Delos 29: Racconto: Daneel racconto di

Alessandro Vietti

daneel

Okay, lo ammetto, non ho ancora avuto modo di leggere Cyberworld, il romanzo d'esordio di Vietti con cui si è aggiudicato un'edizione del Premio Cosmo della Nord. Del resto, che volete, seguire la parte della narrativa di Delos mi prende quasi tutto il mio tempo libero, e io... okay, okay, va bene, giù le spranghe, la smetto di dire boiate, è solo che quel titolo mi prendeva male, così ho deciso, prima di affrontare il romanzo, di leggere qualche racconto di Vietti. Uno mi è piaciuto abbastanza, è quello che segue, lo mettiamo in linea così potete servellarvi con commenti personali, critiche feroci, elogi spassionati, lacrimoni da coccodrillo. Io dico solo una cosa. Dopo aver letto questo racconto mi è venuta una certa voglia di andare a prendere dallo scaffale anche Cyberworld. Ma cavolo, quel titolo... (Franco Forte)

"Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno."

Isaac Asimov, Prima Legge della robotica

"Quando Hari Seldon morì lasciò questa vita proprio come l'aveva vissuta, perché morì con il futuro che aveva creato, completamente schiuso intorno a sé..."

Isaac Asimov, Fondazione anno zero

E' già molto tempo che il mio padrone non si sente bene. Analizzando i discorsi che giungono sino al mio sofisticato sistema di percezione sonora, deduco che presto lui se ne andrà per sempre. Morte, la chiamano gli umani, ma io non riesco a comprenderne completamente il significato. Per me deve trattarsi di una specie di blocco definitivo di tutte le funzioni, uno spegnimento totale di tutte le attività ed in tal senso, i miei positroni incontrano una tale resistenza nel loro flusso che io stesso mi sento a disagio. Paura, la chiamano gli umani. In un certo senso la capisco.

Io sono un robot della serie H.A.R.I., High Artificial Rapid Intelligence, il mio numero di serie è IS2AC, ma il mio padrone ha sempre voluto chiamarmi Daneel, fin dal primo giorno in cui venni portato per far servizio nella sua casa. Alcune volte ebbi qualche squilibrio di potenziale che mi faceva capire che c'era qualche precisa ragione per cui desiderava chiamarmi in questo modo. Qualcosa di particolare che mi lega a lui. Affetto, lo chiamano gli umani. Certo, quando io sono con il mio padrone percepisco i flussi di coscienza, rapidi e liquidi, non sento più ostacoli nei miei processi di analisi e sintesi e riesco sempre a raggiungere i giusti nodi all'interno della matrice di platino-iridio al primo tentativo. Insomma, mi sento bene. Questo mi capita solo quando interagisco con lui, quindi deduco che questa mia sensazione sia la cosa più vicina al concetto di affetto per un essere umano.

Oggi la moglie del mio padrone mi ha detto che il padrone desidera vedermi. Il suo sguardo era basso, i suoi occhi presentavano una percentuale di umidità superiore alla norma. Ho capito che la situazione si stava aggravando. Lei stessa mi ha accompagnato qui, all'ospedale. Ora mi ha lasciato solo. Ha detto che va a prendersi un caffè e che comunque il mio padrone ha espresso il desiderio di vedermi da solo. Il corridoio è chiaro ed ampio. Umani in camice bianco vanno e vengono freneticamente portando strani strumenti al collo e cartelle in mano. Percepisco un odore intenso: 36% ammoniaca, 12% cloro, 41% alcool etilico, 10.3% acido cloridrico, 0.7% tracce varie. Non sono programmato per analizzare tracce minori dell'1%. Comunque la percentuale totale di questi elementi rispetto all'aria è inferiore all'unità, per cui non ci sono problemi per gli esseri umani.

Davanti a me si trova la porta che conduce nella stanza dove sta il mio padrone. La mia mano si posa sulla maniglia e gira fino allo scatto del meccanismo. Spingo fino ad avere abbastanza spazio per entrare.

