Brian W. Aldiss, classe 1925, Ufficiale dell'Ordine dell'Impero Britannico, è uno degli ultimi grandi vecchi della fantascienza mondiale. Intrapresa in gioventù la carriera di libraio, ben presto passò dall'altra "parte" iniziando a pubblicare racconti e in seguito a curare antologie. All'inizio degli anni sessanta pubblicò quello che a tutt'oggi è uno dei romanzi più sconvolgenti e arditi della sf, Il lungo meriggio della terra, la descrizione della lenta agonia del nostro pianeta sommerso da una gigantesca foresta equatoriale. Continuò poi a scrivere libri di successo, come quelli che compongono la trilogia di Heliconia, e racconti tra i quali Steven Spielberg scelse il soggetto per il suo A.I. - Intelligenza Artificiale. Aldiss però è anche un ottimo saggista, la cui lucidità di analisi si amalgama con una verve ben poco britannica. Nel corso degli anni ha pubblicato diversi volumi su svariati argomenti, dalla storia della fantascienza a resoconti di viaggi, nonché pubblicato articoli su diverse testate. Proprio nei giorni scorsi è apparso sul Times Online un suo interessante articolo dal titolo chiarissimo: Fiction or prediction?

Nell'articolo Aldiss analizza il rapporto tra fantascienza e predittività con riferimento al viaggio spaziale. In principio c'è il sogno, dice Aldiss, la volontà di staccarci da un presente che spesso delude; guardando le stelle ci sembrano molto vicine eppure siamo tutti ancora qui, ancorati al nostro pezzetto di crosta che girovaga per il sistema solare. Dal sogno nasce la volontà di immaginare il futuro, e pertanto di predirlo: tale capacità resta però in balia delle leggi della probabilità, le stesse, sostiene l'autore, che hanno fatto sopravvivere noi e fatto estinguere i dinosauri, ad esempio. Riuscire a predirre o meno è un fatto che in ultima analisi non dipende da noi ma dal caso.

Da qui Aldiss inizia a stabilire connessioni tra fantascienza e previsioni, a partire da uno dei padri del genere: H.G. Wells che, dopo il grande successo di La guerra dei mondi, iniziò a considerarsi come un profeta dedicando un intero volume (The Shape of Things to Come, del 1933) alle proprie profezie sul futuro. Senza peraltro azzeccarci molto. Molto più tardi Isaac Asimov fece della predizione quasi un mestiere a tempo pieno; e se il ciclo della Fondazione (uomini che vogliono proteggere la civiltà da 30.000 anni di barbarie) può rimandare al tentativo moderno di difendere la nostra occidentalità dall'assalto delle culture cinesi e islamiche, gli scritti di Aldous Huxley e George Orwell sembrano essere più autorevoli e calzanti. Ma è nel campo dell'esplorazione spaziale che la fantascienza ha dato il meglio e il peggio di sé. Astronavi fantastiche, esplorazioni di pianeti, imperi galattici che spuntano come funghi; tutto questo è ancora molto lontano dall'avverarsi, se mai si avvererà.

Nel mondo delle probabilità, come lo definisce Aldiss, la potenza immaginativa di Wernher Von Braun (il padre dell'astronautica) è rimasta confinata nelle pagine dei pulp magazine degli anni cinquanta. La discesa sulla luna dell'Apollo 11, con milioni di persone incollate ai televisori a seguire l'evento, non ha dato l'avvio ai viaggi spaziali; ha però creato la tv di massa... Non una delle descrizioni dell'allunaggio operate dagli scrittori di fs si è avvicinata alla realtà. Per non parlare delle figuracce fatte con Marte e Venere.

Alla fine Aldiss ritiene che sia più produttivo sperare nello sviluppo delle capacità umane, più che nel viaggio spaziale. Forse da qualche parte esiste una razza di esseri viventi che ha rifiutato la logica della guerra e del dominio per affidarsi alla logica della cooperazione e della tolleranza. Se li incontrassimo, potrebbero farci da tutor e aiutarci a compiere veramente dei progressi degni di questo nome. Lo spazio in fondo non è altro che un posto pieno di particelle piccole e in gran parte letali; la nostra coscienza invece è qui, a portata di mano, ed è con essa che dobbiamo misurarci prima che con altri mondi.