Fantascienza: il presente visto dal futuro
Posted on Maggio 13th, 2009 in Connettivismo, Fantascienza, Futuro |
La questione dell’importanza della SF… Ne accennavo anche qui un po’ di tempo fa. Senza riscontro, purtroppo. Be’, è una vicenda particolarmente delicata, per cui ci voglio tornare sopra. Carmine Treanni aveva cominciato a lavorare a uno speciale per Delos SF, inoltrando un paio di domande a un po’ di autori italiani per sviscerare la questione dal nostro punto di vista. Siccome poi, per vicissitudini varie, non se ne è fatto più niente, riprendo qui il botta e risposta scambiato a suo tempo con lui. E invito chiunque fosse interessato (lettori, autori, critici, a partire magari dallo stesso Carmine e dagli altri blogger impegnati nel settore) a cercare una risposta a queste domande. Chi non avesse a disposizione un blog e fosse comunque interessato a intervenire, può farlo usando lo spazio dei commenti a questo post. Dal confronto potrebbe risultare uno spaccato utile per comprendere “dove stiamo volando”, o almeno qual è la rotta che ci piacerebbe seguire.
Illustrazione di Inga Nielsen: Looking Towards Home (via Fantasy Art Design).
A tuo avviso, quale deve essere oggi il ruolo della fantascienza? In altri termini, il genere ha ancora significato in un periodo storico in cui la società stessa sembra essere “immersa” nella science fiction?
Concordo con la brillante definizione della fantascienza data da Darko Suvin: “lo spazio potenziale di uno «straniamento» dirompente”. Attraverso la sua attitudine al cambiamento, all’esplorazione dello spettro delle possibilità, la fantascienza si ritrova a disporre degli strumenti più adeguati per analizzare tempi paradossali come quelli che ci troviamo ad attraversare: estremamente veloci per quel che concerne il fronte tecnologico e l’avanzamento scientifico, terribilmente lacunosi invece per quanto attiene alla sfera dei diritti civili, del progresso sociale, della tutela ambientale e della consapevolezza etica.
Viviamo in un mondo complesso, che cambia ad ogni giorno che passa, e quasi mai riusciamo a riscontrare una concordanza di direzione tra le due traiettorie. I generi nel loro complesso (dalla crime fiction alla science fiction), e la fantascienza in particolare, si ritrovano quindi a essere nelle condizioni ambientali più favorevoli per esercitare le loro prerogative e consolidare con orgoglio quella posizione di avanguardia che li contraddistingue rispetto all’odierno panorama culturale.
La fantascienza, poi, è tenacemente filtrata nel nostro immaginario collettivo, grazie a linguaggi popolari come cinema, anime, fumetti, musica e videogiochi. Con questi presupposti, dipende solo da editori e autori conservare la lucidità e lo slancio necessari per parlare al pubblico di una cosa complessa come il presente, attraverso una metafora potente come il futuro.
Il vecchio sogno del viaggio spaziale e gli altri cliché della fantascienza (viaggio nel tempo, incontro con gli alieni, etc.) sono spesso identificati come fantascienza tout court dalla gran parte dei lettori non avezzi al genere. Questo, a tuo avviso, è un danno per la fantascienza, o questi temi sono assolutamente validi ancora oggi?
Da quanto dicevo sopra si evince che proprio questi topoi impostisi nell’immaginario del Novecento e quindi ereditati dall’uomo del XXI secolo potrebbero rappresentare i cavalli di Troia utili alla presa cognitiva di questa fortezza psichica. Incontestabilmente, non si può parlare di frontiera spaziale, viaggi nel tempo, spazio interno e primo contatto come se fossero argomenti d’avanguardia. Ognuno degli archetipi della fantascienza ha alle spalle una lunga tradizione, ma altri autori in altri periodi hanno dimostrato di poterli rilanciare come veicolo di nuove riflessioni.
Per riuscirci oggi, a mio modo di vedere, non si può prescindere da due requisiti: a) una conoscenza delle precedenti applicazioni dei summenzionati luoghi comuni, da cui è facile convincersi dell’evoluzione che ne ha condizionato l’utilizzo attraverso tutto il Novecento; b) la capacità di osare: rendere attendibile un concetto paradossale come la macchina del tempo richiede uno sforzo non inferiore all’illustrazione del paradigma olografico; in questo senso la fantascienza non può fare a meno (se mai ne ha fatto a meno nel passato) di un lavoro di documentazione e aggiornamento scrupoloso e costante. La qual cosa, in un’epoca che ci concede ogni informazione possiamo desiderare a portata di mouse, non è poi nemmeno un sacrificio così insormontabile.
