Fabrizio Foni, Alla fiera dei mostri

Fabrizio Foni. Alla fiera dei mostri. Racconti pulp, orrori e arcane fantasticherie nelle riviste italiane, 1889-1932 (prefazione di Luca Crovi, postfazione di Claudio Gallo). Latina: Tunué, 2007. pp. 334, Euro 22,50.

di Alessandro Fambrini

Alessandro Fambrini, docente di Letteratura tedesca presso l’Università di Trento, è componente del comitato di redazione di Anarres. Tra le sue ultime pubblicazioni nel campo del fantastico, la cura e traduzione di opere di Kurd Lasswitz e Hanns-Heinz Ewers, e dell'antologia Der Orchideengarten (Hypnos, 2016).

Nella ricerca di una “via italiana alla fantascienza”, il materiale recente acquista maggiore  senso e spessore se distribuito sulla mappa di una storia che non nasce con “Urania” e con la conseguente canonizzazione di un modello fantascientifico derivato quasi esclusivamente dalle riviste americane degli anni ’30-’50, ma coinvolge una tradizione autoctona e precedente, come lontana linfa che ritorna, dopo aver scorso sotterranea, a rinvigorire la produzione odierna.In questa prospettiva, negli ultimi anni si è assistito a un sempre più ampio recupero del patrimonio fantastico italiano precedente all’“era di Monicelli”, con documentate e lodevoli iniziative come l’antologia Le aeronavi dei Savoia, curata qualche anno fa da Gianfranco de Turris, o le ricerche condotte da Claudio Gallo (che qui firma la postfazione), dalle quali inizia a emergere un quadro sempre più variegato e coerente di un fantastico italiano non più legato soltanto agli schemi della letteratura “alta”, ma che anzi, contribuendo ad abbattere le barriere tra alto e basso, di fatto ne sgretola le categorie. Il lavoro di Fabrizio Foni s’inserisce in questo filone con un capillare lavoro di ricerca condotto su fonti rare o comunque difficilmente accessibili, fino a distillare un corpus ragguardevole di letteratura fantastica da un patrimonio immenso di narrativa di consumo dispersa nei rivoli di una produzione destinata altrimenti al (talvolta meritato) oblio.

L’impressione alla fine è quella che si può ricavare da indagini similari condotte su fonti analoghe di altri paesi: tra Ottocento e Novecento, coerentemente con la diffusione sempre più ampia della letteratura come genere d’intrattenimento e sotto la pressione delle richieste di un mercato sempre più quantitativamente esigente, la produzione di testi subisce un’impennata poderosa che porta a una sorta d’impazzimento delle coordinate tipologiche consuete: elementi considerati tradizionalmente extra-letterari come scienza e para-scienza tendono a entrare nella cultura comune e a divenire argomento di rielaborazione narrativa. Da questa rielaborazione tali elementi riemergono mutati nei loro connotati, contaminati con forme e cliché derivati dalla tradizione feuilletonistica medio-ottocentesca o addirittura da quella classica, e si presentano in connubi di modernità e arcaicità, di sperimentalismo, tradizionalismo e trivialità, non di rado originali e stranianti. E’ in questa fase che affonda le sue radici quel fantastico che, traboccando da contenitori generici come le riviste d’avventura o di viaggi, si distillerà poi nella specializzazione dei pulp americani come Argosy e Weird Tales prima di raffinarsi ulteriormente e andare a battezzarsi come moderna science fiction in Amazing Stories. L’immaginario dell’epoca trabocca di molti materiali grezzi, dispersi qua e là alla rinfusa e presenti anche nelle riviste italiane, ed è proprio all’ordinata rassegna di tali materiali – dopo una breve premessa metodologica in cui Foni sembra sposare il principio dell’“esitazione” todoroviana – che è dedicato Alla fiera dei mostri.

