Il corpo di Alejandro Fuentes non fu mai ritrovato; il futuro con Marta, il sogno di vedere la finale del centenario, dispersi per sempre nel buio dello spazio.Mancavano sei mesi alla partita del secolo.

La finale dell'Azteca si svolgeva ogni quattro anni; era l'unica partita in cui si sfidavano sempre e soltanto le stesse due squadre: gli Hunahpu contro gli Ixbalba. I giocatori venivano selezionati in base ai risultati individuali ottenuti nei quattro anni precedenti; la media dei voti dati dalle giurie internazionali si aggiungeva a quella delle schede inviate dai tifosi.

Un supercomitato finale, composto da tecnici governativi, effettuava la decisione definitiva, tenendo conto dei sondaggi volti a ottenere il massimo degli introiti pubblicitari.

Entrare nella selezione era la massima ambizione per ogni giocatore. Coloro che vincevano la finale dell'Azteca, oltre ad assicurare l’agiatezza alla propria discendenza, entravano di diritto nella storia dell'umanità.

Quell'anno, in occasione del centenario della finale, erano stati ammessi per la prima volta alla selezione anche gli atleti delle colonie lunari e marziane.

La lista dei prescelti venne data, in diretta interspaziale, dal presidente della Coalizione Planetaria in persona.

Quando l'uomo annunciò la lista, dal centrocampo dell'Azteca, mezzo sistema solare si fermò col fiato sospeso a guardare le immagini negli olovisori giganti installati in ogni piazza ed edificio.

Al termine della diretta, Città del Messico fu scossa da un nuovo terremoto: un boato di gioia attraversò per chilometri la sconfinata metropoli.

In cento anni, non era mai accaduto che nella lista per la finale ci fosse un giocatore nato nella stessa città in cui sorgeva lo stadio, e quella volta erano addirittura due.

Alejandro sarebbe stato molto fiero dei suoi figli.

Nei giorni che precedettero la grande notte dell’Azteca, ovunque nel pianeta e in ogni angolo più remoto delle colonie, si parlava solo dell’avvenimento; tutti i mezzi di informazione erano concentrati sull’evento sportivo, relegando a margine qualsiasi altra notizia, compresi gli aggiornamenti sugli scontri tra le milizie governative e i ribelli di Marte.

La notte della finale, oltre dieci miliardi di esseri umani erano ipnotizzati davanti alle immagini tridimensionali dello stadio, con tutti i duecentomila posti a sedere occupati dai fortunati che avevano potuto acquistare il biglietto.

Dopo tanti anni insieme nella stessa squadra, per la prima volta i fratelli Fuentes si affrontavano da avversari. Pedro era stato selezionato nella compagine degli Hunahpu; Julio era tra gli undici dell’Ixbalba.

Il giorno prima, i gemelli erano andati a casa da Marta per salutarla, poi si erano avviati verso il luogo del ritiro delle rispettive squadre, consapevoli che il giorno dopo solo uno dei due avrebbe accarezzato la gloria.

La partita mantenne lo spettacolo promesso, con giocate da manuale dei campioni in gara e continui capovolgimenti di fronte.

Alla fine dei quattro tempi regolamentari il risultato era di parità, un gol per parte; in questi casi il regolamento prevedeva che la partita continuasse a oltranza fino alla prossima segnatura.