8 Responses
Domande stimolanti, che richiederebbero parecchie pagine di
risposta ciascuna. Il giochino è interessante, mi limiterò a rispondere piuttosto sinteticamente alla prima, e sia chiaro che
sarà una risposta legata al qui e all’ora, e mi riservo il diritto, oggi pomeriggio, in questa o in altra sede, di pensarla in modo
diametralmente opposto.
Un genere letterario non ha un ruolo, esiste o non esiste, è
vivo o morto. Punto. Al massimo si può dire che risponde
o meno agli interessi di un gruppo di lettori, ed è questo che ne decreta la vita o la morte, l’esistenza o l’inesistenza.
Credo che nel corso del tempo si sia sopravvalutato, probabilmente
perché si voleva che fosse così, per troppo amore del genere, un
ruolo in qualche modo positivo. La fantascienza nel corso della
sua storia ha dimostrato di poter essere tutto: fiabesca e speculativa, retrograda e progressista, analitica e casinista,
evasiva e impegnata, metafisica e pragmatica soddisfacendo contemporaneamente i bisogni più vari dei lettori più vari. E per questo, ancora più che per qualsiasi altro genere letterario, parlare di un ruolo della fantascienza, è tremendamente fuorviante. Dagli anni venti a oggi li ha incarnati tutti spesso contemporaneamente.
Tanto e vero, che chi assegnava un ruolo alla fantascienza a
volte era costretto a distinguere tra fantascienza “buona” e
“cattiva”, introducendo un giudizio di valore in una distinzione
teorica oppure si ritrovava costretto a fare liste di ciò che era
realmente fantascienza e ciò che non lo era, anche andando
contro il sentire dei lettori.
L’unica cosa che forse può indicare se la fantascienza risponda
ancora a una o più esigenze nel mondo d’oggi è il tipo di riposta che dava, quando ne dava. La fantascienza è sempre stata specializzata nel dare risposte semplici: risposte semplici a
problemi semplici, risposte semplici a problemi complessi. Era
nella sua natura, in quanto genere di narrativa popolare non poteva
che privilegiare la figura dell’eroe, sia che esso risolvesse la battaglia spaziale o distruggesse il monopolio della multinazionale malvagia. Anche nelle rare volte in cui l’eroe soccombeva la risposta era semplice.
Probabilmente siamo arrivati al punto in cui ci si
rende conto che il mondo è diventato troppo complesso per poter
accettare delle risposte semplici. Ormai i problemi sono come pedine in un domino, mattoni in un muro e ci si rende conto,
magari del tutto inconsciamente, che non è più possibile pensare
di sfilare una pedina senza che non crolli tutto il castello. Questo sia da parte degli autori, che dei lettori. Trenta o quarantanni fa,
forse l’autore poteva spacciare la propria moneta falsa in modo
del tutto innocente, sapendo che di semplificazione si trattava, oggi, potrebbe considerarlo moralmente inaccettabile.
Lanfranco
Grazie per essere intervenuto, Lanfranco. La tua riflessione è come al solito accurata e lucida e apre nuovi orizzonti alla discussione. Ovviamente le nostre opinioni devono mutare per adattarsi al carattere mutante della SF, è l’unico modo per tenerne il passo. Quindi concordo con la tua premessa, consapevole che la nostra discussione potrà portare a conclusioni completamente diverse se dovesse venire ripetuta tra qualche tempo (diamoci il tempo di accumulare un altro strato geologico di letture, ascolti e visioni
)
Dici bene quando sostieni che un genere letterario non ha un ruolo. E’ così. La mia risposta alla domanda presupponeva però una considerazione della questione dal mio punto di vista personale: da quello che vorrei fare, insomma, della SF come strumento. Ma, al di là delle prospettive individuali, ci sono dei caratteri di fondo che fanno sì che un genere si presti meglio di altri a un determinato approccio. Ed è questo ciò che volevo mettere in luce.
Infine una domanda sulla tua conclusione:
Trenta o quarantanni fa, forse l’autore poteva spacciare la propria moneta falsa in modo del tutto innocente, sapendo che di semplificazione si trattava, oggi, potrebbe considerarlo moralmente inaccettabile.
E non credi che questo si possa estendere a tutta la letteratura, in qualsiasi forma e di qualsiasi genere?
Rispondendo alla tua domanda no.