La luce è spenta. Inserisco il filtro agli infrarossi. Il mio padrone è a letto, immobile, guarda attraverso la finestra, le stelle. E' assorto in chissà quali pensieri. Decido che non mi muoverò finché non sarà lui a chiamarmi, non posso disturbarlo. Sembra che stia contando quelle luci nel cielo, come se ne stia cercando una in particolare. Un tubo che scende da un sacchetto di plastica trasparente appeso ad un gancio in cima ad un'asta, si infila nel suo braccio tramite un ago. Analizzo il contenuto del sacchetto con il mio spettrometro di massa, ma tutto è regolare. Non c'è niente che ritengo possa fare male al mio padrone.

Il padrone si è accorto di me. Si volta lentamente, ma non accende la luce perché sa che non ce n'è bisogno.

- Ciao, Daneel - mi dice. La sua voce è un po' più roca del solito, ma il suo modo di fare è sempre gioviale, sorride. Sento già che i miei positroni stanno galoppando all'interno della mia spugna di platino-iridio. Raramente mi è successa una cosa del genere. Mi sento... strano.

>: Buonasera, signore...

- Hai visto? Alla fine sono riusciti ad inchiodarmi ad un letto.

Io guardo, ma non vedo chiodi, ho paura che qualcuno possa fare del male al mio padrone. Devo fare qualcosa, ma non ho dati sufficienti.

>: Non capisco.

Il mio padrone ride. I suoi occhi sono quelli di sempre.

- No, non è come pensi tu, scusami, non ho parlato chiaramente. 'Inchiodato' è un'espressione metaforica per indicare che non mi posso assolutamente muovere di qui, ma non mi hanno inchiodato sul serio.

Ride di nuovo. Poi improvvisamente smette, si fa serio, strizza le palpebre dietro alla nera montatura rettangolare degli occhiali e si volta nuovamente verso la finestra.

- Vedi lassù?

>: Certo... Ad ovest vi sono Sirio, Betelgeuse, Capella, se desidera sono in grado di darle le coordinate celesti o la magnitudine.

- Sono sicuro che potresti, ma non è il caso. La stella che sto cercando io potrebbe essere una qualunque di quelle là fuori.

Un flusso di positroni incontra una piccola area di campo inverso. Ho bisogno di un'informazione.

>: Posso farle una domanda?

- Sicuro, Daneel..

>: Qual è la stella che sta cercando, padrone? Magari potrei esserle utile.

- E' l'ultima, quella dall'altra parte della spirale della nostra galassia. La stella più lontana. La più palpitante, si chiama Fine di Stella.

>: Questa informazione non è contenuta all'interno dei miei archivi.

L'area di campo inverso si fa più estesa ed intensa.

>: Mi dispiace.

- Non ti devi preoccupare. Non è il caso che ti faccia venire degli squilibri positronici per questo. So bene che non hai questa informazione, perché in realtà... -. Il padrone esita, poi la sua voce si fa un sussurro. Aumento la sensibilità del sistema di percezione sonora.

- In realtà non esiste. L'ho inventata io esattamente quaranta anni fa.

I miei circuiti logici lavorano alla velocità di un fulmine. Matrici di dati vengono riempite e svuotate con una frequenza inimmaginabile. Una sequenza speculativa si libra in un vortice di potenziale che si ripiega su se stesso, si annoda e poi, al termine dell'ennesima iterazione, si distende su una superficie sferica.

>: Deve comunque esistere una stella più lontana di tutte le altre.

- Già, forse hai ragione tu -. Il padrone si volge nuovamente verso di me. Ha una smorfia di dolore. Il suo sguardo si fa cupo. Ho un forte scompenso di campo.

>: Fra poco lei se ne andrà, vero?

Il padrone annuisce, ma non è triste. Sul comodino accanto al letto c'è una macchina per scrivere ed un libro. Una pagina scritta per metà è inserita con cura intorno al rullo. I miei positroni cominciano a fluire con difficoltà. Un'area ad elevato potenziale di contraddizione si sta formando all'interno della matrice. E' una specie di istinto.

>: Posso fare qualcosa per lei?

- Credo proprio di no.

Scuote lievemente la testa. Sembra stanco. Il potenziale si fa insopportabile. Mi riesce difficile muovere il braccio sinistro.

>: Ma io devo fare qualcosa per lei, padrone. E' la Prima Legge.

- Hai mai letto un libro?

