Call of Cthulhu: Dark Corners of the Earth  prosegue la tradizione degli horror in soggettiva, che vantano antesignani illustri in Clive Barker's Undying e System Shock 2. Contemporaneamente, il titolo pubblicato da Bethesda si inserisce nel prolifico filone dei videogame ispirati alle opere di Howard Phillips Lovecraft che hanno dato i natali, ad esempio, ad Alone in the Dark, Shadow of the Comet, Prisoner of Ice ed Eternal Darkness. Ambientato negli anni Venti – e non poteva essere altrimenti – Call of Cthulhu accompagna l’indagine di Jack Walters, un investigatore privato perseguitato dalle allucinazioni e ossessionato dai misteri occulti sepolti nel folklore americano. Walters veste gli sfortunati abiti dell’alter ego del giocatore, attraverso i cui occhi ci si incammina lungo la sottile linea che separa l’orrore tangibile dalla follia della più disperata immaginazione. Un sentiero di convinzioni che vacillano sotto i feroci colpi sferrati da un mondo dell’ignoto che, lentamente ma inesorabilmente, dischiude i reconditi segreti celati da milioni di anni tra le sue spire.

Come Pollicino, il protagonista di questa atipica avventura, giocata formalmente sui canoni del first person shooter, raccoglie diligentemente le molliche di pane lasciategli per traccia. Le prime si trovano nei dintorni di Boston, Massachusetts, dove Jack Walters è cresciuto e ha cominciato a lavorare nella polizia, sparse tra i cadaveri di una setta che ha voluto assistesse al loro suicidio rituale collettivo. Le altre portano diritti a Innsmouth, una cittadina di pescatori sulle coste del New England, che ha lo strano vizio di inghiottire nel nulla le persone. Sarà lì che il detective inizierà a comprendere il terribile significato degli incubi di civiltà aliene e orribili creature sepolti nella sua testa.

Call of Cthulhu: Dark Corners of the Earth è sviluppato secondo la prospettiva degli sparatutto 3D, ma l’elemento di azione resta quasi sempre subordinato all’atmosfera inquietante che l’impostazione visiva intende sottolineare. Il corpo trasparente di Jack Walters diviene il simulacro digitale, la chiave con la quale si oltrepassa lo specchio magico che conduce nel regno spaventoso dove le angosce di Lovecraft assumono una forma più fisica che virtuale. Pian piano che si discende nel personaggio e l'avatar viene investito da sconcertanti rivelazioni, il suo inferno si trasforma nel proprio, i suoi demoni nelle proprie paure.

Appunto per non infrangere la sospensione dell’incredulità enfatizzata dalla visuale in soggettiva, non esistono indicatori a schermo per salute o munizioni, peraltro concesse con estrema parsimonia. Come verosimilmente capita all’alter ego, ci si addentra spaesati nei luoghi di Dark Corners of the Earth, tra mille insicurezze. La prima è quella di farcela, di sopravvivere a ciò che si scorge davanti e ciò che ancora attende sinistro, nell’oscurità. Ogni incontro con l’orrore di Call of Cthulhu rappresenta un altro piccolo passo di Jack verso la pazzia, che si manifesta tramite una serie di artifici audiovisivi che rendono sempre più complesso leggere le scene di gioco.

Pur portando sulle spalle il pesante fardello di una realizzazione interminabile (i primi annunci risalgono al 2000), che per i videogame è di solito causa di evidenti ritardi tecnologici al momento della pubblicazione (e Dark Corners of the Earth non fa eccezione dal punto di vista squisitamente numerico/poligonale), l’attenzione rivolta dagli autori a una ricostruzione fedele dell’universo fantastico di Lovecraft è encomiabile. Piuttosto che da “contare”, la grafica di Call of Cthulhu è da assaporare, toccare, respirare rischiando di intossicarsi i polmoni, da quanto i suoi quadri malati stile liberty sono carichi di corruzione.

Per il loro viaggio al cospetto di Dagon, l’empio signore degli abissi marini, gli Headfirst hanno scelto di privilegiare la sostanza. Al giocatore è chiesto semplicemente di lasciarsi trasportare dalle impetuose acque di un fiume narrativo i cui limiti, abbastanza congeniti, sono riassumibili nel lineare incedere degli eventi e nello stretto legame di questi ultimi con le pagine del solitario di Providence. Tutto il resto collabora con acume a coinvolgere gli appassionati delle storie dalla regia a portata di mano, vissute dal di dentro e che fanno esitare sempre un attimo, a guardarsi attorno, prima di spegnere la luce della cameretta.

L’unico patto diabolico che tocca firmare è quello con sparatorie dalle dinamiche simili a un terno al lotto - che ben si sposano con il tipo di gioco, ma potrebbero indispettire alcuni - e con qualche passaggio un po’ ostico rispetto al livello generale, che farà partire una serie di imprecazioni all’indirizzo dei Grandi Antichi. Ma tutto ciò che Call of Cthulhu ha da offrire, ve lo ricorderete. Specialmente la notte, quando la città dorme, e voi faticate a prendere sonno.