La letteratura “mainstream” può continuare a parlare di ciò di cui parlava senza particolari sussulti. Banalizzando, una storia di corna può essere scritta oggi come veniva scritta cinquanta anni fa, naturalmente mutando i giudizi morali e aggiornando ciò che c’è da aggiornare in base al cambiamento dei costumi ma in sostanza potrebbe essere scritta nello stesso modo, così per quanto riguarda i problemi esistenziali di una coppia, o qualsiasi altra tematica della letteratura mainstream. Possiamo dire che anche un giallo di tipo classico, tipo provincia inglese, potrebbe essere scritto quasi nello stesso modo, naturalmente aggiornando un pochino situazioni e personaggi. Un western, malgrado gli aggiornamenti, non richiede all’autore niente che non richiedesse cento anni fa.
A parer mio la fantascienza ricade in un discorso un poco differente. Anzi, in due discorsi differenti.
Primo discorso: quando un autore anche soltanto trenta anni fa,
immaginava una battaglia spaziale, o lo sviluppo dell’umanità
nel cosmo, o la risoluzione di tutti i problemi del mondo, poteva
anche crederci, non spacciava moneta falsa, come dicevo nella
lettera precedente. Oggi, se immagina una battaglia stellare o
che l’uomo andrà oltre Marte, sa perfettamente che sta
falsificando non tanto la realtà, quanto la verosimiglianza. Il
lettore una volta avrebbe potuto dire: “ok, adesso non esiste, ma
esisterà”. Oggi potrebbe soltanto dire: “ok, sappiamo che non
esisterà, ma facciamo finta che sia possibile che un giorno
esisterà”. Il rapporto dell’autore con ciò che scrive e il rapporto
del lettore con ciò che legge, quindi lo stesso rapporto autore -
lettore nel mondo della fantascienza sono radicalmente cambiati.
Questo cambiamento non è intervenuto in altri generi letterari. Non
hanno mai avuto bisogno di aggiornare le proprie premesse. O meglio, questo forse è avvenuto nel romanzo cavalleresco, ma
nei generi attualmente esistenti non mi sembra di vedere risoluzioni copernicane nei rapporti tra autore opera e lettore.
Quello della conquista dello spazio, attenzione, è solo un esempio,
la riflessione si potrebbe applicare ad altre tematiche, il cambiamento
di rapporto è una cosa che investe tutta la fantascienza.
E veniamo alla seconda parte del discorso. Già anni e anni fa il
mondo aveva dei problemi, problemi di libertà, di sopravvivenza
a una possibile catastrofe nucleare, tanti problemi diversi. Problemi
che esistevano ma che non erano cocenti. Si poteva pensare di
risolvere la fame nel mondo senza che il lettore sentisse minacciato il proprio stile di vita.
La fantascienza, con una beata innocenza, poteva far sì che il
protagonista capisse tutto a pagina 10 e risolvesse i problemi
del mondo a pagina 150. L’autore spacciava moneta falsa, ma
poteva farlo senza grossi problemi di coscienza perché il problema
era più accademico che realmente sentito. Adesso l’autore
sa benissimo che nessuno può risolvere dei problemi estremamente complessi con una risposta semplice. Sappiamo che risolvere il problema della fame nel mondo, o dell’inquinamento significa mettere in discussione il proprio stile di vita, abbiamo una conoscenza molto più ampia del mondo, attraverso la televisione,
internet, o quello che ci viene a vendere i calzini per strada, conosciamo un cittadino dell’Africa molto meglio di quanto lo
potesse conoscere un uomo degli anni cinquanta e lo stesso per tutto quanto succede nel mondo. Fornire una soluzione semplice, oggi come oggi sarebbe spacciare moneta falsa sapendo di farlo e sapendo che non è che questa non è più un’operazione moralmente accettabile, vista la complessità e
l’urgenza dei problemi. Non si tratta di far scivolare un biglietto da cinque euro falso nelle mani di un ricco che nemmeno se ne accorgerà, vuol dire rifilare la moneta falsa a un pensionato che con quei cinque euro in meno non arriverà alla fine del mese. Non è più possibile o accettabile tranquillizzare il lettore dicendo che domani le cose miracolosamente andranno bene perché lo scienziato con uno schiocco di dita avrà risolto tutto o perché scenderanno gli alieni che ci regaleranno il moltiplicatore di cibo che viola tutti i principi della termodinamica. Non è più accettabile, perché se il lettore non si rimbocca le maniche, le cose domani sicuramente non andranno bene, anzi andranno molto peggio di oggi, o forse proprio non andranno. Oggi, soltanto i politici sono rimasti a fornire soluzioni semplici ai problemi complessi, con un frego su un foglio o un decreto legge, magari tirando su un muro intorno al paese o al quartiere, e infatti molti di noi sostengono che
sono persone immorali che ingannano bellamente gli elettori.
