Cominciai a pensare ai robot come a prodotti industriali costruiti da tecnici animati da intenti puramente pratici. Li vedevo come macchine, insomma, dotate di dispositivi di sicurezza che gli impedivano di diventare una minaccia, e destinate a lavori particolari che non implicavano necessariamente l’insorgere dell’elemento patetico
(Isaac Asimov, Tutti i miei robot, Mondadori, Milano 1985). Con queste parole, Isaac Asimov descrive la sua concezione di robot, a cui deve molta della sua notorietà come scrittore di fantascienza, al punto da essere considerato il padre del moderno concetto di robot.
Quest'idea trovò una sintesi nelle famose Tre Leggi della Robotica, formulate per la prima volta nel racconto Circolo vizioso (Runaround, 1942), ma la stessa parola Robotica fu coniata proprio in quell’occasione, designando così la scienza che studia i robot. L’idea di robot di Asimov è un concetto nato in piena era fordista, ossia di massima espansione del capitalismo che assunse nella fabbrica e nell’operaio i simboli più rappresentativi.
La parola robot è stata usata per la prima volta dallo scrittore e drammaturgo ceco Karel Čapek, nel romanzo RUR – Rossum's Universal Robots (1920), dove appaiono uomini artificiali, utilizzati come forza lavoro a basso costo. Il termine denota, comunque, da quel momento in poi, un uomo meccanico, un essere dotato di un corpo interamente artificiale.
Il cyborg ("organismo cibernetico" o "uomo bionico"), invece, indica una creatura che combina parti organiche e meccaniche. Una sorta di ibrido, dunque, fra il robot e l’essere umano.
L’androide occupa un posto rilevante nell’immaginario collettivo fantascientifico, pur essendo, forse, meno noto dei suoi parenti, il robot e il cyborg. Anzi, spesso vengono ritenuti sinonimi, ma in realtà hanno un significato diverso, che vale la pena ricordare brevemente.
Il termine Androide deriva dal greco anèr, andròs, "uomo", e che quindi può essere tradotto "a forma d'uomo". La coniazione del termine si fa generalmente risalire al filosofo, teologo e scienziato S. Alberto Magno (1204-1282), che la utilizzò per definire esseri viventi creati dall'uomo per via alchemica, ma il primo ad utilizzarla in un romanzo fu Mathias Villiers de l'Isle-Adam (1838-1889) in Eva futura (L'Ève future, 1886), nel quale il protagonista è addirittura Thomas Edison.
Le tre figure – il robot, il cyborg e l’androide – seppur apparse in tempi diversi nell’immaginario collettivo, hanno, comunque, segnato il Novecento, grazie ai numerosi romanzi e ai film di cui sono stati protagonisti. Per questo ci sembrano le più adatte a descrivere i profondi mutamenti intervenuti nelle forme di organizzazione del lavoro, a partire dalla fabbrica taylorista fino all’emergere di un nuovo modo di concepire il lavoro che viene normalmente riassunto dalla parola “flessibile” o “atipico” e precario.
La domanda cruciale che molti tra scienziati, analisti e imprenditori si chiedono è: ma i robot ci ruberanno il lavoro?
A provare a dare una risposta ci ha pensato, recentemente, un'equipe di ricercatori del Media Lab del Mit di Boston che ha cercato di prevedere quali saranno le aree metropolitane (statunitensi) più colpite in termini di occupazione dall’ingombrante presenza dell'automazione negli ambiti lavorativi.
Ebbene, dalla loro ricerca è emerso che le città più piccole saranno quelle maggiormente colpite dalla presenza di robot nelle dinamiche lavorative, mentre nelle grandi città, con un numero di abitanti superiore alle 100mila unità, l'impatto sarà più contenuto. Ciò sarà dovuto al fatto che nelle grandi aree metropolitane è più massiccia la presenza di professionisti con un grado di specializzazione e di preparazione che difficilmente una macchina potrà sostituire.
Attualmente il dibattito è molto sull'Intelligenza Artificiale che è entrata sempre più nelle nostre vite, dagli assistenti dei computer e dei cellulari a quelli che governano la nostra casa, tanto per fare due esempi.