Attraverso la ricostruzione del panorama editoriale di inizio Novecento si ricompone un quadro in cui i confini dell’esotico oscillano verso un altrove indefinito, vissuto come ultima frontiera del possibile in un mondo che sta assumendo connotati sempre più stabili, sempre meno eludibili, e in cui l’evasione è spesso l’unica risposta a una coercizione che assedia ogni aspetto della vita. Ciò lo spinge a sposare naturalmente il fantastico: abbondano così le storie di avventure straordinarie in luoghi e scenari remoti, oppure, per converso, il fantastico, trasferito in contesti comuni o borghesi, li trasfigura e li assimila ad ambientazioni esotiche.

Foni procede su due canali paralleli e reciprocamente collegati: da una parte effettuando raggruppamenti tematici (“Lo spiritismo”, “Le sette segrete e l’onnipotenza del pensiero”, “Il passato che si ripete: la metempsicosi”, “Fanciulle meccaniche e occhi di vetro” e così via), dall’altra mettendoli a fuoco su determinati autori (i “classici” Salgari e Motta, ma anche una pletora di scrittori minori e semi— o totalmente dimenticati, da Salvatore Di Giacomo a Italo Toscani, da Armando Silvestri a Guglielmo Stocco, da Vittorio Martella a Giuseppe De Feo) di cui vengono riproposti esempi significativi attraverso ampie sintesi e un largo uso delle citazioni, o su fonti particolari (è sorprendente scoprire quante furono all’epoca le riviste che ospitarono narrativa fantastica: da quelle “borghesi” come “La Domenica del Corriere” o “La Lettura” alle pubblicazioni di carattere sensazionalistico o dedicate ai ragazzi come “Il Giornale dei Viaggi” nelle sue varie incarnazioni, oppure “Per Terra e per Mare”, “L’Oceano”, “Il Vascello”, “La Sfinge” e altre ancora), che vengono ripercorse nella loro storia, nelle figure dei loro ideatori e nella loro vita editoriale spesso effimera. Ciò che se ne ricava, alla fine, è un’impressione di sarabanda, di giostra che – coerentemente con il titolo del saggio – con impennate mirabolanti (e con poche cadute: meno convincenti, perché meno pertinenti al tema, come se l’autore non resistesse al proprio piacere di fronte alla materia, risultano gli excursus come quelli del VI capitolo, dedicato alla mediaticità coeva alla produzione letteraria presa in esame, dal circo al Grand-Guignol ai musei delle cere al cinema, che allinea un po’ alla rinfusa Mirbeau, Meyrink, Ewers e Tod Browning, e che sembra appartenere a un’altra, diversa operazione) ci offre prospettive vertiginose e inattese su un panorama di cui la storiografia letteraria ufficiale ha restituito ben altri, più monocordi contorni.

Tuttavia, una considerazione si fa strada a lettura ultimata, dopo la suggestione (e l’indigestione) di tante vicende macabre, allucinate, surreali, “alla Poe” o, preveggentemente, “alla Lovecraft”. Non v’è dubbio che si tratti di letteratura di genere: ma di quale? Di un genere che ancora non c’è, quando questi testi vengono scritti, e che quindi Foni tenta di dedurre a posteriori: ma con buona pace di chi crede di poter leggere in tutto questo le prove di una “vocazione fantascientifica” nella tradizione italiana, alla fine resta l’impressione che la radice fantastica di questa letteratura s’imbeva poco nella consistenza scientifica, anche se intesa in senso molto lato. Scarseggiano, almeno nella vetrina che l’autore ci pone di fronte, gli esempi di autentico fantastico che sia ibridato con la scienza, al di là di superficialissimi luoghi comuni, tutt’al più scienziati pazzi o stravaganti operazioni chirurgiche, e rari anche questi: ma manca del tutto il risvolto speculativo, la riflessione sulla scienza o il riflesso della tecnica sul meccanismo del fantastico. E’ difficile dire se questa sia una caratteristica italiana, ed eventualmente perché: ma da queste premesse si può ben comprendere come la fs italiana a venire, quella dei primi anni Cinquanta, trovi in questa letteratura dei modelli congrui e contamini con essi le suggestioni provenienti dal modello inglese e americano, producendo opere di fantaspiritismo e fantaarcheologia che sembrano costituire gli esiti più frequenti e naturali di quel primo, pionieristico periodo. Una storia e un libro – più teorico, stavolta – ancora da scrivere.