Sul numero di febbraio del 1951 di Galaxy uscì un romanzo breve di un autore allora già abbastanza noto, Ray Bradbury. La novella si intitolava The Fireman ("Il pompiere"). Un paio d'anni più tardi, Bradbury la allungò trasformandola in un romanzo, che intitolò Fahrenheit 451. In Italia il librò arrivò nel 1956 nella traduzione (di qualità tutt'altro che eccelsa e tutt'ora utizzata nelle riedizioni del libro) di Giorgio Monicelli, col titolo Gli anni della fenice. Nelle edizioni successive fu ripristinato anche in Italia il titolo originale.

La trama del libro è nota a tutti, anche grazie al film che ne trasse François Truffaut nel 1966. In un futuro non troppo lontano il ruolo dei pompieri è cambiato: non è più quello di spegnere gli incendi, ma quello di bruciare i libri, che vengono visti come pericolosi per l'ordine pubblico.

Questa immagine fortissima è stata per decenni una sorta di manifesto della fantascienza libertaria; per quanto il messaggio non fosse focalizzato su un bersaglio politico preciso, o forse proprio per questo motivo, divenne una sorta di condanna dell'oscurantismo e della censura che sono caratteristiche delle dittature. Dove non c'è democrazia non ci può essere neppure la cultura, perché se c'è la cultura, la conoscenza, la dittatura non può sopravvivere, perché la forza di una dittatura è costuita sull'ignoranza. Le immagini del film di Truffaut si mescolavano nell'immaginario popolare con le scene di roghi di libri durante il nazismo.

Un omaggio a Ray Bradbury. Decisamente fuori luogo.
Un omaggio a Ray Bradbury. Decisamente fuori luogo.
Da una simile icona del liberalismo sembrarono già stonate, qualche anno fa, le minacce e gli insulti indirizzati da Bradbury contro Michael Moore, reo di aver intitolato il suo documentario su Bush e l'11 settembre Fahrenheit 9/11. Ma d'altra parte la vicinanza di Bradbury a Bush era apparsa ancora più evidente qualche tempo dopo quando circolò la foto dell'autore insieme al presidente americano. Un presidente che non sarà certo ricordato per il suo contributo alla democrazia, ai diritti civili e alla libertà di informazione.

In questi giorni, dopo aver ricevuto una menzione d'onore dal Premio Pulitzer, Bradbury ha deciso di dare il colpo definitivo e spazzare via del tutto l'equivoco, rendendo noto, in un'intervista al Los Angeles Times, che il suo scopo nello scrivere Fahrenheit 451 non era affatto quello di condannare la censura governativa, né tantomeno il senatore McCarthy,che all'epoca stava dando agli Stati Uniti una delle pagine più nere della democrazia americana.

Il libro era invece, ha specificato Bradbury, una critica della televisione, colpevole di distruggere l'interesse nella lettura.

Bradbury con Bush e signora
Bradbury con Bush e signora
“La televisione ti dice quando ha vissuto Napoleone, ma non chi era” ha detto Bradbury, condensando in una sola parola quello che secondo lui è capace di trasmettere la tv: “fattoidi.” E lo ha detto, specifica il giornalista, con alle spalle un enorme televisore al plasma sintonizzato su Fox News, senza sonoro, e con la striscia di "fattoidi" che scorreva sul fondo dello schermo.

“Ti riempiono con un sacco di roba priva di vera informazione" ha aggiunto Bradbury, "finché non ti senti pieno."

Bradbury ha anche ammesso di irritarsi quando la gente gli spiega cosa significa Fahrenheit 451, e che una volta ha abbandonato una lezione perché gli studenti insistevano sul fatto che il romanzo parlava della censura. Ora ha pubblicato sul suo sito un video clip in cui affronta questo argomento: il video è visibile alla pagina www.raybradbury.com/at_home_clips.html.

Anche nell'intervista realizzata da Paolo Aresi e che compare nel numero 51 di Robot, in uscita nei prossimi giorni, Bradbury non fa alcun cenno di motivazioni politiche o ideologiche.

"L’idea si sviluppò quando sentii di come Hitler avesse cominciato a bruciare i libri nelle strade di Berlino. Ma anche prima di questo episodio, sapevo ad esempio del grande incendio in cui bruciò la biblioteca di Alessandria d’Egitto, cinquemila anni fa". Il punto quindi non era tanto la condanna dei nazisti che bruciavano i libri, ma la perdita dei libri stessi. "I libri e le biblioteche sono davvero una parte importante della mia vita, perciò l’idea di scrivere Fahrenheit 451 è stata naturale. Io sono una persona nata per vivere nelle biblioteche."

Non resta che riconoscere a Bradbury una certa lungimiranza per aver visto il pericolo rappresentato dalla tv già solo un anno dopo la sua comparsa (risalgono al 1949 le prime trasmissioni della NBC). Un tema certamente attuale e di grande importanza, anche se probabilmente stiamo già vivendo la decadenza della televisione generalista come siamo stati abituati a subirla nel ventesimo secolo.

Ma allora come mai non si riesce a togliersi di dosso questo forte senso di delusione?