Presto sarebbe venuto il tramonto e soldato Jordan avrebbe sottolineato l'evento con un sorriso di soddisfazio­ne; era stata una giornata pesante ma nessuno gli aveva promesso una vita da signore; e lui sarebbe stato l'ultimo a meritarsela. Il fucile doveva avergli ormai scavato una profonda vescica: cosa che è sempre capitata a qualsiasi soldato e che sempre capiterà finché i tecnici militari non saranno riusciti a costruire armi più leggere.

- Al diavolo il fucile, - pensò il soldato Jordan liberan­dosene con uno scatto d'ira. Un sudore nauseabondo gli colava dal casco mentre le ginocchia agonizzavano gli ulti­mi accenni di un moto spento e insicuro. La stanchezza era arrivata puntuale... come ogni impaziente.

Soldato Jordan si lasciò cadere sulla sabbia cocente e rimase imbambolato a guardare le punte dei suoi stivali; sotto, pensò, devono esserci i miei piedi. Ma non ne era poi così sicuro. Al di là delle montagne, giù verso l'orizzonte, un migliaio di altri soldati Jordan dovevano pensare la stessa cosa dei loro piedi. Non era una consolazione ma aveva il sapore di una cosa buffa. E le cose buffe ci fanno dimenticare le tristezze della vita.

Jordan regalò un pensiero alla stella che si stava eclis­sando (quella che noi, con evidente scarsità di fantasia chiamiamo semplice mente "Sole") ed estrasse dal taschino della camicia un fogliettino di carta.

- Sette, - meditò fra sé. - Ne ho uccisi sette. - Ripiegò il prezioso pezzetto di carta e lasciò che quel numero gli gonfiasse la mente. Si sarebbe crogiolato al pensiero di tanta bravura: sette piccoli soldati Jordan erano morti sotto l'infierire delle sue pallottole. Ricordava bene ogni minimo particolare di quei duelli insulsi. Il sangue gli dava ancora una sensazione di ribrezzo ma l'effetto si sarebbe attenuato presto con l'assuefarsi a quelle scene. Se non fosse stata la ragione ad imporgli una condotta più virile, certo ci sarebbe riuscita la devozione alla regola... e questa era categorica: "Uccidere tutti gli altri soldati Jordan..." Il testo della regola poi continuava, ma soldato Jordan non si era mai preso la briga di impararla per intero. Sapeva che doveva parlare di difetti o roba del genere e che mutilata a quel modo non perdeva nulla della sua efficacia.

Guardò il sole con le lacrime agli occhi e fu sul punto di ridere di quel suo sentimentalismo ingenuo; forse non era il caso di farsene una colpa...

Fu in quel momento che un fruscio richiamò la sua attenzione; qualcosa, al di là di un grosso cespuglio, si era mosso. Poteva essere una lince, ma avrebbe potuto essere qualcosa di più pericoloso ed era verso questo qualcosa che soldato Jordan aveva rivolto i suoi pensieri.

Chissà perché le previsioni di una persona priva di fantasia si verificano sempre...

Un crepitio di spari sottolineò che il vecchio soldato Jordan aveva previsto bene. Ma quale dei due?

Quello dei piedi, quello che, ora aveva fatto otto e fu colto dalle convulsioni alla vista del sangue.

Se avesse avuto la forza di piangere sul cadavere dell'altro se stesso, lo avrebbe fatto volentieri; non ne avrebbe ricordato le gesta perché gli sarebbe parso di fare atto di vanità, ma avrebbe pregato... come sempre dinanzi ad una tomba. Quale difetto lo aveva condannato? L'eccessiva si­curezza? Un eccesso di zelo? O forse solo una mira difettosa?

“Deve essere stata la mira,” pensò soldato Jordan con un pizzico di vanteria. “L'imprecisione è una grave lacuna; probabilmente non era bravo abbastanza per essere un buon soldato.” Mentiva perché Jordan non era un buon soldato anche se sapeva cavarsela con le armi in pugno.

La voce sicura risuonò alla brezza del tramonto: - Troppo ingenuo, - sentenziò con cinismo l'uomo dalla fronte sudata e con una profonda vescica sulle spalle.

- Mai voltare la schiena al nemico.

Il nuovo soldato Jordan scansò il corpo della sua vittima e riprese la via verso le montagne, al di là del crepuscolo. Zoppicava un po' con il piede sinistro, ma doveva affrettarsi... soldato Jordan era già sulle sue trac­ce...