Se questa è Wired
Posted on Luglio 15th, 2009 in Whatever |
Da qualche mese ricevo l’edizione italiana di Wired. Ho comprato il primo numero e mi sono subito abbonato, grazie all’offerta di 2 anni per 19 euro.
Ero entusiasta dell’idea che una delle riviste-mito del del mio ambiente culturale arrivasse finalmente in Italia. Sono parecchi anni che non prendo più la Wired originale - che in fin dei conti non è più, comunque, la Wired originale - e può anche essere che i miei ricordi al riguardo siano un po’ abbelliti dal tempo. Ero un vero fan di Wired. Il mio entusiasmo si è tramutato in cocente delusione. Ecco perché.
Wired è stata la rivista dei geek agli albori dell’epoca di internet. Fondata nel 1993 da un giornalista di tecnologia, Louis Rossetto, e da Jane Metcalfe, anche lei esperta tecnologa e in seguito eletta nel comitato direttivo dell’Electric Frontier Foundation, sponsorizzata da Nicholas Negroponte, con il fondatore di WELL Kevin Kelly in redazione, Wired è un’esplosione di originalità, creatività, idee. Il progetto grafico ha un impatto impressionante sul mondo della grafica editoriale. Wired diventa in breve tempo una delle riviste più “in” di quegli anni.
In sostanza Wired compie un miracolo che sembrava impossibile: rende cool il geek. Improvvisamente tutte quelle cose da nerd, come computer, gadget tecnologici, fantascienza, la scienza stessa, diventano belle, fighe, alla moda, eleganti. Il geek che gira con in mano la rivista da geek per eccellenza, Wired, diventa l’uomo del momento.
Questo almeno è il mio modo di percepire Wired. Anni dopo la casa editrice venne smembrata: la rivista acquistata dalla Condé Nast, il sito HotWired acquistato da Lycos, se non ricordo male.
Ora nel 2009 arriva, apparentemente fuori tempo massimo, l’edizione italiana. Del progetto se ne parlava già da parecchi anni; l’uscita di riviste su target simili come Jack forse lo fece rimandare. Oggi che internet non è più un territorio nuovo e misterioso ma un mezzo diventato ormai trasparente rispetto ai suoi contenuti, oggi che la tecnologia per la gran parte della gente non ha più quel sapore magico che aveva qualche anno fa, oggi che i computer non sono più un oggetto che ogni anni fa passi da gigante ma solo uno scatolotto su cui spendere il meno possibile per poter scaricare la posta e consultare il web, oggi arriva Wired in Italia.
Ma è davvero così?
Fin dal primo numero ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato. Il primo numero aveva in copertina il logo del Vaticano che richiamava un articolo su un sistema di pannelli solari costuito appunto nel territorio dello stato della Chiesa.
Ma la sensazione di straniamento viene soprattutto leggendo le rubrichine, le didascalie, i box, ovvero tutti quei testi che non fanno parte degli articoli veri e propri e che a mio avviso mettono il luce la vera anima della rivista. Cose scritte sempre una sottile vena ironica che passa il messaggio, come fanno sempre anche i servizi scientifici del telegiornale, fateci caso, che sì, bella la scienza, bella la tecnologia, ma in fondo sono cretinate, il mondo vero è un altro. Non è un’ironia che ride con il lettore, è un’ironia che ride del lettore. O al più ride col lettore sbagliato.
Esempi? “Le missioni dell’Apollo hanno cambiato la nostra quotidianità. A cominciare dal bagno”. Buono per Chi, ma per Wired? “Il laptop lascialo a casa. Gli internet cafè ormai li trovi anche nel deserto”: un lettore di Wired usa il computer solo per guardare due minuti la posta? “Tired: Star Trek; Wired: Starman” Quello di David Bowie? E perché dovrebbe essere più Wired di Star Trek, che era uscito proprio quel mese al cinema facendo faville? “L’ebook? Bello, ma un libro è meglio” ma ho bisogno di comprare Wired per leggere sta roba?
Forse se invece di affidare la rivista a uno che prima dirigeva “Il Romanista” l’avessero affidata a qualcuno più in sintonia le cose sarebbero state diverse. Nel frattempo, mi chiedono di rinnovare l’abbonamento. Ho fatto un abbonamento a 24 numeri (costava poco) e me ne sono arrivati 3. Signor Condé, signor Nast, per il momento farò finta di non aver visto il vostro invito. Avete 21 numeri per cambiare decisamente registro, e magari anche direttore. Poi ci penserò, se darvi altri euro.
