Dorothy Porter è scrittrice australiana tra le più innovative della nuova scena poetica australiana; nata a Sydney nel 1954, si è laureata in scienze dell'educazione nello stesso anno in cui è stata pubblicata la sua prima collezione di poesie Little Hoodlum. Ha insegnato poesia e scrittura alla University of Technology di Sydney. La sua ultima opera, Akhenaten è stata accolta con un discreto calore dal pubblico e dalla critica, tuttavia la sua opera migliore a tutt'oggi rimane La Maschera di Scimmia. Dorothy Porter vive attualmente a Melbourne.

"La maschera di scimmia è il suo ottavo libro. Chi ha detto che la poesia epica non esiste più? Ha solo cambiato indirizzo: non sta più nell'antica Grecia o nella penisola italica, ma a Sydney in Australia. E non canta più di dame, cavalieri, arme ed amori, ma delle atmosfere cupe, dei caratteri ambigui e dei personaggi disperati e violenti del noir, e lo fa con un ritmo teso e veloce come quello di un testo rap. Jill è una detective specializzata nella ricerca di persone scomparse, lesbica "tutta muscoli", "illetterata" e "stupida", che quando si innamora ha "un cuore vistoso quanto un culone in tuta rosa". Deve trovare Mickey, sensibile e timida diciannovenne, che scrive poesie ed "è troppo tutto per essere vera". Ma Mickey, come nella migliore tradizione del noir, è morta. Inizia così un viaggio serrato e teso da una parte all'altra di un Paese in cui le distanze si misurano a spiagge, tra poeti coglioni, poetesse new age con l'anellino al naso, giovani avvocati progressisti e ambigui cristiani rinati, piedipiatti a posto e agenti investigativi dalle dita tozze come la loro coscienza, marxisti post moderni e marpioni protettori di poetesse... E Diane, Diane dalle belle gambe, incessantemente intellettuale. Una storia appassionante e realistica ricca di suspense e colpi di scena, che ha una particolarità fondamentale: è scritta in versi. Brevi componimenti in versi liberi in cui tutto, dalle virgole ai titoli, è importante e ricco di significato, e che si incatenano l'uno all'altro con la forza narrativa di un romanzo in prosa. Una specie di rap ritmato e veloce, che ha la capacità di raccontare storie vietate, tenere e violente del romanzo di genere unisce quella propria della poesia di andare a fondo nei cuori e rappresentare i sentimenti. Un romanzo straordinario", dall'introduzione a La Maschera di Scimmia, Carlo Lucarelli

Trecentoquattro pagine di poesia per raccontare una storia nera, un noir in versi. Tentativo estremo, innovativo, difficile? No, Dorothy Porter maneggia con estrema sicurezza e vivacità la materia poetica: La Maschera di Scimmia si legge come un poema epico moderno, intelligibile come un romanzo, forse di più. Il suo stile nero ricorda quello del grande James Ellroy ma anche il più raffinato Leo Malet e in alcuni punti la poesia dell'autrice ha la freschezza immediata del migliore Ray Bradbury che nel 1985 si è provato con un noir eccellente, La morte è un affare solitario (recentemente il romanzo La morte è un affare solitario di Bradbury è stato pubblicato da Fazi Editore nella stupenda traduzione di Enrico Bistazzoni con una intelligente postfazione di Alessandro Zaccuri).

La Maschera di Scimmia è la storia di una indagine su una persona scomparsa: una detective australiana di nome Jill Fitzpatrick dovrà fare i conti con macchine che esplodono, morte, sesso, tradimenti e ciliegina sulla torta da cliché, una femme fatale. In alcuni momenti la poesia è un po' stucchevole e bassamente volgare: Dorothy Porter descrive il sesso, la degradazione, la morte, la povertà con tinte bukowskiane, ma il risultato non è minimamente paragonabile alla poetica di Charles Bukowski, piuttosto la sua poetica è molto più vicina a quella patinata della rocker americana Alanis Morrissette, insomma una poetica "popolare". Nonostante alcune cadute di tono, l'intreccio drammatico è discreto: in alcuni punti le tinte fosche della narrazione poetica traducono il lettore in una fantasia cinematografica morbosa alla David Lynch. L'autrice maneggia la poesia e l'interpreta con gusto quasi maschile: la sua lirica guarda a James Ellroy, a Leo Malet ma tenta anche di imitare Charles Bukowski e Verlaine.

Un noir di tutto rispetto che si legge tutto d'un fiato e che lascia in bocca un sapore debolmente maledetto, come se si fosse appena digerita una discreta tarda poesia di Rimbaud o Verlaine.