La sindrome lunare
Posted on Luglio 19th, 2009 in Accelerazionismo, False Memorie, Fantascienza, Futuro, Postumanesimo, Transizioni |
In questi giorni di sindrome lunare, per dirla con il grande Vic, gli italiani stanno tornando a puntare i loro nasi al cielo. Almeno questa è l’impressione che se ne ricava dalla lettura delle pagine (elettroniche e non) della stampa, che se non altro fungono da specchio attendibile degli umori del Paese. E gli speciali dedicati all’anniversario dello sbarco lunare dell’Apollo 11 dal Corriere on-line e da Repubblica.it meritano un’occhiata da parte dell’appassionato e del curioso.
Fa un certo effetto rileggere ora le parole di Moravia scritte all’epoca, intrise di scetticismo anti-scientifico e anti-tecnologico. Ma oggi possiamo dire che la sua ostilità al sogno dell’esplorazione spaziale nasceva da una reazione conservativa di fronte alla prospettiva di cambiamento e rivoluzione che si poneva - per la primissima volta in maniera concreta - davanti all’uomo, sulla frontiera spaziale. Nel corso della sua visita al Goddard Space Center, Alberto Moravia obiettava a George Mueller, direttore NASA per i voli spaziali con equipaggio umano:
“Certo lei si rende conto delle sconcertanti e in certo modo terrificanti implicazioni d’una simile affermazione. Basterà pensare ad alcune differenze tra il viaggio di Colombo e quello degli astronauti. Il primo solca un oceano azzurro, sotto un cielo luminoso, approda ad isole verdeggianti popolate di uomini innocenti e primitivi. Gli astronauti, appena fuori dell’atmosfera, piombano invece nel buio, approdano in un mondo morto, senza aria e senza vita, sbarcano con enorme difficoltà, si aggirano dentro un orizzonte che non oltrepassa due chilometri, su un suolo di pomice, tra picchi desolati.
La sua affermazione che il viaggio degli astronauti somiglia a quello di Colombo implica, a ben guardare, che l’umanità pian piano abbandoni la Terra, culla della vita, e si disperda nello spazio, in mondi inimmaginabili e con mezzi inimmaginabili e insomma cessi di esistere nei modi che sinora l’hanno caratterizzata. Tutto questo, almeno fino a quando non ci saremo fatti una mentalità interplanetaria, me lo concederà, è abbastanza sinistro”.
Moravia, non il più grande amico che la fantascienza italiana abbia avuto (per approfondire rimando alla testimonianza di Vittorio Catani sull’episodio di Montepulciano), intuiva la portata rivoluzionaria di quel sogno, le conseguenze che avrebbe comportato la realizzazione di un progetto tanto complesso e avveniristico come portare un uomo a mezzo milione di chilometri dalla Terra. E non a caso parlava di post-storia: qualcosa sarebbe finito, con quello sbarco. Qualcosa di nuovo e di diverso avrebbe avuto inizio. Il fatto che all’epoca non se ne riuscissero a cogliere ancora le implicazioni (le modalità in cui l’uomo avrebbe fatto proprio lo spazio erano molto più nebulose di quanto non lo siano ancora oggi) era la causa di quel percepire sinistro da parte dell’intellettuale nelle sue vesti da cronista.
Le catastrofiche profezie di Moravia non si sono ancora compiute. Con la distensione e la crisi petrolifera gli obiettivi dell’America e del mondo si volsero nel corso degli anni ‘70 verso altri scenari e il sogno dello spazio finì in ibernazione, per essere tirato fuori al momento opportuno e venire sbandierato a fini di mera propaganda politica, tanto nell’era Reagan (declinato in termini paramilitari nell’iniziativa di difesa strategica del famigerato Scudo spaziale) quanto nell’era Bush Jr. (l’obiettivo Marte spacciato a più riprese come piano strategico per il ritorno degli USA nello spazio).
Oggi siamo pressoché sicuri che la conquista dello spazio non potrà prescindere da una radicale riprogrammazione dell’uomo, dalla prospettiva di ridefinirne i parametri biologici secondo protocolli che ne faranno a tutti gli effetti un postumano. Ma a ben guardare, prima di spiccare il salto verso altri pianeti in stile Uomo Più e molto prima di guardare alle stelle più vicine, è ancora sulla Luna che dovremo tenere puntati i nostri obiettivi.
La Stampa.it ha pubblicato l’altro giorno questo intervento di Les Johnson, fisico della NASA che non nasconde il suo debole per la fantascienza. Segnalo il suo intervento con estremo piacere, in quanto va a ricollegarsi al discorso che facevamo da queste parti solo una settimana fa sul futuro dell’energia. Gli scenari che ci prospetta Johnson sono visionari: impianti di produzione sulla Luna o nell’orbita alta terrestre, sistemi di trasmissione a microonde, reattori a fusione nucleare alimentati con l’elio-3 estratto dalla crosta lunare. Vedere simili tecnologie prospettate da uno scienziato impegnato sul campo, divulgate per di più da uno dei quotidiani meno scientificamente ferrati della nostra stampa nazionale, è un po’ sorprendente. E non è difficile ricondurre questo discorso all’evoluzione della civiltà umana sulla scala di Kardashev, per riprendere un altro antico argomento discusso anche su questo blog.
