Tutto cominciò con un certo Giovanni Virgilio Schiapparelli, astronomo italiano, che intorno alla metà dell''800 condusse delle osservazioni in base alle quali identificò la presenza di una rete di presunti "canali" che potevano solo essere opera di una razza intelligente. La realtà si rivelò assai meno affascinante e i canali si scoprirono di gran lunga meno numerosi e, soprattutto, di origine naturale. Canali, dunque. Un termine che ha sempre indotto a pensare alla presenza, almeno in tempi remoti, di acqua sul Pianeta Rosso. Quella stessa acqua che, un tempo, avrebbe potuto essere foriera di vita e che ancora adesso, gli studi e le numerose missioni NASA vanno cercando a testimonianza di un passato del pianeta forse poi non così "rosso". Per questo la maggior parte degli scienziati ha accettato l'ipotesi "Blue Mars", secondo cui i famigerati canali sono in realtà letti di antichi fiumi, o comunque formazioni geologiche create dall'azione erosiva di acqua allo stato liquido. Ebbene, c'è chi non è d'accordo. In un articolo pubblicato recentemente su Geophysical Research Letters, un team di ricercatori del Geological Survey di Flagstaff (Arizona, USA) e dell'Università di Melbourne (Australia) ha avanzato una nuova teoria secondo cui è stata la presenza di anidride carbonica a contribuire alla creazione dei canali, e non l'acqua come ritenuto finora. Questa nuova ipotesi, se confermata, cambierebbe radicalmente l'approccio degli studiosi all'evoluzione di Marte, perché in questo caso, il pianeta sarebbe stato sempre un freddo deserto, proprio come ci appare oggi. Per Kenneth L. Tanaka e i suoi colleghi, il modello "Blue Mars" risulterebbe perciò superato da questo nuovo modello di "erosione magmtica", battezzato "White Mars". In seguito a osservazioni e studi sulle strutture marziane create dall'erosione, in particolare le zone lungo i bordi del bacino Hellas, gli scienziati americani e australiani sono giunti alla conclusione che l'anidrica carbonica liquida presente nella crosta marziana sia stata scaldata dal magma giunto in superficie e abbia subito un'espansione violenta che ha causato un collasso del terreno. Dopodiché, la CO2 mescolata al magma avrebbe facilitato un flusso erosivo di detriti che, nel tempo, avrebbe modellato i canali come noi li conosciamo. Secondo gli scienziati, un flusso basato sull'anidride carbonica sarebbe più veloce e potrebbe andare più lontano rispetto a un flusso basato sull'acqua. Inoltre, essendo l'anidride carbonica più volatile dell'acqua alle basse temperature riscontrate su Marte, a parità di erosione dovrebbe essere necessario un minor volume di anidride carbonica rispetto a quello richiesto dall'acqua. Il nuovo modello adesso attende nuovi e decisivi riscontri, benché la comunità scientifica l'abbia accolto con un certo scetticismo. "Io non posso confutare ciò che dicono," ha commentato la teoria Bruce Jakosky, uno dei massimi esperti della geologia di Marte. "Ma non sono nemmeno in grado di provarlo. Penso solo che l'acqua sia più plausibile della CO2." E la vita? Secondo Nick Hoffman, dell'Università di Melbourne e uno degli autori del rivoluzionario articolo, la nuova teoria non elimina la possibilità della vita. "Dobbiamo pensare a dove potrebbe esserci vita su Marte," ha spiegato. "Se c'è vita è probabile che si trovi nel sottosuolo, a molti chilometri di profondità".