La terra dei fantasmi
Posted on Maggio 29th, 2008 in Fantascienza, Letture |
Oggi ho finalmente messo le mani sull’ultimo Gibson. Alla fine il Demiurgo di Segrate ha optato per un titolo più sibillino di quello annunciato in un primo tempo (Il paese delle spie, che già non era il massimo, ma almeno ci poteva stare) e per una copertina che esce decisamente sconfitta dal confronto con le edizioni in lingua inglese (qui come si mostra in USA, e qui come appare in UK). Se non altro, hanno aggiornato le note del risvolto di copertina, dove il Node è tornato a essere tale.
Pur avendo in lettura L’alba del disastro di Charles Stross (ormai alle battute finali), i due anni di spasmodica attesa per questo Spook Country hanno avuto la meglio: non ho resistito alla tentazione e mi sono immerso nel primo capitolo appena tornato a casa.
Prima considerazione: William Gibson non ha perso il tocco. Frasi affilate come coltelli, atmosfere avvolgenti come i ritmi blues del suo Sud. Fin dalle prime righe Guerreros proietta il lettore in un turbine di paranoia e mistero.
Seconda considerazione: ancora una volta una donna alle prese con una tendenza artistica da indagare. Proprio come Marly Krushkhova in Giù nel cyberspazio (1986) e, più tardi, Cayce Pollard nel sorprendente L’accademia dei sogni (2003), Hollis Henry ha un incarico da svolgere per un oscuro committente.
Terza considerazione: già si prospetta un nuovo livello di dettaglio nella trama frattale dei riferimenti che Gibson intesse intorno al lettore. Ancora una volta è l’immaginario a intersecare e compenetrarsi con l’universo narrativo plasmato dalle parole di questo profeta del XXI secolo.
Una telefonata nel cuore della notte e Hollis Henry, appena reclutata come giornalista del “Node”, si avventura in una deriva onirica lungo un Sunset Boulevard spazzato dal vento del deserto. Al termine della notte, in un’esperienza mediata da un’immersione nel virtuale, Hollis si ritrova al cospetto del cadavere di River Phoenix.
Anche i più giovani ricorderanno la figura dell’attore. Una delle ultime vere icone del cinema, prima che il cinema naufragasse sotto le luci della ribalta, River Phoenix ha incarnato forse l’ultimo sussulto del mito che già aveva vibrato in James Dean e in Marlon Brando. Dopo di lui, esiterei ad associare un nome o un volto a una carica iconografica tale da meritare l’inclusione nella mitologia mediatica. Con la parziale eccezione di Vincent Gallo, avrei difficoltà a individuare una figura capace di reggere il confronto nell’industria dello spettacolo attuale. Nato nel 1970, prima di venire fulminato a soli 23 anni da una dose letale di speedball nelle vicinanze del Viper Room, proprio sul Sunset, in circostanze ancora non del tutto chiarite la notte di Halloween del 1993, Phoenix recitò in alcuni ruoli che gli meritarono una popolarità straordinaria: Explorers, Stand by Me, Indiana Jones e l’Ultima Crociata (dove interpretava il giovane Indy), Belli e dannati.
Io lo ricordo per Le ragazze di Jimmy di William Richert (titolo originale: A Night in the Life of Jimmy Reardon, 1988), piccolo ma partecipato affresco di una provincia che forse già all’epoca non esisteva più. Prima di morire, River Phoenix aveva interpretato anche una piccola parte nel film I signori della truffa di P.A. Robinson (Sneakers, 1992), nel ruolo di un hacker.
Per ulteriori connessioni, ci aggiorniamo nei prossimi giorni.
15 Responses
Se non ricordo male, il locale apparteneva a Johnny Depp. A parte questo… la settimana prossima provvederò all’acquisto. Sono sicuro che la lettura riuscirà ad offuscare la visione dell’omino giallo.
7di9
Giusto, sì. Depp era co-proprietario del Viper. Quella notte con Phoenix c’erano anche suo fratello Commodo, John Frusciante e Flea dei RHCP.
