lao Tzu: Tao Te Ching, A Book about the Way and the Power of the Way. Boston:  Shambala, 1997.

Le Guin, Ursula K. Chronicles of Earthsea. Intervista. The Guardian. 9 Feb. 2004: http://www.guardian.co.uk/books/2004/feb/09/sciencefictionfantasyandhorror.ursulakleguin. Consultato il 28-3-11.

---. Dancing at the Edge of the World: Thoughts on Words, Women, Places. New York: Grove Press, 1989.

---. The Farthest Shore, 1972. New York: Pulse, 2001.

---. The Language of the Night: Essays on Fantasy and Science Fiction. Ed. and with introduction by Susan Wood. New York: Perigee Books, 1979.

---. The Other Wind. New York: Ace Books, 2003.

---. Tales from Earthsea. New York: Ace Books, 2002.

---. Tehanu, 1990. New York: Bantam, 1991.

---. The Tombs of Atuan, 1970. New York: Pulse, 2001.

---. The Wave in the Mind: Talks and Essays on the Writer, the Reader, and the Imagination. Boston: Shambala, 2004. 

---. A Wizard of Earthsea, 1968. New York: Bantam, 1975.

White, Jonathan. Coming Back from the Silence: Interview with Ursula K. Le Guin, in Whole Earth Review 85 (Spring 1995): http://www.writingyourselfhome.net/sciencefiction/ursula_le_guin.htm. Consultato il 28-3-11.

Note dell'Autore

1 Cfr., oltre al retro di copertina di alcune edizioni, il saggio Dreams Must Explain Themselves, in Language, pp. 51-53.
2 Alcuni racconti appaiono in precedenza su riviste. L’importante Dragonfly, che pone la base del nuovo rapporto Draghi/umani sviluppato in The Other Wind, è pubblicato nel 1997; Darkrose and Diamond nel 1999.
3 Tradotti negli anni in volumi singoli, i primi cinque volumi sono ora raccolti in La leggenda di Earthsea, Milano: Nord, 2007.
4 Tradotti negli anni in volumi singoli, i primi cinque volumi sono ora raccolti in La leggenda di Earthsea, Milano: Nord, 2007.
5

In epigrafe a Tehanu: “Only in silence the word, / only in dark the light,/ only in dying life: / bright the hawk’s flight / on the empty sky”.  “Only in dark the light”, associato esplicitamente agli Old Powers, è anche in Tales 259.

6

Sembra evidente che Le Guin, laureata in francese e italiano, conosca il suo Montale: penso  in particolare a Ossi di seppia: “Spesso il male di vivere ho incontrato: era / Il rivo strozzato che gorgoglia, era / L’incartocciarsi della foglia, / Era il falco alto levato”.  

7

Cito dalla trad. it. di Maria Bastanzetti, Le tombe di Atuan (Milano: Mondadori, 2004, 2008), p. 156.

8

Cfr. in particolare pp. 18-19: “among village sorcerers and witches there was rumor of matters of their profession going amiss: charms that had always cured did not cure; spells of finding found nothing, or the wrong thing; […] people who knew nothing of the art of magic, the laws and limits of it and the dangers of breaking them, were calling themselves people of power, promising wonders of wealth and health to their followers, promising even immortality”. “I think a time in which such things as this occur must be a time of ruining, the end of an age. How many hundred years since there was a king in Havnor? […] We must turn to the center again or be lost… […] The Ring of Erreth-Akbe is restored to the Tower in Havnor. […] But we haven’t acted on it. We have no king. We have no center”. Siamo all’inizio del massimo disordine, prima che Lebannen sia incoronato ad Havnor.

9 Vedi le citazioni subito successive per una riflessione ulteriore, espressa con irresistibile humour ma non per questo meno profondamente seria, sull’essere una donna e non un “honorary, or imitation, man”. Molti dei saggi di Dancing e Wave, dichiarando esplicitamente l’eredità woolfiana, sviluppano il problema della scrittura femminile, di cosa significhi essere donna e scrivere, essere madre e scrivere, di quanto i ruoli apparentemente inconciliabili (e ritenuti inconciliabili sia dall’establishment che, bizzarramente, da molta critica femminista) possano invece essere fertilmente coniugati.
10

Il saggio a cui mi riferisco  (Is Gender Necessary? Redux) è ripreso, con poche ma interessanti modifiche, da un articolo pubblicato nel 1976 nell’antologia Aurora: Beyond Equality, e apparso in Language col titolo Is Gender Necessary?. È evidente la dialettica con una parte della critica femminista, in particolare con Sarah LeFanu, che – soprattutto nel suo In the Chinks of the World Machine – discuteva la sperimentazione insufficiente con il gender da parte di Le Guin.

11 Cfr. ad esempio: “When the balance is wrong, holding still is not good. It must get more wrong, said the Patterner. Until… He made a quick gesture of reversal with his open hands, down going up and up down”. (Dragonfly, in Tales 267).
12

Rainer Maria Rilke, Orfeo Euridice Ermes, in R.M. Rilke, Poesie, traduzione di Giaime Pintor (Torino: Einaudi, 1942, 1997), pp. 32-35. I corsivi sono miei.