Insomma, a 40 anni dallo sbarco dell’Apollo 11, pensare alla Luna significa ancora una volta interrogarci sul destino della nostra specie e sulle potenzialità della nostra civiltà. Nessuna frattura è inevitabile per rilanciare la scalata alle stelle: il mutamento, se ci sarà, dovrà avvenire conservando lo spirito umanistico di ciò che siamo, non rinnegando quanto di meglio è stato fatto, sogni inclusi. Arriveremo così nel futuro sulle nostre gambe di uomini, anche se nel frattempo ci saremo muniti di protesi o stampelle postumane. Dove ci condurrà il prossimo sogno, sarà la storia (senza post-) a dirlo.
[Le immagini della conquista lunare arrivano dalla galleria della NASA.]
8 Responses
Mah, direi che la Nasa sta facendo marketing di sè stessa. Il ritorno sulla Luna ha bisogno di giustificazioni ideologiche perchè le motivazioni scientifiche sono pochine. Non è cambiato granchè da 40 anni fa. O meglio, è cambiato quasi tutto, ma non ancora si va oltre la propulsione chimica, con associata una potenza di calcolo immane paragonata al 1969 e nuovi materiali etc, ma solo questo. Siamo ancora ai propellenti tradizionali e al principio dell’autobotte: il 95% del tuo peso è carburante. Con queste condizioni tecnologiche l’idea di impiantare una base stabile sulla Luna è irrealistica a dir poco.
L’elio 3 c’entra ancor meno, visto che il nucleare di fusione è ancora roba che non esiste sulla terra in coondizioni operative sicuramente più comode.
Al fondo, la motivazione principale è di non farsi scavalcare dai cinesi; mantenere un primato politico-sportivo, per così dire.
Avevo qualche sospetto in tal senso sulla base delle mie deboli conoscenze, ma pare che Bignami, l’ex direttore dell’ASI, sia ben più radicale e nel suo caso, con cognizione di causa.
Grazie per la segnalazione, Daniele. Utile per 2 motivi: a) ci mostra come l’ASI sia ormai una specie di RAI, qualcosa di spaventosamente lontano dagli interessi dei cittadini ma vicino ai capricci dei politici; b) mi ricorda come - nella mia modesta attività di pioniere spazio-letterario - anch’io, quando ero più giovane, abbia scritto qualcosa che sfiorava da lontano i punti di Lagrange e le potenzialità del loro sfruttamento in un sistema commerciale spaziale (qui se sei curioso di approfondire).
Tornando IT, Bignami dice cose condivisibili ma anche altre su cui è ragionevole nutrire qualche dubbio o sospetto. Per esempio, si sforza di ignorare che il programmato ritorno sulla Luna ha per obiettivo l’installazione di una base permanente, che non è la stessa cosa che dire: “andiamo a farci una passeggiata sul nostro satellite”. Poi d’accordo su tutto il resto (nuova logica di competizione sull’asse spostato verso l’Estremo Oriente) ma se l’alternativa resta tra una base sulla Luna e una gita su Marte, nel mio piccolo non ho molti dubbi sull’obiettivo che mi piacerebbe vedere perseguito.
Quanto al discorso elio-3/tritio, mettiamola così: per andare su Marte abbiamo bisogno della fusione. Bene. La fusione ha bisogno di un carburante. E’ pacifico. Tu su cosa scommetteresti: su qualcosa che si potrebbe (è un’ipotesi, come fa giustamente notare Bignami nell’intervista) estrarre dalle rocce lunari, con una rampa di lancio a un sesto della gravità terrestre; su qualcosa che si potrebbe (in questo caso c’è il limite tecnologico, per il momento) estrarre dagli oceani della Terra, ma che poi ci obbligerebbe a vincere una gravità sei volte maggiore che sulla Luna per andare in fuga?
Poi magari gli USA fondano la base lunare e la Cina sbarca su Marte e siamo tutti contenti…
Credo che in questo momento ci sia una particolare discrasia tra ambizioni e possibilità tecnologiche, “colpa” dell’elettronica, che ha cambiato il mondo senza che il resto del mondo cambiasse poi granchè di suo. Con Hubble e la potenza di calcolo dei computer degli ultimi anni abbiamo scoperto centinaia di pianeti extrasolari (e con Webb, il suo successore, sarà anche meglio), ma abbiamo ancora difficoltà a tornare sulla Luna. Credo che il discorso di Bignami su Wired e La Stampa abbia una logica profonda: resettiamo le iniziative in direzione di ciò che garantisce maggiori potenzialità di sviluppo tecnologico connesso e lasciamo perdere le gare, i robot possono fare sulla Luna o Marte tutto quello che faremmo noi. Tra l’altro, investire massicciamente sulla costruzione di un impianto posto in un punto lagrangiano sarebbe anche più cool del mero andare su Marte; Marte è fantascienza sixities!
Carino il racconto “giovanile”
[...] mondo. E per la prima volta nella storia, probabilmente, gli uomini di tutto il mondo hanno avuto un obiettivo e un sogno che non confliggesse con quello di qualcun altro. Un sogno che la NASA mise in piedi affidando le [...]
[...] Delle implicazioni tecno-sociologiche di quel fatidico luglio si discute mirabilmente sullo Strano Attrattore, da parte mia - A 14600 giorni di distanza da quel giorno - posso dire che ho la strana sensazione [...]
Mi inchino davanti alla persona che conduce la pagina. Grandi contenuti.
[...] assortite (dall’ISS che si trasforma in ISIS al menù dell’astronauta e così via). La sindrome lunare continua evidentemente a scuotere la sua coda lunga, ha raggiunto l’orbita terrestre e si è [...]
[...] finestra di lancio delle celebrazioni del cinquantennale dell’allunaggio, e ripensando alle parole di Alberto Moravia, che mi sono appena ritrovato a citare in un articolo che vedrà la luce venerdì prossimo 19 [...]