Temo che al mondo d’oggi, per la fantascienza siano rimaste
soltanto due strade: Diventare totalmente escapista, mentire
sapendo di mentire, ignorando i problemi e giocando con il
tempo e lo spazio come se non vivessimo in una Terra puzzolente
che sta andando sempre più nella cacca, oppure diventando
angosciante, limitandosi a puntare il dito verso i problemi,
incapace però di fornire la soluzione, visto che questa in ogni
caso sarebbe al di là della portata di uno scrittore di fantascienza
che non potrebbe fare altro che tirare fuori la solita semplificazione.
Questi sono problemi che gli altri generi letterari non hanno, visto che non hanno mai preteso, nemmeno in parte, di cambiare il mondo, o di insegnare strade, o di giocare con i mondi.
In questa lettera hai trovato un ruolo per la fantascienza di oggi?
Sarebbe sbagliato, al massimo, opinione mia naturalmente, avresti
trovato un ruolo per lo scrittore di fantascienza, non per il genere.
Vale lo stesso principio della lettera precedente, la riflessione su un genere letterario è talmente complessa che mi riservo il
diritto di cambiare idea entro l’ora di pranzo.
Ciao!
Lanfranco
Discussione clamorosamente interessante.
Provo però a spostare il focus in quanto, pur condividendo alcune delle argomentazioni di Lanfranco, è per me più interessante affrontare il tema da un’altra prospettiva.
Un genere non ha un ruolo, questo è certo.
Un genere ha però degli strumenti letterari ben precisi che lo rendono più o meno adatto in un certo contesto storico a rappresentare alcuni tratti della società, del mondo, delle persone.
La mia tesi è che, per sua stessa natura, la fantascienza disponga di strumenti tanto più potenti quanto più aumenta la complessità esterna. Questa impressione la motivo con la evidente e sempre maggiore infiltrazione che la fantascienza ha negli altri generi, in particolare in quelle che prima erano isole di dominio assoluto della letteratura mainstream.
Ho letto pochi mesi fa La strada di McCarthy, è possibile immaginarsi un libro del genere 20 anni fa?
Ho insomma la sensazione che parlare di generi letterari, nell’accezione tecnica di “precisamente identificabili” sarà sempre più come disquisire, che so… sulla bolognesità (che cito in quanto argomento molto caro ai miei nuovi concittadini). In questo melting pot mondiale elevato all’ennesima potenza, ha ancora senso? Se si, per quanto tempo ancora?
La domanda a cui non so mai darmi risposta, e questo credo possa spostare di molto la prospettiva del ragionamento, è però un’altra. E’ la fantascienza che dispone in sé degli strumenti di analisi più adatti, tanto da infiltrarsi sempre più in altri contesti, o è lo scrittore di fantascienza che per sua disposizione mentale è più abile a cogliere certi nessi, tendenze, connessioni?
In ultimo, riprendendo alcuni passi di quanto scritto da Lanfranco, non credo che la fantascienza - e qualunque altro genere di letteratura - abbia nel suo dna il dare risposte, riconoscendosi una funzione salvifica di qualche genere.
Al limite possono essere i suoi lettori a trovare in alcuni passi cibo tanto gustoso per la propria mente da fargli pensare di essere stati salvati….
Fra un’oretta di mangia, quindi cambierò idea anche io!
Vico, benvenuto su questo blog e grazie per il tuo punto di vista sulla faccenda.
Concordo pienamente con il discorso che fai sugli strumenti. La toolbox della SF è provvista di un radar in grado scandagliare la realtà con un orizzonte un po’ più vasto di quanto non consentirebbe la vista oculare di altri generi. Se si riconosce l’esistenza di una narrativa su misura per i tempi difficili che corrono, allora quel radar e gli strumenti della denuncia e del monito civile che sostengono tanta letteratura nera (parlavo genericamente di crime fiction nell’articolo) si rivelano un equipaggiamento prezioso per affrontare l’attualità. Che poi, in virtù di quel radar, non è necessariamente l’attualità contingente del presente: è anche quella, ma non solo, in quanto la SF ha il privilegio di guardare all’attualità anche di un futuro non ancora compiuto (giacché compiuto il futuro non lo è mai, per definizione), ma in fieri sotto i nostri occhi. Non mi sorprende quindi che nel corso del Novecento e ancora oggi i più grandi scrittori abbiano o abbiano avuto qualche frequentazione con il genere. Nel mio piccolo resto convinto che il senso del futuro serva anche per collocare il presente in una prospettiva storica.