Il potenziale si attenua ai bordi, ma rimane forte al centro. Cerco invano di dissolverlo tramite la costruzione di ramificazioni laterali. Io non posso permettere che dalla mia inazione venga recato del male al mio padrone. Devo fare qualcosa.

>: Non credo di averne bisogno. Sono stato progettato già con tutte le nozioni culturali e scientifiche di cui ho bisogno per mettermi in relazione con il mondo, anche se ovviamente non sono in grado di comprenderle tutte in uguale misura.

- Ti ordino di...

La morte poteva sconvolgere la programmazione di un robot?

Janet si chiese se una cosa del genere poteva effettivamente accadere.

La morte poteva sconvolgere la programmazione di una lavastoviglie?

Janet si convinse che erano tutte sue fantasie, anche se da quando il gravissimo lutto aveva colpito la loro famiglia, Daneel non sembrava più lo stesso. Non si muoveva con la solita scioltezza e sembrava facesse fatica ad obbedire agli ordini. E poi leggeva, leggeva. Sempre.

Ad ogni ora del giorno o della notte, al ritmo di una pagina ogni tre secondi, Daneel leggeva i libri che suo marito aveva disseminato per tutte le librerie della casa. Aveva cominciato con la Bibbia e adesso stava leggendo la Divina Commedia. La cosa peggiore era che leggeva anche quando era impiegato in una qualsiasi altra attività. Quando lo avevano acquistato, il rivenditore aveva spiegato loro che il sistema del robot permetteva di svolgere numerose operazioni in parallelo, e Janet non dubitava affatto che avrebbe eseguito ciascuna con la stessa precisione e perizia come nel caso dello svolgimento delle stesse azioni singolarmente e successivamente; tuttavia, osservare un robot che legge mentre pulisce i pavimenti, mentre lava la biancheria e mentre prepara la pizza, la faceva andare su tutte le furie. Probabilmente, grazie anche alle sue fattezze così antropomorfe, gli attribuiva caratteristiche troppo... "umane", ed in tal modo non riusciva a pensare che riponesse la medesima attenzione in ogni operazione che stava svolgendo.

- Insomma, sembra distratto - disse.

William Calvin sollevò il capo dal piccolo computer portatile collegato ad una presa posta in corrispondenza dell'ombelico del robot, si sistemò gli spessi occhiali di tartaruga e sorrise: - Signora, è un robot. Il concetto di 'distrazione' non fa parte delle sue caratteristiche -. Immerse nuovamente la testa nel display a cristalli liquidi.

Il corpo di Daneel era immobile e apparentemente vuoto. Dopo aver rivolto al robot tutta la serie di domande di logica dettate dalla procedura di controllo verbale, e dopo che i risultati erano stati perfettamente normali, Calvin aveva dovuto metterlo manualmente nella condizione di pausa, perché non era riuscito a farlo smettere di leggere, neanche con gli ordini più decisi e le modulazioni di voce più raffinate.

Janet rimase ad osservarli in silenzio, con quella specie di devozione e di rispetto che si prova di fronte a qualcosa di molto simile alla magia o alla stregoneria. La stessa sensazione in cui ti mette il tecnico che viene a ripararti la televisione.

Erano uno strano spettacolo: Daneel, lucente come l'argento, seduto sul divano del salotto in una posa assolutamente eretta, con il sole che si specchiava sulla sua testa ovale perfettamente lucida. E Calvin, le spalle strette, vestito con un paio di jeans stinti e una camicia di panno a quadri, in ginocchio davanti a lui, come davanti a un totem. Controllava i dati che fluivano sullo schermo del computer posato sul tappeto ai piedi del robot.

Janet aveva chiesto più volte se desiderava una sedia, ma l'ometto aveva rifiutato, come se quella fosse per lui più di una semplice posizione dettata dall'abitudine o dalla comodità.

Calvin era l'esperto di sistemi positronici che la ditta aveva mandato dopo che lei, stremata dal comportamento di Daneel, aveva deciso di chiamare l'Ufficio Manutenzione per richiedere un controllo completo della macchina. Non voleva neanche pensare all'eventualità di doverlo far riprogrammare o addirittura sostituire. Era affezionata a quell'ammasso di metallo e probabilmente era ancora maggiormente legata a quello che Daneel aveva rappresentato per suo marito.

