Il silenzio attinico di stanze d’albergo abbandonate
Posted on Settembre 16th, 2009 in Graffiti, Micro |
Ci sono molte cose di cui avrei voglia di parlare. Dalle navi a perdere ai motori di ricerca per immagini, e non è detto che non ci riesca nei prossimi giorni. Al momento attuale, però, mentre le home page dei quotidiani on-line sembrano soccombere sotto un’ondata di shock da futuro e dosi massicce di distopia, io mi ritrovo stretto tra una miriade di attività che mi impediscono di predisporre un post con il dettaglio che vorrei. Approfitto quindi della categoria Micro creata proprio per fronteggiare queste emergenze, e mi limito a una segnalazione veloce.
Le pagine elettroniche dell’edizione milanese del Corriere dedicano oggi ampio spazio ad Albert Watson, ospitato con la sua mostra Il Coniglio Bianco dal Centro Internazionale di Fotografia Forma, a Milano. La foto riprodotta qui sopra, A Motel Freemont Street, Las Vegas (2001), offre un assaggio del tocco di Watson. Sul Corriere, Gianluigi Colin ha scritto:
“E’ lo sguardo nomade, è lo sguardo che stupisce, è lo sguardo che tradisce. Glaciale se ritrae le assolate dune di sabbia del Marocco, caldissimo nelle gelide sale di posa di fronte a uno dei tanti protagonisti dello star system mondiale. Sempre, comunque, il suo occhio ti accompagna in viaggi senza meta dove il tempo è perennemente sospeso, in una realtà surreale densa di mistero e costantemente in movimento.”
A Las Vegas, Watson ha trovato una dimensione nuova e surreale e l’ha immortalata nei suoi scatti. Dai panorami notturni o crepuscolari alle sue muse fetish, è un rincorrersi di suggestioni che rievocano il surrealismo tanto caro a J.G. Ballard (che con il passo citato nel titolo di questo post anche noi connettivisti abbiamo voluto omaggiare nel nostro vecchio Manifesto), come pure la lezione iperrealista di Edward Hopper (anche lui in mostra a Milano, Palazzo Reale, dal 15 ottobre prossimo fino al 24 gennaio 2010). E sembra davvero che Ballard e Leonard siano i riferimenti letterari più vicini a questi lavori, che parlano di desolazione urbana e solitudine umana, immortalate con sguardo compassionevole sotto la luce dei neon.
2 Responses
Da Hopper sarebbe proprio da farci un salto…
[...] qualche modo, tra le atmosfere immortalate da Albert Watson e la riproposizione di Sfumature di grigio a Philipsburg (la poesia di Dick Hugo che ispirò il suo [...]