Cocente come i due soli di Tatooine che battono su un elmo di Beskar il famigerato “Space-Cowboy” più chiacchierato della Galassia è tornato. Con la prima puntata della seconda stagione di The Mandalorian o meglio per coerenza narrativa il “Capitolo 9”  dal titolo Lo Sceriffo (The Marshal).

Alla regia Jon Favreau che instilla lo stesso humor di Tony Stark (aka Iron Man) nel personaggio interpretato da Timothy Olyphant a cui fa riferimento il titolo, Cobb Vanth, nato sulle pagine del romanzo Star Wars: Aftermath (Chuck Wendig, 2015) che indossa durante la sua epica entrata in scena un armatura troppo “stretta” per lui: verde, “masticata”, vissuta, leggendaria, inconfondibile: quella di Boba Fett. Din Djarin è alla ricerca di altri Mandaloriani che possono indicargli la via per trovare il pianeta natale del piccolo verdastro bambino che porta con se. Con due occhi curiosi e l’espressione furbetta egli lo segue silenzioso e assiste allo spiegarsi del suo destino.

Senza dubbio la ricerca su Mos Pelgo si rivela una “quest” inaspettata, perdendo il focus principale (diciamolo anche la premessa dell’ultimo episodio) “Mando” si ritrova a doversi scontrare contro un drago Krayt (ricordate? È il mostro di cui vediamo lo scheletro tra le dune di sabbia in Star Wars Episodio IV: Una Nuova Speranza). Perfettamente realizzato a controllare il suo aspetto nelle illustrazioni del libro del 2001 The Wildlife of Star Wars (Terryl Whitlatch e Bob Carrau) la creatura si muove come “Lo squalo” di Spielberg e terrorizza i predoni Tusken come in Tremors.

La stagione tanto attesa parte con un episodio disarmante: un trama di base classica dove troviamo degli espedienti vincenti (anche quello di  “Giona nel ventre della Balena” non a caso si fa riferimento al drago come ad un “Leviatano”) fanno da preludio alla tanto attesa scena finale. I creatori dell’episodio giocano sulle aspettative degli appassionati che hanno scommesso per mesi la presenza di alcuni personaggi molto amati. Vincono la scommessa, quando seminano false piste per poi lanciare il colpo di scena nel momento meno prevedibile. Le musiche di Ludwig Görasson (il giovanissimo compositore che si è anche distinto per le crescenti note di Tenet) contribuiscono alla magia riportandoci dove tutto era iniziato. Come un orchestra di melodie già ascoltate troviamo degli elementi nostalgici, una eco dell’esplosione della Seconda Morte Nera, una citazione simpatica (ancora, la “gelatiera” cassaforte Camtono), un piccolo rimando a Star Wars Episodio II: L’attacco dei Cloni (le bestie Massiff) ma anche riferimenti più mirati come la perla dentro la pancia del drago (il videogioco Knights of the Old Repubblic, ora non più canonico) o i continui rimandi al sopracitato romanzo Aftermath, creano una perfetta intesa con i fan della saga, ma la semplicità della trama di base è perfetta per un qualsiasi tipo di pubblico, paradossalmente si può apprezzare anche senza aver visto mai Star Wars, con qualche emozione di meno.