Letti per ora i primi 3 capitoli. Gibson ha seminato molto bene…
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leggermente OT: sto leggendo anche io lo stesso romanzo di stross, e mi pare davvro “gnente male”
per gibson, ogni volta mi viene la tentazione di leggerlo, ma ogni volta cado invariabilmente nel non capirlo
cercherò di provarci ancora
Stross non è male, ma resta lontano da Accelerando: l’alternanza di tono, tra tragedie storiche riproposte su scala cosmica e parentesi pulp, per il momento mi lascia spiazzato. Vedremo come si risolverà la matassa nelle ultime pagine.
Gibson è sempre lo stesso: digressivo, ellittico, enciclopedico. Un creatore di mondi e di immaginario.
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Provvederò anch’io all’acquisto dell’ultimo libro di Gibson, mi ero completamente scordato della sua uscita.
Fra l’altro a me la copertina non dispiace nemmeno tanto.
De gustibus…
A qualcuno sarà sicuramente piaciuta per inventarsi una cosa simile. Solo, al momento il collegamento con il tema del romanzo mi sembra troppo pretestuoso, come se avessero voluto svolgerlo nel modo più facile possibile dopo avere letto il titolo del primo capitolo… Quando leggerai capirai.
Ciao,
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[...] XL Repubblica). I più curiosi, invece, potranno ascoltarsi anche un estratto del primo capitolo di Guerreros, letto da Claudio Santamaria, insieme al racconto di Joe R. Lansdale (anche questo in formato [...]
Di ritorno da una gita in libreria: Guerreros di GIbson, Il sindacato dei poliziotti Yiddish di Chabon, La breve e favolosa vita di Oscar Wao di Diaz e Cavalli selvaggi di McCarthy.
Come se non avessi già abbastanza libri da leggere. Vabbé.
(la copertina di Gibson è orrendissima!)
(il romanzo di Stross è molto divertente, ma è vero: non è Accelerando)
2 su 4 ce li ho in lettura
Chabon promette molto bene, si sta rivelando una bella sorpresa.
Quanto a Stross, segnalazione in arrivo…
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[...] su se stesso” spiega un altro (l’artista locativo autore della riproduzione della morte di River Phoenix). “Tipo cyberspazio. [...] Si potrebbe quasi dire che è iniziata il primo maggio del 2000. [...]
[...] personaggio che sembra uscito da un libro di William Gibson, insomma: un artista underground che si sottrae alle luci della ribalta e parla solo attraverso le [...]
[...] le prime battute di Guerreros, un mese fa, mi ero lasciato incantare dal ritmo musicale della prosa di William Gibson (prima connessione, [...]
[...] Bella fotografia, scenografie notevoli (anche se per nulla futuristiche, come spacciato da qualche critico in odore di assenzio), musica perfetta, ma trama esile e sviluppo narrativo ancora più debole, come dicevo sopra. Eppure, a ogni entrata in scena del Joker c’era da tirare il fiato. Nevrotico, luciferino, sanguinario, dinamitardo, il perfetto elemento di destabilizzazione: insomma superlativo, al punto da valere da solo il prezzo del biglietto. ”La migliore interpretazione di un cattivo che ho mai visto”, secondo Michael Caine. Considerando che il paragone immancabile era con il Jack Nicholson del primo Batman di Tim Burton, che ne esce sorprendentemente eclissato, tutto sommato Ledger il suo riconoscimento postumo l’ha già scolpito nella celluloide. E dopo averlo visto anche negli stivali del cowboy di Brokeback Mountain, lo sconforto per la sua perdita è ancora più forte. Non basterà comunque una statuetta a colmare la sua assenza dal cinema dei prossimi anni, ma magari ne terrà vivo il ricordo meglio di quanto è accaduto con lo sfortunato River Phoenix. [...]
[...] personaggio che sembra uscito da un libro di William Gibson, insomma: un artista underground che si sottrae alle luci della ribalta e parla solo attraverso [...]
[...] trilogia, che si sarebbe sviluppata attraverso Spook Country (2007, da noi Guerreros, ne ho parlato qui, qui e qui) e infine Zero History (2010) e avrebbe a posteriori preso il nome dalla Blue Ant, [...]