Riflessione e al tempo stesso messa in scena ideale del massacro della Columbine in cui alcuni studenti massacrarono a colpi di mitra i loro compagni di scuola, già oggetto del documentario di Michael Moore vincitore del premio Oscar, Elephant ha vinto allo scorso Festival di Cannes sia la Palma d'oro che il premio per la migliore regia. Quest'ultimo riconoscimento maturato attraverso il seguire su piani di lavoro intrecciati le vite (e le morti) di alcuni studenti qualsiasi, immersi nella loro esistenza, prima di esservi improvvisamente e tragicamente strappati dalla follia delle armi.

Elephant è un docu-film cupo e angosciante che con ritmi lenti e meditabondi trascina con sé lo spettatore alla volta di un dramma annunciato di cui solo non riesce ad intravedere distintamente i contorni.

Un film complicato ed estremo, doloroso e volontariamente patetico, che oltre a mostrare una gioventù per certi versi abbandonata a se stessa, riflette sulla solitudine altrettanto folle e disperata, di giovani lasciati a maturare i loro piani di morte nell'assenza più morale che pratica dei loro genitori. Ragazzi capaci di ordinare su Internet fucili di alta precisione che sfuggono ai brufoli e alle tempeste ormonali dell'adolescenza affondando se stessi e chi conoscono in un mare di sangue.

Elephant è un film sul mondo come nessuno lo vorrebbe, sull'adolescenza e sulla sua solitudine, sulla soverchiante incertezza derivata da una società incapace di dialogare, ma al tempo stesso pronta ad uccidere per difendere ideali da quattro soldi e sicurezze conquistate a caro prezzo.