L’interstatale 15 si intravedeva a malapena attraverso la morbida coltre di polvere e la visibilità era molto limitata. Di tanto in tanto apparivano sulla strada auto abbandonate, quindi non mi azzardavo a procedere oltre le venticinque miglia orarie. Mi sporgevo in avanti, mi concentravo per scorgere i bordi della strada sotto la polvere, ma mi sono stancata in fretta. Nel tardo pomeriggio il vento si è alzato e la visibilità era così scarsa che siamo stati costretti ad attendere che la tempesta si placasse. Ho imboccato la prima uscita disponibile e mi sono fermata in quella che sembrava un’area di sosta. Fuori il vento imperversava ferocemente tra gli arbusti, travolti da un’ondata di polvere e sabbia tale che non sono più riuscita a vedere niente.

Electric State è un’opera affascinante, un romanzo illustrato in cui l’arte introduce in modo mirabile la narrazione. Le immagini mostrano delle istantanee di viaggio che prendono subito il sopravvento sul testo fornendo un punto di partenza visivo all’immaginazione del lettore. Simon Stålenhag è stato in grado di far lavorare insieme figure e parole in modo diverso da quello che è possibile trovare in un comune libro illustrato o in un graphic novel. Il risultato raggiunto dall’artista è ben superiore alla semplice somma delle sue parti: una corposa raccolta di cartoline postapocalittiche oltremodo coinvolgente. La storia è intrigante e trasmette un senso di spaesamento e mistero che cattura l’attenzione e descrive perfettamente ciò che si vede. Il testo è rarefatto, più una cronaca che un romanzo propriamente strutturato e probabilmente senza le immagini non sarebbe stato altrettanto efficace. La trama e la caratterizzazione, estremamente sottili, funzionano evocando impressioni e risposte emotive in chi le osserva, presentando, al tempo stesso, i retroscena di quel mondo morente. I disegni di Stålenhag, ispirati all’arte paesaggistica e faunistica dei più importanti pittori svedesi (Gunnar Brusewitz, Lars Johnsson) e americani (Edward Hopper, Andrew Wyeth), riprendono la concept art futuristica e fantascientifica di artisti cinematrografici del calibro di Syd Mead (Blade Runner, Tron, Aliens, Star Trek) e Ralph McQuarrie (Guerre stellari, Galactica, E.T., Cocoon). Nel 2019, Electric State è entrato, a buon diritto, nella rosa dei finalisti agli Arthur C. Clarke e Locus Awards, non riuscendo, sfortunatamente, ad aggiudicarsi alcun premio.

Mi sono seduta e ho studiato la mappa di Skip, col motore acceso. Aveva tracciato un cerchio rosso sul mare poco più a nord di San Francisco Memorial City, oltre un promontorio che si estendeva nell’acqua come un lungo dito. Al termine del promontorio c’era una piccola cittadina, Point Linden, e Skip l’aveva evidenziata con una macchia rossa dai bordi irregolari. Sul bordo della mappa, attaccata con una graffetta, c’era la brochure di un’agenzia immobiliare con l’annuncio di una casa al numero 2139 di Mill Road.

Il testo racconta il viaggio della giovane Michelle e di Skip il suo robot, mentre si dirigono a ovest verso la costa del Pacifico, attraversando un’America ucronica lacerata dalla guerra civile e dagli orpelli di una realtà virtuale militare autodistruttiva. Lungo il loro percorso s’imbattono in colossali navi da guerra che si profilano all’orizzonte come irraggiungibili vette metalliche e in decine di cadaveri d’individui a tal punto dipendenti dalla VR da essere morti ancora connessi ai loro visori. Ambientata nell’America degli anni Novanta, la storia mescola nostalgia e fantascienza in un cocktail accattivante. La visione di un 1997 alternativo e postapocalittico, che descrive e ripercorre luoghi ed eventi tra il deserto del Mojave e la California, è inquietante. Le parole si susseguono alle immagini correndo su due tracce. La prima è una sorta di cronaca dei principali avvenimenti riguardanti gli Stati Uniti in quei terribili anni: la nascita di una nuova tecnologia chiamata Sentre, sviluppata dai militari per combattere una guerra sanguinosa e il suo successivo utilizzo nel settore dell’intrattenimento con effetti irreversibili e devastanti per la popolazione. L’altra traccia, quanto mai coinvolgente, è un diario di viaggio: la storia di Michelle, una ragazza di 19 anni che, con un fucile da caccia, un’auto rubata e un piccolo robot, cerca di farsi strada attraverso un mondo sconvolto, in declino e totalmente militarizzato. Intende dirigersi verso San Francisco, o ciò che ne rimane, per recuperare qualcosa o qualcuno che per lei è molto importante. Michelle racconta il suo percorso a tappe, poche centinaia di parole alla volta, registrando minuziosamente le proprie sensazioni, impressioni ed emozioni. Lentamente il suo passato, le ragioni del viaggio, il rapporto con il robot che l’accompagna, si sciolgono in voci e immagini ormai quasi completamente dimenticate.

Electric State, il terzo libro di Simon Stålenhag, pubblicato nella collana Oscar Ink dell’editore Mondadori, sarà disponibile in libreria da fine mese. I volumi precedenti, Tales from the Loop (solo Loop nell’edizione italiana edita da Mondadori) del 2015 e Things from the Flood (inedito in Italia) del 2016, hanno riscosso un ottimo successo. Il suo primo artbook, opzionato da Amazon Prime Video, è diventato una serie televisiva che verrà trasmessa dal prossimo 3 aprile. I diritti cinematografici di Electric State, invece, sono stati acquistati da The Russo Brothers Studios, dei fratelli Anthony e Joseph Russo, registi di Captain America (The Winter Soldier, Civil War) e Avengers (Infinity War, Endgame), che l’hanno scelto per un lungometraggio prodotto e sceneggiato da Christopher Markus e Stephen McFeely, e diretto da Andy Muschietti (It, It – Capitolo due).

In attesa del libro, della serie tv e del film vi lascio con un breve filmato curato da Ilya Plotnikov, un fan di Stålenhag, che cattura perfettamente l’atmosfera distopica del romanzo.

Il libro

1997. Una ragazza fuggita di casa e il suo piccolo robot giallo sono in viaggio verso Occidente attraverso un insolito paesaggio statunitense. Le rovine di giganteschi droni da battaglia sono disseminate per le campagne, ammucchiate insieme ai resti abbandonati di una civiltà ipertecnologica e consumistica, ormai in declino. A mano a mano che la loro auto si avvicina all’estremità del continente, il mondo fuori dai finestrini sembra disfarsi sempre più velocemente, come se, da qualche parte oltre l’orizzonte, il cuore vuoto della civiltà stesse infine per collassare.

L’autore

Simon Stålenhag, nato a Stoccolma nel 1984, è artista digitale, sviluppatore di videogiochi e musicista, ma soprattutto è un acclamato concept designer, le cui opere di iperrealismo sci-fi hanno suscitato grande interesse sul web soprattutto da quando, nell'agosto 2013, sono apparse sulla rivista americana online The Verge e su Wired. Da allora le illustrazioni di una Svezia anni Ottanta, popolata di macchine dal design insieme avveniristico e decrepito sono diventate un cult.

Simon Stålenhag, Electric State, Collana Oscar Ink, Mondadori, pagg. 144, Euro 25 (versione cartacea), Euro 12,99 (ebook).