Vonnegut, la fantascienza e altre false amenità
Posted on Aprile 3rd, 2009 in Connettivismo, Emersioni, Fantascienza |
Grazie all’amico Jarok, mefistofelico tentatore col suo Bazaar, sono ventuto in possesso di una raccolta di articoli di Kurt Vonnegut, Divina idiozia, pubblicata da e/o nel 2000 nella collana Piccola biblioteca morale. Il primo articolo, guarda un po’, è quello famigerato in cui il buon Kurt prende le distanze dalla fantascienza.
Gli scrittori di fantascienza si incontrano spesso, si confortano e si lodano a vicenda, si scambiano fitte lettere lunghe più di venti pagine, si prendono sonore sbronze in compagnia, e in un modo o nell’altro si fanno grasse risate o si commuovono tutti insieme appassionatamente.
Bé, commovente è commovente, e anche un po’ terrificante: di ritorno da una Con - e su un libro comprato là - fa un certo effetto leggere queste parole. Ma andiamo avanti, il succo deve ancora venire.
Per un po’ ho scorrazzato insieme a loro, e ho avuto modo di apprezzare le loro anime generose e divertenti, ma adesso devo fare una dichiarazione sincera che li farà saltare sulle sedie: sono dei gregari. Sono una cricca. Se non fossero così gratificati dall’idea di far parte di una banda tutta loro, non esisterebbe una categoria chiamata fantascienza. Provano un gusto particolare a rimanere svegli la notte per cercare una risposta alla domanda: “Che cos’è la fantascienza?”. Tanto varrebbe chiedersi: “Che sono i massoni? E cos’è l’odine della Stella Orientale?”.
Parole tenere e durissime allo stesso tempo. Si può essere d’accordo o no, rimanere indefferenti o addirittura offesi, ma sono righe su cui vale la pena perdere un po’ di tempo a riflettere. Personalmente non le trovo poi così terribili, anche se il tempo - questa è la speranza - potrebbe smentire la tesi dell’uomo migrato su Tralfamadore sull’esistenza della fantascienza solo come loggia. Per la crime fiction, ad esempio, qui in Italia si potrebbe dire che è successo il contrario: che è cominciata a venire meno proprio quando si è amalgamanta sotto l’etichetta di “Giallo italiano”.
Eh, se ne possono pensare di cose così… a bizzeffe. Tanto varrebbe continuare a chiedersi nella notte: “Cos’è la fantascienza italiana?”.
Vonnegut conclude così, riferendosi ai pulp magazines: Nel frattempo, se si scrivono storie che sono deboli a livello di dialogo, motivazione, caratterizzazione e buon senso, si potrebbe fare di peggio che buttarci dentro un pizzico di chimica, fisica, e volendo anche un po’ di stregoneria, mescolare bene, e inviare il tutto a qualche rivista di fantascienza.
Oserei di più, buttamoci anche tutto il resto dello scibile. Da parte mia, Mr Vonnegut, le prometto che suderò sette camicie d’inchiostro per padroneggiare dialogo, motivazione e caratterizzazione. Di buon senso invece ce ne vorrebbe un intero diluvio universale che dissetasse il mondo.
8 Responses
…. ve lo dicevo alla convention che è meglio andare a letto presto… un paio di notti passate a bere qualche bicchierino e a tirar l’alba e c’è già
chi ti appioppa l’etichetta di Gran Massone. Se il Kurt non fosse già migrato avrei assoldato Moffa … o il Fuco. Vergogna!
Niente Panico. Ho controllato la Guida Galattica per Autostoppisti e non ho trovato la voce fantascienza, ma c’è quella su Kurt. Devo ammettere che io, quando ho letto l’articolo in questione, sono saltato letteralmente dalla sedia. Poi ho bevuto due grosse birre e ho passato due giorni a chiederni: “Che cos’è la fantascienza”. E mi è passata la paura…
Ragazzuoli, estremismi verbali a parte (una loggia massonica ha un potere di influenza, la sf, bé…) emerge un dato che possiamo prendere per buono: bisogna uscire dall’adolescenza ed entrare nell’età adulta, abbandonare le mura domestiche e guardare al resto del mondo. Poi l’articolo di Vonnegut è roba degli anni ‘70, se non precedente; il mondo è cambiato e la fantascienza pure. Sta tutto qua il nodo. Ci penseremo stanotte.