7 risposte
Mi trovi d’accordo praticamente su tutto. Non è una rivista nata fuori tempo massimo, ma una rivista nata vecchia. E infatti a lanciarla sono stati tutti quei vecchi barba della so-called (yeppa yeah) blog-o-sphere, che ormai formano una cricca peggio della casta (anzi, se esiste una casta della rete, la incarnano a pieno titolo): gente che non ha mai letto non un libro, ma un racconto di fantascienza, e che di conseguenza non riesce a immaginare nemmeno una frazione dell’immaginario che sta dietro questa cosa che usano tutti i giorni per scaricare la posta e aggiornare i loro blogs; per cui il cyberpunk è una moda, o al massimo un’estetica; per cui il volume delle informazioni si misura in rating d’accesso.
In 5 numeri ho beccato un paio di articoli stimolanti, finora, per quanto penalizzati dal taglio molto generalista che hanno voluto dare all’impostazione del progetto; ma ammetto di non avere guardato bene più di tanto… Per me comunque lo specchio della rivista resta l’editoriale. Prendi Wired e ti sembra di fare un test optometrico. Prendi Robot e ti ritrovi a ghignare come se il Padreterno ti avesse offerto una birra fresca nella più sgangherata delle bettole sul margine del deserto. Non so se la Wired originale fosse così, ma confido che lì almeno avessero qualcosa da mettere in evidenza, che non fossero i voli pindarici del direttore della Curva Sud.
Nessun vero geek leggerebbe una rivista fatta per essere letta dai veri geek.
I veri geek l33ch@n0 i PDF con sistemi di scambio dati che saranno famosi dopodomani.
Non sono d’accordo. Wired è una rivista che non si prende affatto gioco del lettore. A me piace moltissimo il fatto di descrivere la vita e le circostanze che hanno portato qualcuno ad inventare qualcosa. Sono articoli molto belli, così come sono sfiziose le curiosità molto geek dei gadget piuttosto che sui retroscena di alcuni fatti molto noti.
Wired è molto divulgativo. Siamo nel paese in cui c’è la minor estensione di banda larga in Europa e questa rivista, secondo me ovvio, contribuisce ad aumentare la percezione che la Rete sia qualcosa di fondamentale in cui paese in cui questa percezione non c’è affatto.
A me personalmente, Wired fa venire molta voglia di scoprire, informarmi sulle tecnologie ancora meglio di quanto già non faccia, restare collegato. Collegato agli altri, alle informazioni, al mondo.
Wired fa capire la bellezza umana delle nuove tecnologie e delle scoperte che, soprattutto in Italia, sembrano arrivino sempre da un altro pianeta. E, magari, la maggior parte di esse, forse le cose più curiose o fondamentali, spesso partono dalla nostra penisola.
Secondo me Wired in italiano è una grande occasione fallita: quella di colmare il cultural divide (in materia tecnologica) che affligge il nostro paese rispetto ad altri contesti. Sarebbe stata innovativa comunque - anche se vecchia e fuori tempo massimo rispetto ad altrove - se non le si fosse dato questo taglio modaiolo che la rende una rivista da wc (è lì che la leggo), con tempi di lettura e livelli di attenzione richiesta minimi. Il primo numero prometteva bene (comunque c’era la Montalcini, in copertina), poi si è scaduti nel trendy che insegue i gusti, senza formarli.
F.
PS. La copertina del n. 2, era fuorviante, più che sospetta: sembrava critica rispetto alle politiche ambientali vaticane e invece l’articolo racconta di quanto siano bravi Oltretevere a rispettare l’ambiente.
se vi interessa il futuro dell’editoria, vi raccomando il numero corrente di wired UK. non ho staccato gli occhi da quelle pagine per due ore e mezzo. e ancora non ho smesso di riflettere su quello che ho letto.
mth
io penso che purtroppo sia un po’ la situazione dell’editoria italiana, chi è che dirige qualcosa? qualcuno che ha avuto modo di trovare quell’impiego a prescindere da cosa fosse. e poi che fai se non sai dirigere qualcosa di innovativo perchè venivi dalla rivista di cucina? applichi quello che sai convinto che sia l’unico modo, e convinto che se ha (anche poco) funzionato prima funzionerà anche dopo.
poi quando non si conosce qualcosa le assurdità o le idiozie non si è in grado nemmeno di riconoscerle, le si fanno e nemmeno lo si saprà mai, visto che autocoscienza e mettersi in discussione non sono poi le doti tipiche del comune direttore italiano.
[...] mio entusiasmo dopo qualche tempo cominciò a scendere, come scrissi in un articolo anche su questo blog. Ma, credete, il senso di questo articolo è del tutto avulso dalla qualità o [...]