- Ha detto che ha iniziato questo comportamento anomalo dopo la scomparsa di suo marito? - Questa volta Calvin non sollevò gli occhi dal computer.

- Si, ma non è che abbia mai rifiutato di obbedire ad un ordine o abbia svolto un lavoro in maniera approssimativa. E' soltanto che non si riesce a farlo smettere di leggere. Mi irrita. Sembra che non mi ascolti quando gli parlo. E poi perché diavolo un robot dovrebbe mettersi a leggere?

Il computer emise un doppio bip, mentre Calvin si trascinava in piedi e la guardava dal basso verso l'alto. - Ho fatto eseguire tre volte l'intera sequenza di controllo, comprese tutte le routine di comportamento. Secondo i dati, risulta che il robot è bloccato in un'iterazione di primo grado -. Calvin si levò gli occhiali in un'espressione soddisfatta. Gli occhi erano piccoli, luminosi e straordinariamente mobili per un tipo così apparentemente insignificante.

Janet spostò lo sguardo su Daneel, poi lo portò di nuovo su Calvin con espressione perplessa. - In parole comprensibili? - chiese mentre si accingeva a sedersi sul bracciolo della poltrona accanto a Daneel e i suoi occhi erano finalmente sullo stesso piano di quelli di Calvin.

- Più semplicemente - disse Calvin mentre staccava quella specie di cordone ombelicale dall'addome di Daneel e riponeva il computer nella valigetta - il suo robot ha ricevuto un ordine che ha attivato una priorità di Prima Legge. Sembra inspiegabile come la semplice lettura di un libro possa mettere in esecuzione delle procedure collegate alla Prima Legge, eppure risulta così. Potrebbe essere un difetto puntuale della matrice di platino-iridio, ma generalmente questi fenomeni si verificano soltanto nel caso di incidenti che coinvolgono l'integrità fisica della macchina. Con tutta probabilità il robot ha effettivamente ricevuto un ordine, ma considerati gli squilibri positronici a cui deve essere stato suo malgrado sottoposto negli ultimi giorni di vita di suo marito, il suo sistema di giudizio deve aver avuto una reazione esagerata agli stimoli.

- E allora... - Janet credeva di aver capito, ma era stordita da quelle parole pronunciate tutte d'un fiato dal piccoletto. - Che cosa mi consiglia di fare?

Calvin accese Daneel. I suoi occhi si illuminarono nuovamente di una vivida luce sanguigna, mentre i positroni cominciavano a fluire nuovamente all'interno del suo freddo corpo di titanio e alluminio. Immediatamente la mano d'argento che impugnava un libro aperto si sollevò ponendosi a circa mezzo metro davanti alle cellule sintetiche del sistema visivo.

- Penso che una riprogrammazione possa essere sufficiente... -. Janet scattò in piedi, in procinto di dire qualcosa, come per opporsi a quella possibilità. Daneel cominciò a sfogliare le pagine al ritmo di una ogni cinque secondi.

Calvin continuò: - Oppure può anche aspettare qualche giorno. Può darsi che il robot esaurisca spontaneamente il ciclo anomalo e riprenda il suo comportamento normale.

Janet si avvicinò alla porta, con l'intenzione esplicita di voler accomiatare il tecnico. Mentre il fruscio di pagine continuava ritmico e apparentemente incessante, Calvin rimase per un istante a guardare Daneel, poi consegnò a Janet il libretto di garanzia timbrato e datato in corrispondenza della manutenzione annuale ed uscì.

- Incredibile! - sussurrò, mentre si allontanava nel corridoio verso gli ascensori.

- Daneel - Janet lo chiamò dalla cucina. Era saltato il temporizzatore del forno a microonde e lei aveva già carbonizzato un pollo e un tacchino, prima di accorgersene.

- Daneel, vieni, ho bisogno di te, è un ordine! - Come consigliava il manuale, la sua voce si sforzò di sembrare perentoria, per cercare di superare eventuali barriere logiche imposte da ordini precedenti.