Ah cavolo, l’ho letto un pacco di tempo fa, ma più o meno lo ricordo. Vero che va contestualizzato, però ho il dubbio che la “rispettabilità” sociale e letteraria (per così dire) che aveva la sf negli Usa sia più o meno la stessa che ha oggi in Europa (eccetto l’Inghilterra). Più o meno si sa che esiste, comincia a filtrare l’idea che chi la scrive e la legge non è una specie di squinternato, di tanto in tanto se ne parla anche, ma oltre ancora non si va, specialmente da noi. E come sempre, se si sta in periferia (letteraria e non) il rischio dell’autoreferenzialità c’è. All’epoca di quell’articolo parecchi scrittori di sf avevano davvero il complesso di essere scrittori di serie z, che lo fossero realmente o meno, e certe roboanti dichiarazioni tipo “non scrivo fantascienza, non la scrivo più, anzi non l’ho mai scirtta” da parte di Vonnegut e svariati altri si spiegano in quel contesto, oggi in ambiente americano non mi pare accada più, e nonostante la minore visibilità, nemmeno in Europa. il che è positivissimo, come è già stato detto varie volte in varie sedi, basta lagne e scrivere scrivere scrivere, c’è un intero mondo da distorcere
“C’è un intero mondo da distorcere”: mi piace ’sta cosa! E vista la situazione, ce n’è almeno un altro da raddrizzare…
Non so bene come sia la situazione nei paesi anglosassoni (a sentire Banks non mi farei troppe illusioni). Ma se l’autoreferenzialità è un rischio concreto per una scena fantascientifica che comunque comprende parecchie migliaia di persone pensa quali possono essere le conseguenza (quali SONO!) per una scena come quella nostrana dove ci si conosce tutti per nome e cognome
Io temo che Vonnegut avesse ragione non tanto nella parte in cui prende le distanze dalla sf, che li son scelte personali, quanto piuttosto nel definire la comunità professionale della Sf una cricca di gregari che se la raccontano a vicenda, senza cercare davvero uno sbocco all’esterno.
Per contribuire alla riflessione ecco il link ad un vecchio pezzo di Jonathan Lethem: La promessa mancata della fantascienza
Bello l’articolo di Lethem e anche in parte condivisibile, però è in parte prigioniero delle logiche che denuncia. Mi porrei poco il problema di ciò che è o non è la comunità professionale sf; i piccoli gruppi oscillano sempre tra il rischio della sindrome di Calimero (sono piccolo e nero e tutti mi odiano) e il delirio di onnipotenza frustrato (sono un superfigo molto avanti, ecco perchè non mi capiscono) il più delle volte accomondandosi poi sul tran-tran quotidiano. Il che però, non vuol dire che accada sempre, comunque, e ad ogni latitudine ed in ogni tempo. Le cose, grazie a Marx (sia Groucho che Karl) cambiano, talvolta senza nemmeno che ce ne accorgiamo.
Insomma, esser un piccolo gruppo non implica l’esser gruppetari, anzi così a naso mi sembra di avvertire una certa propensione all’apertura al mondo nella comunità sf italiana, sia da parte degli insider che a vario titolo la producono che nei lettori.
Poi sarà la rete, sarà la stanchezza per le passate autoflagellazioni, ma un’aria positiva mi sembra di coglierla.
Mi porrei poco l’annoso problema di cosa è la fantascienza: è un pezzo di letteratura, punto.
Condivido molte delle posizioni di Evangelisti, ma quella che varie volte ha espresso (lui e non solo lui), della fantascienza come pars valentior della letteratura, proprio no. La sf non è “meglio” del resto della letteratura esattamente per gli stessi motivi per cui non è “peggio”. Rovesciare i pregiudizi non è mai un buon affare, si ottiene semplicemente un pregiudizio eguale e contrario. Le gerarchie arbitrarie, indotte dalla tradizione e dal conformismo (e da noi anche dal crocianesimo) non vanno nevroticamente capovolte: si devono far saltare in aria con la dinamite.
E in letteratura, la “dinamite” è la letteratura stessa.
Poi è ovvio che nei ghetti nessuno ci vuole stare, ma non è che la scelta sia sempre consentita, anzi non lo è quasi mai.
E se si riesce a starne fuori o addirittura a non entrarci mai ovvio che lo si fa. Ho sempre trovato bizzarramente significativo che il romanzo di fantascienza italiano di maggior successo commerciale e critico in patria e all’estero sia un romanzo che di rado si considera di fantascienza, Terra! di Benni. Eppure, se quella non è fantascienza, Douglas Adams era un tramviere. I muri si possono e devono abbattere, saltare, bypassare, partendo dalla propria testa. Poi il resto verrà, e se non verrà almeno ci si sarà provato. Le abiure, le prese di distanza, i complessi di inferiorità etc. pur di grandissimi com Vonnegut o Ballard, appartengono al passato e lasciamole lì.
Grazie, ragazzi. I vostri spunti sono un’ottima appendice e completamento alle riflessioni post-Con. Ora proviamo un po’ a guardare avanti.