Se la robotica e l'automazione stanno riducendo il numero dei posti di lavoro è anche vero che ne creano di nuovi, legati per l'appunto all'informatica e alle telecomunicazioni. Allora, il nodo centrale sembra essere da un lato la formazione – il ruolo della scuola e dell'università sono centrali, ma anche la formazione diretta in senso stretto – e dall'altro la capacità di ognuno di noi ad adattarsi alle nuove tecnologie. In entrambi i casi è quindi un fatto culturale.
Chiedersi oggi cosa quali modificazioni porteranno le tecnologie nel modo del lavoro e se creeranno disoccupazione è fuori luogo, un esercizio forse sterile ed è comunque una previsione difficile da fare. Ma il punto centrale è che dobbiamo rivolgere il nostro sguardo alla formazione: più saremo in grado di offrire un'offerta che sia adeguata alle sfide dell'automazione più riusciremo a tenere il livello di disoccupazione nei limiti accettabili per un paese sviluppato. È questa la vera sfida.
Certo se poi si collegano tutti i computer del mondo e gli si chiede C’è Dio?
e la risposta è: Sì: adesso, Dio c’è
, be' non dite che la fantascienza non vi aveva avvertito. Il grande Fredric Brown lo aveva previsto nel 1954, in un racconto intitolato La risposta.
23 commenti
Aggiungi un commentoEhi, ho detto attesa, mica che è dietro l'angolo. Esiste la possibilità che si riesca, cosa che oggi è una poco più di una speranza.
Ma che alcuni possan conservare fonti energetiche a scapito del resto del mondo e quindi una tecnologia in continua espansione, non è solo fantascienza
Per il resto, penso che le politiche sociali avvedute possano aiutare contro il luddismo
il problema della fusione è di tipo tecnologico, non teorico, sappiamo con certezza che il fenomeno esiste e funziona, è questione di tempo, se ci resta abbastanza tempo ci arriveremo, nel frattempo ci sono soluzioni parziali, solare, eolico, biocombustibili, efficienza energetica, che comunque potrebbero traghettare una parte di umanità oltre la crisi, (tutti no, siamo troppi e continuiamo insensatamente a comportarci come quando eravamo un miliardo ma del resto fare diversamente sarebbe andare contro la nostra natura e quindi...)
Bé, i proclami sono tali perché basati su solidissime teorie (teorie intesa come corpus di conoscenze ampiamente dimostrate e sperimentate) scientifiche; la reazione di fusione a caldo è a saldo positivo e 4 volte più efficiente di quella da fissione; se si stanno investendo molti soldi, sia su ITER (saldo energetico 10 volte il consumo), che sul reattore gemello ma ridotto che si farà (annuncio di questi giorni) a Frascati, con lo scopo di studiare le tecnologie definitive, il motivo è validissimo; come ha detto qualcuno: "non lo facciamo perché è facile, ma perché è difficile" e un nutritissimo coro di scienziati aggiunge, perché è assolutamente necessario.
la reazione di fusione a caldo è a saldo positivo (...) se si stanno investendo molti soldi, sia su ITER (saldo energetico 10 volte il consumo)
Quella è proprio la pubblicità. Pare che la realtà dei fatti, ad oggi sia un po' diversa (saldo nettamente negativo, e ITER ancora da accendere, ma se ne parla tra...20 anni salvo successivi rinvii o accensioni "da femtosecondo" in stile di quanto fatto finora)
Però intendiamoci su due cose:
1)
come ha detto qualcuno: "non lo facciamo perché è facile, ma perché è difficile"
Questo ci sta e mi piace, come pure il discorso che cercando (seriamente) l'impossibile si possono trovare cose (altre) che ripagano
2)
e un nutritissimo coro di scienziati aggiunge, perché è assolutamente necessario
Se intendono "necessario alla scienza", ci sta. Se invece è il discorso del "necessario per salvare il mondo dalla crisi energetica", con quel che si ha ad oggi (e anche per visibilità per ITER), stai solo ripetendo una propaganda che sa di imbroglio.
Che ITER sia un work in progress non è negabile, che la scienza che vi sta dietro dica quanto sopra, pure; come detto, il problema è tecnologico (quindi risolto quanto da risolvere, quelle sono le cifre), non teorico, se poi vuoi credere che sia tutta una bufala e/o marketing, liberissimo...
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