Negli ultimi anni l'innovazione nel campo delle protesi artificiali ha raggiunto livelli di evoluzione notevoli: abbiamo visto mani meccaniche in grado di calibrare la stretta sull'oggetto che devono reggere e bracci bionici in grado di comunicare con il sistema nervoso così da potersi rapportare con gli implusi del cervello. 

Certo siamo lontani dal tanto ambito Uomo da sei milioni di dollari (o sei miliardi, come dice il titolo del prossimo film), ma il sito I fucking love science (che vi consigliamo caldamente nel caso ancora non lo conosceste, trovate il link nelle risorse di rete), nel week end appena trascorso ha riportato una ricerca apparsa su Science, dove si scopre una nuova svolta verso la realizzazione di un arto artificiale sempre più vicino a quello reale.

Un team di ingegneri della Stanford University, guidata dalla ingegnere chimica Zhenan Bao (nella foto qui sotto), ha passato dieci anni cercando di sviluppare un materiale in grado di imitare le caratteristiche della pelle umana: flessibilità, capacità di guarire, sentire il dolore, registrare le variazioni di pressione e di temperatura esterne.

Ora, sono riusciti a raggiungere uno degli scopi prefissati: la loro pelle artificiale è in grado di registrare le variazioni di pressione, replicando il senso del tatto.

Come ha spiegato Bao: 

Questa è la prima volta che un materiale flessibile e simile alla pelle umana è stato in grado di rilevare la pressione e inviare un segnale a un componente del sistema nervoso.

Il materiale plastico è composto di due strati: quello superiore contiene i meccanismi che si occupano della sensazione del tatto, mentre quello inferiore agisce come un circuito elettrico e trasporta il segnale al cervello.

Per riuscirci, i segnali elettrici vengono trasformati in stimoli biochimici compatibili con le cellule nervose.

Il primo strato contiene un sensore di pressione con lo stesso grado di sensibilità della pelle umana, ovvero in grado di distinguere tra una spinta e la puntura di uno spillo.

È composto da uno strato sottile ma resistente di polimero sintetico così sensibile alla pressione da essere in grado di registrarla a livello molecolare.

Lo strato è composto da miliardi e miliardi di strutture a base carbonio chiamate Nanotubes, le cui dimensioni sono di un miliardesimo di metro, ma sono 15 volte più resistenti dell'acciaio e del kevlar e in grado di trasmettere calore ed elettricità 10 volte meglio del rame.

Comprimendo i Nanotubes all'interno dello strato, si toccano tra di loro, trasmettendo un segnale elettrico paragonabile alla pressione sulla pelle umana, inviando il segnale al cervello.

Usando i risultati ottenuti nel campo pionieristico chiamato optogenetica, gli ingegneri sono riusciti a rendere i neuroni recettivi a specifiche frequenze luminose, mentre le cellule sono state allineate e connesse per simulare una piccola porzione del cervello umano.

Quando la pelle percepisce la pressione i Nanotubes vanno in contatto tra loro, generando un segnale elettrico di una certa intensità, questo segnale viene quindi trasformato in impulsi luminosi con la stessà intensità, che attivano i neuroni.

Questa è stata la prima dimostrazione di come una pelle artificiale possa comunicare con successo con il sistema nervoso umano, portandoci un passo più vicini alla creazione di un arto artificiale con una genuina sensazione tattile e non una brutta copia.

Bao conclude ammettendo come ovviamente ci sia ancora molto lavoro da fare, ma questo risultato è un gigantesco passo avanti per arrivare a creare un arto in grado di replicare perfettamente quello umano.