Piove. Acqua dappertutto durante questa fine di una estate caldissima. Come vivere in una pozzanghera larga quanto l’intera Bassa.

Sulla via Emilia, la Mini di Giannina sembra un rosso motoscafo: solleva baffi d’acqua più alti dell’automobile.

— Dovrei andare più adagio — dice la ragazza. — Fino alle tre il giornale non va in macchina e io ho tutto il tempo di scrivere il pezzo. Inutile rischiare di diventare la protagonista di un incidente stradale..

Preferisce il ruolo di testimone, la giornalista che osserva i fatti senza mai esserne coinvolta.

— Forse ho paura di vivere. — Parla da sola. Come al solito, in macchina o a casa, qualche volta perfino in redazione, quando è sicura che i colleghi non possono sorprenderla. — Dovrei essere quasi arrivata. Però non si vede niente.

Poi, subito dopo una curva, il buio della notte si stempera in rosso. Giannina frena, accosta la macchina a destra, proprio dietro una pantera della Polizia Stradale.

Laggiù, una decina di metri più avanti, qualcosa sta bruciando. Le fiamme, altissime e rabbiose, tengono lontano la pioggia che sfrigola ed evapora intorno alla cupola del rogo.

— Ci sono vittime?

— Lei chi è?

— Giannina Gnoli, della redazione modenese del “Carlino”.

— Il guidatore — risponde il poliziotto. — Abbiamo rinvenuto un brandello del corpo. Quasi sicuramente era solo, a bordo. Impossibile avvicinarsi. Aspettiamo che il fuoco finisca di consumare il camioncino.

A quest’ora non c’è traffico sulla via Emilia, e la pioggia scoraggia i curiosi. Tre poliziotti convogliano le rare auto in una breve gimkana per evitare falò e pantere ferme.

— Dunque non sapete neppure di chi si tratta.

— Dalla targa abbiamo intravisto un MO. Domani qualcuno si farà vivo.

Ma intanto lei deve scrivere del morto per riempire una quarantina di righe della cronaca di Modena: Un camioncino è bruciato stanotte sulla via Emilia. Il guidatore è morto sul colpo. Poi le fiamme lo hanno carbonizzato... Troppo poco per fare felice quel rompiballe del Capo.

La pioggia riesce a sopraffare le fiamme; adagio il rosso diventa rosa, la luce diminuisce e il calore si allontana dalle facce di Giannina e dei poliziotti.

— Lei ha parlato di un brandello. Che roba è?

— Una cosa strana. Io ho visto un sacco di incidenti, con gente fatta a pezzi, ma non ho mai visto un pezzetto d’osso come questo.

Dal bagagliaio della pantera estrae un panno giallo, apre con cura l’involto e ne mostra il contenuto a Giannina.

— Un ossicino?

— Sì, sporco di sangue. Probabilmente un frammento dell’osso cranico schizzato al momento dell’urto. Lo abbiamo rinvenuto in mezzo alla strada, a una decina di metri dal camioncino. Sembra una moneta da cento lire, piatto e straordinariamente rotondo.

— Decisamente strano. Come lo spiega?

Le fiamme sono ormai spente. I fari delle auto della polizia illuminano ciò che resta del camioncino. Lo scheletro metallico, deformato dal fuoco, ha una sagoma che Giannina tenta invano di identificare: è soltanto una figura da incubo.

— La pioggia sta lavando via tutto…

— Non avremo neppure la cenere da consegnare ai familiari della vittima.

Resta soltanto la rotella ossea, pensa Giannina. Risale sulla Mini. Riparte. Ha fretta di tornare a Modena, buttare giù l’articolo e sentirsi al riparo, lontano dalla pioggia e dagli spazi aperti di questa campagna dove ci sono sempre meno alberi.

— Soffro di agorafobia — dice Giannina.

Per dimostrare di non avere paura del vuoto esterno, accosta la Mini, accende una sigaretta, esce ad affrontare la campagna. Non ha sonno e non ha fretta, questa è la verità. A piedi raggiunge il ponte sul Panaro.

Il fiume in piena ha superato il livello di guardia. L’enorme massa d’acqua, velocissima, preme contro gli argini che sembrano faticare a contenerla. Mulinelli, gorghi, e l’urto contro i piloni del ponte, provocano rumori diversi, come se il fiume avesse più voci, tutte minacciose.

— Il Capo ti vuole.

— È l’ora del caffè.

— Ti vuole ugualmente.

— Allora deve essere importante.

Il Capo della Redazione modenese del “Resto del Carlino” ha un ufficio tutto per sé, con tanto di moquette e frigobar. Nel frigobar, scassato, ci tiene i libri.

— Siedi, Giannina. — Aspetta che lei sia comoda sulla poltrona. — Cosa stai preparando, oltre al caffè?

— Un articolo sui problemi economici del centro storico dopo la creazione della zona verde.

— Puoi finirlo con calma. Ti mando in trasferta.

— Evviva. Ho scelto questa professione con la segreta speranza di fare l’inviato speciale. Dove mi mandi? Parigi, Amsterdam, Hong Kong, New York?

— Finale Emilia.

— Lo sapevo.