Dove diavolo si era cacciato? Nessuna risposta. L'odore di tacchino bruciato era intenso e fastidioso. Janet scostò le tende a fiori dai vetri ed aprì la finestra per cercare di cambiare aria alla stanza. D'altra parte non si poteva dire che l'aria di New York fosse migliore. La macchia verde del Central Park stava scolorendo progressivamente, immersa nell'atmosfera rossastra del crepuscolo.

- Daneel - gridò nuovamente - vuoi venire in cucina?!!!

Dove poteva essere per non sentire la sua voce? Al contrario di quello che aveva auspicato il tecnico, Daneel non aveva smesso di leggere, ma continuava a tenere costantemente almeno uno dei suoi occhi sopra le pagine di qualche libro. Passando attraverso i più grandi classici della letteratura di tutti i tempi, il robot era giunto a leggere le opere di suo marito, in corrispondenza delle quali la velocità di lettura era inspiegabilmente diminuita fino a venti, o addirittura trenta secondi per pagina. Avrebbe dovuto ricordarsi di riferirlo al tecnico nel caso avesse deciso di riprogrammarlo, come ormai temeva. Tuttavia, ogni giorno che passava, Janet rimandava e rimandava ancora, sperando che le cose si aggiustassero senza il bisogno di un intervento così drastico. Ma ciò non accadeva, anzi sembrava che la situazione andasse peggiorando come in un processo ormai inarrestabile.

- Daneel! - chiamò ancora. Nelle camere non c'era, e neppure in salotto. In bagno non aveva alcuna ragione biologica di andarci, quindi non restava che...

Dal sei di aprile, non era stato facile entrare di nuovo nello studio dove suo marito scriveva e scriveva e scriveva. Giorno e notte, scriveva. Il ticchettio ritmico della macchina per scrivere era diventato un rumore familiare e per nulla fastidioso nella casa. Era come il suo respiro. Quel premere sui tasti, quel secco rumore dei martelletti sul tamburo di gomma si sarebbe fermato solo l'ultimo giorno.

Così era stato. Si era voluto addirittura portare la sua macchina per scrivere anche in ospedale, sfidando il parere di medici, professori e primari. Oltre al suo, naturalmente.

Si avvicinò all'ingresso. - Daneel! -

Quante volte suo marito era uscito di lì, raggiante, con un nuovo capitolo, una nuova storia, un nuovo articolo.

Un rumore all'interno! Janet accostò l'orecchio alla porta. - Daneel sei lì dentro?

Il rumore si fece più forte, un ticchettio, come una frusta continua, secca, quasi ritmica.

Lettere come pianeti, sistemi solari di parole composte in costellazioni di frasi.

Un libro, un universo.

Janet ebbe un sussulto al cuore. Un'emozione che aveva cercato di dimenticare.

Bussò alcune volte, sempre più forte. - Daneel, rispondi!

Aprì la porta. Il robot era seduto alla scrivania e batteva delicatamente i tasti della macchina per scrivere proprio come avrebbe fatto suo marito.

Daneel si voltò. La rigida fessura simile ad una bocca, posta sotto i due occhi rossi, nel mezzo della faccia, parve modellarsi in un improbabile sorriso.

- Ciao, Janet! Finisco e sono subito da te.

Janet rimase ad osservarlo, pallida ed impietrita, come se di fronte a lei camminasse un fantasma. Dopo qualche istante il robot alzò le dita argentee dai tasti, si mise in piedi e si avvicinò alla finestra scrutando il cielo. Alzò un braccio ed indicò un punto preciso sulla volta celeste.

Sciami di positroni si librarono in improbabili configurazioni di potenziale secondo schemi non previsti dalle specifiche di progettazione. Il suo sistema vocale fu il primo ad essere interessato da quest'inedita distribuzione di campo. Se Janet non lo avesse avuto di fronte con la sua corazza luccicante, avrebbe detto che le sue parole erano cariche di emozione. La macchina balbettò: - Quella è l'ultima stella della galassia.

Poi ritornò alla scrivania. Se i suoi calcoli erano corretti come indicavano tutte le retroazioni di controllo, le configurazioni possibili per le interconnessioni dei vari nodi attraverso il flusso positronico erano pressoché infinite.

Riprese a scrivere. Difficilmente avrebbe smesso.

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