La contaminazione tra i generi, per quanto sopra detto, è un processo naturale e inevitabile, pur nel rispetto dei rispettivi immaginari e modelli di riferimento.
Quanto al tuo interrogativo se sia merito degli strumenti della SF o della presunta attitudine dell’autore di SF, è una bella domanda. A cui posso rispondere con un’altra domanda: se quegli scrittori non avessero nutrito di SF i loro neuroni, avrebbero sviluppato comunque quella sensibilità?
E, di rimando, quanti scrittori possono aver scritto SF essendo completamente a digiuno del suo immaginario di riferimento?
Pungolato da Vico, mi propongo di replicare anche a Lanfranco dopo avere a lungo rinviato il momento, per ragioni non del tutto indipendenti dalla mia volontà…
Non sono un grande conoscitore della letteratura mainstream. Per quel poco che la frequento mi limito generalmente al postmoderno e ai suoi derivati. Però credo che quello che tu dici possa valere in maniera compiuta per quadri “locali”, chiusi al punto da risultare tagliati fuori dal tempo. Parlando di questioni esistenziali, le sfaccettature della condizione umana odierna non sono generalmente quelle di quarant’anni fa. Lo descrivi bene anche tu quando parli dell’accresciuta consapevolezza del mondo da parte dell’uomo contemporaneo, attraverso i mezzi di comunicazione di massa. La situazione del mondo - microcosmo e macrocosmo - è per forza di cose più complessa di quanto non fosse a metà del Novecento. E non credo che sia un caso se, per tenere il passo con i tempi, grandi del calibro di Pynchon o DeLillo, ma anche autori di una categoria inferiore rispetto ai pesi massimi (penso per esempio a Houellebecq, a Palahniuk, a Murakami) abbiano finito per “sporcarsi” le mani con i generi.
Torniamo al discorso sulle domande/risposte: gli strumenti della SF sono potentissimi come ausilio nel formulare le giuste domande sui tempi che viviamo. Per le risposte, meglio che non ce ne vengano imposte da nessuno, non credi?
Ma capisco quello che vuoi intendere. La SF ha risentito più di tutti gli altri generi dei progressi nella scienza e nella conoscenza umana. Questo è indubbio. E’ stata costretta a modificare la propria natura, conservando lo spirito di genere proiettato verso il domani. Un domani, tuttavia, sempre più ingrato, difficoltoso da dipingere almeno quanto lo sarà da affrontare. Almeno su un certo intervallo di tempo.
Che sia stata anche l’esigenza di interfacciarsi con questa difficoltà, a favorire ibridazioni e contaminazioni con altri generi? Non me ne farei in ogni caso un gran problema. Se la SF fosse rimasta quella degli anni ‘30 e avesse continuato a funzionare ancora nel mondo odierno, sarebbe stato possibile soltanto perché vivremmo condannati a una tecnocrazia capitalista. Un mondo non più piacevole di quello in cui viviamo. Solo, provvisto di minore esercizio dello spirito critico…
X, giustamente ti poni la terza domanda, che volutamente avevo lasciato in sospeso per non correre il rischio di sentirmi dare del ‘fazioso’ (in senso positivo ovviamente).
e’ un fatto che quando si parla della fantascienza - in generale - io mi senta parte del ’sistema’, e in quanto tale non sono forse la persona più obiettiva del mondo su questo argomento.
per rispondere alla tua domanda: non sapremo mai se è nato prima l’uovo o la gallina, ma non c’è dubbio che l’assidua frequentazione - attiva e passiva - di percorsi neurali non proprio comuni aumenti proporzionalmente la capacità di cogliere, connettere e, non meno importante, trasmettere.
certo che su un argomento così ci vorrebbero almeno diverse pinte di birre per arrivare a qualche conclusione
PS: nel weekend ho letto la tua sezione pi quadro, ho in animo di farti qualche commento in privato (ok detta così sembra una minaccia)
Grazie, Vico. Per i commenti usa pure il link che trovi alla fine di questa pagina. Per sicurezza, ti aspetto armato