La stanza ululò, scoppiò di bottiglie, lattine accartocciate e coriandoli di cibo. Talib abbracciò Bandele e Gebre, si alzò nella calca, li prese per la collottola e trascinò sulle scale:- Subito agli hovercraft, non c’è molto tempo! -Scesero di corsa i gradini fino ai garage, montarono su un aeroscafo, scivolarono su una nube di sabbia fra le miglia di cristallo degli specchi freddi e bui. Subito sibilarono dietro di loro le eliche e le turbine degli altri hovercraft della centrale, stipati fin i cuscini dai colleghi festanti. S’incolonnarono sotto i tralicci di acciaio, superarono i reticolati elettrificati; sferzati dal vento gelido, intirizziti nell’abitacolo, accelerarono accecati dalla polvere sulla scia della stella dell’atleta in caduta.

Gli enormi proiettori di autocarri di servizio, parcheggiati tutt’attorno alla centrale, tesserono nel cielo una rete di luce: ai margini di quello spazio calarono, vinti, Amazon e Ikea ciondoloni i paracadute.

Yael Ophanim non apriva il frenante.

- Dev’essere impazzita -, Talib inghiottì, - a occhio è già scesa sotto i milletrecento metri. -

- Lei è la migliore -, disse Gebre, - scommetto che lo apre a quattrocento. -

- Duecento -, Bandele esagerò.

Un alito improvviso e violento ghermì la campionessa, la spostò sul palmeto; l’orda di aeroscafi sterzò verso l’oasi.

Talib, nel chiarore degli abbaglianti, vide l’atleta frugarsi nella tuta, stringere esagitata l’estrattore e la maniglia. Gemette:

- È un guasto, non le si apre! -

Yael Ophanim precipitò fra le piante a pochi metri dalla corsa dei loro hovecraft. Talib e i suoi compagni pestarono sul freno. L’eco dello strappo della tuta e delle foglie, il cozzo con il suolo, lo schiocco delle ossa, echeggiò nelle tenebre trasportato dal vento.

I fari impazzirono, lacerarono il cielo, crivellarono l’orizzonte e gli alberi spezzati; le sirene latrarono la perdita di Yael. Lui, Gebre e Bandele smontarono dall’aeroscafo, arrancarono verso l’oasi.

Amazon e Ikea atterrarono poco distante, gettarono i caschi: si trascinarono lividi, indolenziti, sfiatati, senza slacciare i paracadute e le corde, alle propaggini della macchia fra gli arbusti schiantati. Talib li avvicinò, gli atleti lo scansarono. Un fruscio ed un calpestio si levarono nel palmeto.

L’Ophanim sorse indenne dalle frasche distrutte: uscì luminosa, smagliante, felina, spalancò le braccia candide alla folla in delirio, cinguettò di vittoria. Amazon e Ikea la issarono in trionfo; la portarono nella ressa fino ai mezzi di servizio.

Lei scoccava baci, bruciava come una fiaccola.

Talib abbracciò Bandele e Gebre, esultò; si bagnarono l’un l’altro di un torrente di lacrime.

Le lancette degli orologi convergevano sulle 07.00. Gli operai scendevano a colazione con i caschi sottobraccio, le bretelle pencolanti, la barba rasata male e gli occhi gonfi di sonno.

Talib incontrò sua sorella sulla rampa di scale fra i dormitori femminile e maschile, la afferrò per un braccio, la prese da parte sotto il grappolo di monitor che indicavano alle squadre i loro compiti per quel giorno:

- Stanotte Kantigi è rientrato alle quattro, e immagino anche tu -, la ammonì, - è un andazzo che non mi va. Qui in centrale faccio le veci di nostro padre e di nostra madre, ho promesso di avere cura di te: non è che quel ragazzo mi dispiaccia, ma… -

- Scusami -, lo interruppe distratta. Lui si accorse, placato il dispetto, che Samia era pallida, sudata, tremava:

- Cos’hai? -

- L’hai detto: ho dormito tre ore. -

Talib le baciò la fronte calda e imperlata, le cinse i fianchi stretti nella tuta cenerognola. La accompagnò sottobraccio fino a mensa e le servì il caffelatte, il pane e la marmellata; addolcì il proprio rimprovero con argomenti più lievi:

- Peccato, voi due: vi siete persi una bella gara. L’atterraggio dell’Ophanim! Mai vista una cosa simile! -

- Ce la siamo trovata a mezzo metro quando è scesa nell’oasi. -

Talib strabuzzò. Samia lasciò cadere la tazza piena sul tavolo, sbriciolò la fetta di pane fra le dita che le tremavano. Subito lui le si sedette di fianco, la strofinò con il tovagliolo dal caffelatte e la confettura:

- Sei sconvolta, è normale: ora ho capito tutto. -

- Non è caduta, ascoltami: non so come descriverlo; sembrava… -

- L’ho vista, ero là, che emozione, che colpo! Non le si è aperto il paracadute! -

Lei lo fissò per un istante in silenzio con un’equivoca espressione sul volto: rabbia, stupore, terrore o compatimento. Poi alzò lo sguardo alle sue spalle e accennò ad un tafferuglio sulla soglia dell’aula mensa.

Talib si voltò: il responsabile del personale Menefer, l’addetto al parco macchine Ayubu, si difendevano, in piedi su uno sgabello, dalla folla dei colleghi vociante ed esagitata: