Una cosa l'abbiamo capita: che l'Unione Europea quando si tratta di prendere decisioni riguardo a internet farebbe bene a fermarsi, contare fino a dieci, fare una giravolta e lasciar perdere. Perché finisce sempre che fa danni.

Basta vedere questa cosa dei cookie. Qualcuno ha deciso che i cookie di profilazione, quelli che, in sostanza, fanno sì che sulle pagine dei siti ci compaia pubblicità che riguarda i nostri interessi invece di roba generica sparata a caso, sono un attentato alla privacy. Cosa che per i cittadini europei, che sono abituati a scrivere su Twitter cosa stanno facendo ogni quattro minuti e a postare su Facebook le foto dei loro bambini visibili a tutti ("ah sì so che si può fare in modo che le veda solo qualcuno ma non ho mai capito come"), tengono moltissimo.

Allora per correre ai ripari ci sono due modi: uno, parlare con quattro persone, mister Chrome, mister Firefox, mister Explorer e mister Safari, e dirgli di mettere un pulsantino che dia la possibilità all'utente di decidere se accettare o no i cookie; due, intimare a migliaia, forse milioni di editori web – dai grandi gruppi editoriali ai singoli blogger – di ficcarsi in un vespaio tecnico informatico legale, imponendo regole tecnicamente quasi inottemperabili, con pene de svariate migliaia a svariate centinaia di migliaia di euro per chi non ottempera. 

Indovinate quale delle due soluzioni è stata scelta.

Da questa settimana, quindi, per l'esattezza da mercoledì, tutti i siti che hanno cookie di qualche tipo devono esporre un banner in cui dicono come li usano. All'incirca verso mezzogiorno di mercoledì la gente era già abituata a cliccare il banner senza neanche guardarlo. Percentuale degli utenti che ha cliccato per leggere la policy nell'uso dei cookie di almeno un sito: uno su mille. Percentuale che ci ha capito qualcosa: vedi numero di legali connessi a internet.

Alla fine di questa bella operazione quindi le aziende europee (e soprattutto italiane) che lavorano in internet hanno avuto un bel danno, tra software da scrivere, tempo perso a cercare di capire, e pubblicità persa; valanghe di blog e piccoli siti hanno semplicemente chiuso per evitare il problema; gli utenti non hanno imparato nulla sui cookie e perché servono (anzi, perché sono utili proprio a loro!) ma solo a cliccare automaticamente su un banner scocciante; e quelli che traggono maggior vantaggio dai cookie di profilazione, ovvero Google, Facebook, Amazon, se ne sono bellamente infischiati. Garante della privacy: che ne dici di cambiare lavoro?

Grossi guai, dunque. Ma scusate lo sfogo e torniamo a noi, dove i "grossi guai" che ci interessano sono quelli di Jack Burton, il camionista di Big Trouble in Little China, mitico film di John Carpenter che forse sta per essere rifatto, con Dwayne Johnson al posto di Kurt Russell.

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Buona lettura!